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domenica 15 settembre 2024
 
 

L'Africa non è la discarica d'Europa

21/10/2012  Nel 2006 una nave noleggiata dalla società petrolifera Trafigura esportò rifiuti tossici in Costa d'Avorio. Amnesty International e Greenpeace pubblicano un rapporto sulla vicenda.

Nell’agosto del 2006, la nave Probo Koala, noleggiata dalla compagnia petrolifera britannica Trafigura, scarica rifiuti tossici ad Abidjan, in Costa d’Avorio. I residui di lavorazione contengono due tonnellate di idrogeno solforato, una sostanza altamente velenosa: oltre 100.000 persone vengono ricoverate e 15 muoiono.  «I miei bambini avevano gli occhi rossi e la febbre. Sentivano freddo, uno aveva la diarrea. Hanno avuto la febbre per almeno due settimane», racconta Jérôme Agoua, presidente dell’associazione delle vittime del disastro, che era ad Abidjan quel 20 agosto 2006 quando, come tante altre persone che vivevano nell'ex capitale, si è svegliato con l’odore nauseabondo dei rifiuti tossici riversati in diverse parti dalla multinazionale Trafigura. 

Amnesty International e Greenpeace International pubblicano ora un rapporto, "La verità tossica", frutto di tre anni di ricerche, che dimostra come in mancanza di un sistema efficace di applicazione delle leggi internazionali, la Trafigura abbia cercato di trarre profitti senza tener conto del costo umano e ambientale. Le due Ong indicano una serie di raccomandazioni per la comunità internazionale, come ad esempio l’adozione di linee guida per evitare che le aziende transnazionali si sottraggano alla responsabilità per l’impatto delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente. "Chiediamo al Governo britannico di aprire un’indagine penale visto che la gran parte delle decisioni sono state prese dal gruppo britannico della Trafigura e al Governo ivoriano di garantire che le vittime siano risarcite e di rivedere l’accordo concluso con la multinazionale nel 2007, che le ha garantito ampia immunità", si legge nel rapporto.  

Lo scorso 23 dicembre un tribunale olandese ha respinto il ricorso presentato da Trafigura contro la sentenza che l'aveva condannata, in quanto aveva tenuto nascosto alle autorità olandesi la reale natura e la pericolosità dei materiali che intendeva scaricare ad Amsterdam e, successivamente, per aver illegalmente esportato il carico di rifiuti tossici in Costa d'Avorio. La sentenza ha anche stabilito che la municipalità di Amsterdam poteva - come ha fatto – appellarsi all'immunità, pertanto non dovrà rispondere per aver permesso alla nave che trasportava i rifiuti di lasciare il porto. L'Amsterdam Port Services, l’azienda che doveva occuparsi di smaltire i rifiuti in Olanda, è stata assolta in quanto ha commesso "un errore perdonabile dal punto di vista della legge".  

Questa sentenza è importante soprattutto perché la Trafigura ha sempre negato la sua responsabilità, anche quando ha firmato un accordo con il Governo della Costa d'Avorio per bonificare i terreni inquinati e versare un risarcimento (2007) e quello extragiudiziale (2009) con uno studio legale di Londra, che rappresentava le 30.000 vittime ivoriane che avevano intentato un'azione giudiziaria presso l'Alta corte d'Inghilterra e Galles. Pur essendo una tappa significativa verso la giustizia per le vittime di questo disastro, questa sentenza però si è concentrata solo sui reati commessi in Olanda e non ha considerato le violazioni dei diritti umani avvenute in Costa d'Avorio.

Come sottolinea Amnesty, è indispensabile, invece, che le condotte illecite delle multinazionali siano perseguibili sia che causino violazioni dei diritti umani nel territorio in cui hanno sede sia all’estero. E l'Africa non può essere la nostra discarica di rifiuti tossici, come a qualcuno farebbe comodo. Finché Trafigura non verrà portata in tribunale e non pagherà per le sue responsabilità non ci sarà giustizia e nessuna garanzia che storie come questa non si ripetano. «Non è troppo tardi perché sia fatta giustizia, perché delle informazioni esaustive sulla natura esatta dei rifiuti sversati vengano fornite alla popolazione di Abidjan e perché Trafigura paghi per i reati commessi», afferma Kumi Naidoo, direttore di Greenpeace International.

 
 
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