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giovedì 24 aprile 2025
 
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Richard Gere, anche una star di Hollywood diventa invisibile

16/06/2016  Dal 15 giugno al cinema “Gli invisibili”, un film dedicato agli homeless. Lo abbiamo visto in anteprima a Roma insieme all’attore americano e a un pubblico d’eccezione: i barboni di Sant’Egidio.

Persino uno come Richard Gere può diventare invisibile. La sua bellezza passare inosservata sotto i panni del senza tetto. In una New York che guarda altrove nessuno riconosce l’attore americano che si immedesima – provandola sulla sua pelle – la disperazione degli homeless. «Abbiamo girato in digitale, scene molto lente. Quella in cui chiedo l’elemosina, in una delle vie principali di New York, dura 45 minuti e in 45 minuti nessuno mi ha guardato in faccia. Anch’io ero diventato invisibile», spiega l’attore. Che nel film, nei panni di George, vaga da un rifugio a una mensa, senza documenti e senza storia. In cerca di brandelli di memoria, relazioni e dignità. “Invisible”, sugli schermi dal 15 giugno, racconta l’America, ma narra anche le nostre metropoli. Mostra il passo breve che può far precipitare vite “normali” in un buco senza fondo. Richard Gere è volato fino in Italia per lanciare un film che «coraggiosamente la Lucky Red ha voluto distribuire in Italia pur immaginando che, dato il tema, il guadagno forse non sarà così importante come per gli altri film. Ma ad Andrea Occhipinti, che fa l’imprenditore, ho detto: “Dobbiamo definire il concetto di profitto. Il profitto si misura per la quantità di bene che possiamo fare nel mondo e non solo in termini di denaro”».
E per l’anteprima di questo film di 117 minuti, Gere ha scelto un pubblico d’eccezione: gli ospiti e i volontari della mensa di Sant’Egidio, in via Dandolo, a Roma. All’ingresso rende omaggio a Modesta Valente, la prima “invisibile” che Sant’Egidio ricorda ogni anno, fin da quando la donna morì, 33 anni fa, alla stazione Termini non soccorsa dall’ambulanza perché era sporca. E poi nei locali mensa (che forniscono oltre 600 pasti al giorno) trasformati in cinema, Gere abbraccia «tutti questi fratelli e sorelle che sono davanti a me e mi scaldano il cuore».
Li guarda in volto, uno a uno, li incoraggia, convinto che «sono le persone che curano le persone. A cambiare le cose non sono i soldi, non sono i governi, non è la politica, ma sono gli esseri umani, il collegamento tra gli esseri umani, il guardarsi negli occhi, il saper ascoltare le storie degli altri. Questo è l’inizio di qualsiasi processo di guarigione, psicologica, emotiva, ma anche fisica».

TUTTO È NATO DA UN LIBRO

Pino, Marta, Alessio, Giovanni sono in prima fila. Vedono scorrere sullo schermo la vita che è anche la loro: «Ci riconosciamo nei silenzi, nel rumore della città che scandiscono la nostra quotidianità, nella fatica per cercare un posto per dormire, nella burocrazia che rende difficile avere ancora dei documenti quando non hai un domicilio da dichiarare», dicono quasi in coro. «Non è un tema improvvisato», chiarisce l’attore, «la sceneggiatura è basata sul resoconto, sul racconto della realtà, senza cercare di commuovere. Non abbiamo cercato l’effetto per far piangere, abbiamo semplicemente raccontato quello che vivono queste persone giorno dopo giorno».
La svolta, per Gere, arriva con la lettura di un libro, Land of the lost souls: my life on the streets, scritto da un senza tetto del Queens. «Naturalmente Cadillac man, il nome con il quale ha firmato il libro e con cui era noto per strada, è diventato mio amico e ha fatto da supervisore a tutto il film», continua l’attore americano. «Pensavo a lui ogni volta che giravo una scena. E ho capito come si può sentire una persona che ha perso qualunque contatto con gli amici, la famiglia, gli affetti. Ho capito come siamo noi come essere umani e di quanto sia tutto molto delicato, di come la differenza tra essere una persona integrata nella società ed essere dall’altra parte e perdere tutto sia una differenza piccolissima. Questa esperienza mi ha aiutato a capire l’estrema vulnerabilità di tutti noi. Ciascuno, in pochissimo tempo, potrebbe ritrovarsi a vivere nella strada ed essere considerato invisibile».

HOMELESSZERO. UNA CASA PER TUTTI PERCHÉ È UN LUOGO SICURO

  

A New York sono 60 mila, quasi un milione negli Usa. Numeri imponenti in un continente vasto. Ma il fenomeno è in crescita anche in Italia. In tutto il Paese sono oltre 50 mila i senza dimora, 7 mila soltanto a Roma. La Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (fio.Psd), in occasione della presentazione dei dati dell’“Indagine sui senza dimora” (cui ha partecipato anche la Caritas) e delle “Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia” ha lanciato la campagna #HomelessZero. Il progetto, che vede la partnership di Richard Gere, vuole proporre su tutto il territorio nazionale politiche abitative innovative per garantire una casa ai senza dimora. «Il diritto alla casa», dicono i promotori, «significa riconoscere l’abitazione come porta di accesso ai servizi, come luogo sicuro, confortevole e adeguato dal quale ripartire con un percorso di accompagnamento sociale professionale che affronti tutte le problematiche legate ai senza dimora: la cittadinanza, la residenza, la salute, il lavoro, la cultura, la socialità, il godimento dei beni comuni, il diritto alla partecipazione e alla rappresentanza». Per il progetto, rilanciato nella serata inaugurale del TaorminaFilmFest, Richard Gere ha messo all’asta un prezioso orologio ricevuto presso l’ambasciata americana in Italia

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