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lunedì 05 giugno 2023
 
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Riconoscimento dei figli di genitori omosessuali: i veri valori in gioco

23/03/2023  La questione dei figli nati all’interno di una coppia omoafettiva è tornata alla ribalta della cronaca. La posizione di Famiglia Cristiana espressa dal direttore don Stefano Stimamiglio nella rubrica "Colloqui col padre" sul numero in edicola da oggi

Caro don Stefano, il dibattito in corso sul riconoscimento della genitorialità ai figli delle coppie omosessuali è molto complicato e mi sento confusa. Da quanto riesco a capire sentendo le varie opinioni esistono interessi diversi e ugualmente fondamentali in gioco. In una società moderna e plurale, in cui esiste pieno riconoscimento dei diritti delle persone a prescindere (anche) dalla tendenza sessuale, non capisco il divieto di poter iscrivere questi bambini (che pure esistono!) all’anagrafe dei Comuni come figli di una coppia omosessuale. Ma, d’altro canto, mi dà fastidio l’arroganza di tante manifestazioni (come quella di sabato 18 marzo a Milano) che urlano, pretendono…

Una lettrice confusa

La questione dei figli nati all’interno di una coppia omoafettiva è tornata alla ribalta della cronaca a causa di due questioni sorte contemporaneamente in questi giorni e con alla base la stessa domanda: consentire o no automaticamente la registrazione all’anagrafe di un bambino a nome di entrambi i partner, atto che in termini giuridici si chiama “filiazione”? La prima riguarda lo stop della Commissione politiche europee del Senato che, su impulso di Fratelli d’Italia, ha negato il consenso alla proposta di un Regolamento Ue sul riconoscimento automatico dei figli (anche) di genitori dello stesso sesso, in vista di un certificato europeo di filiazione (in pratica la possibilità che il riconoscimento di un figlio di una coppia omosessuale, avvenuto in un paese più “liberal”, possa valere anche nel nostro). Dall’altro, una circolare del ministero dell’Interno che, in seguito a una sentenza del dicembre scorso della Corte di Cassazione, ha richiamato i sindaci (il poi è di fatto esploso a Milano) a registrare come genitore di una coppia omosessuale maschile solo il padre biologico, quello, cioè, che ha donato il seme in una maternità surrogata, e non il partner, salvo che questi non voglia intraprendere, in attesa di una legge che regoli questa fattispecie, il più complicato percorso dell’adozione. Non si tratta di una sentenza “contro” le coppie omogenitoriali, ma piuttosto contro la “maternità surrogata” (più comunemente conosciuta come “utero in affitto”), vietata nel nostro ordinamento dalla legge n. 40/2004 sulla procreazione assistita e a cui, però, di fatto ricorrono all’estero le coppie omosessuali maschili (oltre alle coppie eterosessuali sterili) per soddisfare il loro desiderio di avere un figlio. Cos’è;la maternità surrogata? È l’abominevole pratica dell’affitto (sic!) del grembo di una donna (ovviamente a pagamento) da usare come mezzo per avere al termine della gravidanza un neonato generato in laboratorio con i gameti – ovuli e spermatozoi – forniti da donatori esterni alla coppia “committente”; oppure, in caso di coppia omosessuale maschile, con gameti femminili di una donatrice e liquido spermatico di uno dei due aspiranti genitori (detti anche “genitori intenzionali”). Si tratta di una pratica accompagnata dallo squallore di un vero e proprio business milionario costruito intorno a queste donne (spesso di Paesi poveri) e a chi paga il loro “servizio” e dalla barbarie di contratti, che spesso prevedono anche l’eventualità dell’aborto su richiesta dei committenti in presenza di malformazioni o di gravidanze gemellari. Una pratica che vede il figlio non come un dono, come realmente è, ma come un vero e proprio “prodotto”, che usa il corpo della donna ledendo la sua dignità umana e che priva, allo stesso tempo, il figlio di un legame con chi lo ha procreato, cullato in seno per nove mesi e partorito. Contro questa pratica, peraltro, si esprimono con toni forti anche molti esponenti della sinistra e soprattutto del movimento femminista, che vedono in essa una vera e propria lesione della dignità della donna. Cosa dire della questione sollevata nella lettera? Il figlio nasce da due identità generanti, una maschile e una femminile. È un dato insopprimibile. Così dice la realtà e la realtà non mente. C’è un padre e c’è una madre. Questo rapporto naturale si consolida poi con il tempo e con il supplemento del cuore nel suo naturale contesto, la famiglia, il luogo migliore in cui un bambino possa crescere. A volte, però, dove non arriva la natura e accade un incidente di percorso (la morte dei genitori, il loro rifiuto del figlio, violenze domestiche, ecc.) sopravviene la possibilità dell’adozione, che crea rapporti di filiazione su presupposti diversi, ma di uguale dignità rispetto a quelli naturali. L’adozione è un rimedio al male dell’abbandono materiale e morale di un bambino e si basa sul diritto del figlio ad avere un padre e una madre. La preferenza è per l’unitarietà delle figure genitoriali. Nell’adozione la scissione tra genitorialità biologica e genitorialità sociale/ legale e affettiva non è cercata né voluta: è una “riparazione” di situazioni che, grazie a Dio, oggi sono seguite con molta cura. Viceversa, la logica introdotta con le tecnologie di riproduzione umana, che arrivano anche alla pratica dell’affitto di un utero, puntano a frammentare la genitorialità, rovesciando la prospettiva dei diritti: non ci si basa sul diritto del figlio ad avere un padre e una madre, ma sul preteso diritto degli adulti ad avere un figlio a tutti i costi. Tornando alla delicata questione del riconoscimento dei figli di coppie omosessuali, è chiaro che i bambini meritano tutta le tutele possibili. È necessario, però, non dare la stura alla moltiplicazione di situazioni che in partenza non sono rispettose del diritto del bambino a crescere con un padre e una madre. La Corte di Cassazione, come detto, per le coppie omosessuali maschili ammette oggi la registrazione all’anagrafe come figli di un solo genitore, quello naturale, ma consente al genitore non biologico il ricorso al complicato percorso di adozione. Lo stesso processo avviene per le coppie omosessuali femminili. La nostra società non è solo plurale, come dice la nostra lettrice, ma è anche complessa, se non altro per l’introduzione delle tecniche di procreazione che mettono pesantemente in discussione il normale processo generativo di un figlio e, quindi, lo stesso istituto della filiazione, che per molti secoli è rimasto invariato. Questa situazione realizza la possibilità di soddisfare ogni desiderio trasformandolo indebitamente in diritto in nome di quella che Benedetto XVI definiva la “dittatura del relativismo”, perché non considera le gravi implicazioni che tale soddisfazione produce. Se occorre, quindi, il rispetto per tutte le posizioni, deve essere chiaro che qui sono in gioco fondamentali questioni giuridiche ed etiche che riguardano la filiazione, la genitorialità, la corporeità. Giustamente i bambini non devono mai subire discriminazioni, ma il tema dell’uguaglianza non può essere strumentalizzato per legittimare situazioni pianificate in partenza come “fabbriche” di bambini che passano anche per lo sfruttamento dei corpi delle donne. Si tratta del difficile compito di contemperare, con intelligenza e con un supplemento d’amore, due interessi che, per via di un processo avviato e prodotto artificialmente, si oppongono: quello del bambino a non sentirsi discriminato e quello della donna di non vedersi usata nell’oscuro mercato della maternità surrogata, il cui divieto verrebbe facilmente aggirato nel caso di un automatico riconoscimento della filiazione (mettendo l’ufficiale di anagrafe di fronte al fatto compiuto). Una scelta difficile che prima o poi il legislatore dovrà fare, come gli ha chiesto la Corte costituzionale nel 2021. Ma al di là di tutto, siamo chiamati a riflettere in profondità sul significato del generare e dell’essere generati.

 

(Nella foto, la manifestazione delle Famiglie Arcobaleno in piazza della Scala, il 18 marzo scorso)

 
 
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