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giovedì 14 novembre 2024
 
 

Usa, un porto per tutti i rifugiati

12/07/2012  Gli Stati Uniti ogni anno accolgono un numero di rifugiati superiore a quello di tutti gli altri Paesi del mondo. Merito di un sistema funzionale che favorisce l'integrazione.

Da Washington - Gli Stati Uniti, che da soli ogni anno accolgono un numero di rifugiati superiore a quello di tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme, hanno messo a punto l’assistenza ai rifugiati nel 1975 all’indomani della caduta di Saigon. Da allora più di 3 milioni di persone sono state accolte in America. Di queste circa la metà, dopo cinque anni di permanenza nel Paese, ha deciso di diventare cittadino americano. Col passare degli anni i rifugiati che sono accolti in America hanno cambiato nazionalità. All’inizio erano soprattutto vietnamiti, adesso provengono perlopiù da Iraq, Afghanistan, Iran, Eritrea, Bhutan e Burma.

I rifugiati, spiega un comunicato del Dipartimento di Stato, contribuiscono al benessere della nazione che li ospita con la loro abilità di svolgere molteplici tipi di lavoro non solo manuale ma anche nel campo accademico delle arti, delle scienze e della tecnologia. È per questo motivo che siamo orgogliosi di celebrare ogni anno il loro successo nel rifarsi una vita, ma allo stesso tempo non dimentichiamo coloro che continuano a vivere nei campi profughi. Da Burma al Pakistan fino al Bangladesh, per non parlare del Medio Oriente, Palestina inclusa, circa 15 milioni e duecento mila persone vivono ancora in campi profughi. La metà sono bambini. Uno dei primi campi profughi è stato allestito nel 1960 in Nepal.

Per dare ancora maggiore importanza all’integrazione dei rifugiati, quest’anno, nella giornata mondiale loro dedicata (20 giugno), il Dipartimento di Stato ha organizzato una cerimonia di naturalizzazione nel corso della quale 19 ex rifugiati hanno giurato fedeltà alla Nazione, ottenendo in questo modo la cittadinanza americana.

L’ ambasciatrice dell’Alto Commissiariato dell’Onu per i Rifugiati Angelina Jolie ha celebrato la giornata del profugo 2012 donando 100 mila dollari per i campi di accoglimento in Siria. Nell’annunciare il suo contributo l’attrice ha spiegato: “Sfortunatamente il mondo produce rifugiati più rapidamente di quanto le associazioni umanitarie riescono ad accogliere queste persone e risistemarle”. “La comunità internazionale - ha poi aggiunto la Jolie - dovrebbe dedicarsi di più alla prevenzione dei conflitti, gestirli quando scoppiano e risolverli rapidamente”.

Da Washington - Ci sono diversi modi, tutti difficilissimi, per essere accolto come profugo in America. Perlopiù le persone costrette ad abbandonare le loro case e il loro Paese si rivolgono all’Alto Commissariato dell’Onu. Altre presentano personalmente domanda alle varie ambasciate americane. Altri ancora sono segnalati al Governo americano dalle varie NGO, le organizzazioni non governative che operano in Paesi in difficoltà.

Quando una persona, o un nucleo famigliare è segnalato all’attenzione degli americani, scatta una rete di controlli di sicurezza che terminano con l’intervista dell’interessato e il suo dossier passa nelle mani di un funzionario dell’Homeland Security. Se non ci sono intoppi il rifugiato è poi assegnato a questo o quello Stato della federazione americana dove 10 Volag (Voluntary Agency) hanno in appalto l’accoglimento e integrazione dei rifugiati. La scelta dello Stato di destinazione del rifugiato varia da un’eventuale richiesta dell’interessato che ha qualche membro della famiglia già in America o dal mestiere che può svolgere.

In Virginia la chiesa luterana (LIRS Lutheran Immigrant and Refugee Servces) svolge un eccellente lavoro di accoglimento e integrazione dei profughi. “L’arrivo di un profugo”, spiega una funzionaria, “è un affare complesso. Noi abbiamo a disposizione 90 giorni per integrarlo completamente. Sulla carta sembrano tanti, in realtà sia noi che loro corriamo ventre a terra”.

Il tutto inizia con l’accoglimento in aeroporto dove un funzionario del Lirs che parla la lingua delle persone in arrivo, li riceve e li accompagna nella casa di uno dei tanti volontari dove è stata preparata una cena con cibo tipico del Paese del profugo. All’ indomani i nuovi arrivati sono trasportati al quartiere generale dell’LIRS di Falls Church, a venti chilometri da Washington, dove un funzionario e un interprete li sottopongo a un briefing di tre ore in cui è spiegato loro che avranno diritto a un contributo temporaneo di 1150 dollari (915€) per persona, compresi i bambini, al mese. Poi viene fatta compilare loro la richiesta della carta verde (permesso di soggiorno e lavoro) e, con l’ aiuto del funzionario del Lirs, il capo famiglia esamina le possibilità di lavoro per rendersi conto di come e quando può ragionevolmente ambire a un posto.

Un altro compito che gli è dato immediatamente è quello di cercare casa per diventare nel più breve tempo possibile autosufficiente. Non appena il rifugiato trova casa il Lirs fornisce scorte di cibo, generi di prima necessità e detersivi per alcune settimane. Nel briefing del secondo giorno i rifugiati sono sottoposti a un controllo medico, compilano le domande per l’assistenza medica gratuita che in America spetta agli indigenti e per l’iscrizione alla scuola dei figli.

In pratica secondo la tabella di marcia del Lirs i nuovi arrivati devono essere in grado entro cinque giorni dall’arrivo d’avere le idee chiare su come diventare autosufficienti, entro sette d’aver presentato domanda per il permesso di lavoro, entro dieci d’aver imparato a muoversi con i mezzi pubblici per recarsi all’agenzia di collocamento, alle varie interviste con datori di lavoro e svolgere le pratiche burocratiche senza chiedere, nel limite del possibile, aiuto ai volontari del Lirs. Entro 30 giorni devono aver fatto tutte le vaccinazioni necessarie e aver cominciato, se non a lavorare, almeno l’addestramento per un posto.

Da Washington - Molti dipendenti del Lirs di Falls Church in Virginia sono ex rifugiati. “È più facile”, spiegano, “assistere un rifugiato se si sa esattamente, per averlo sperimentato personalmente, quale è il loro stato d’animo”.

“Diventa tutto più facile quando cominciamo ad aiutarli perché ci ricordiamo i nostri problemi e siamo in grado di dare loro eccellenti consigli” spiega con un accattivante sorriso Mamadou Sy, il direttore del Lirs per la Virginia del Nord. Mamadou Sy è un egittologo laureato all’università del Senagal. Ha 40 anni ed è arrivato come rifugiato in America nel dicembre del 2000. Ha alle spalle una storia di persecuzioni etniche e la sua famiglia è stata deportata nel 1989 in Senegal dalla Mauritania.

Dopo un inizio confuso (succede a tutti i rifugiati), Mamadou Sy è entrato a testa alta nel sistema americano, si è ricongiunto con la fidanzata conosciuta all’università in Senegal, si è sposato e ora dirige il centro di Falls Church. “Molti figli di rifugiati si inseriscono talmente bene nel sistema”, spiega con orgoglio Mamadou Sy, “da diventare diplomatici o militari in carriera”.

I due rifugiati più famosi, di cui l’America va ovviamente fiera, sono diventati ambedue segretari di stato (ministro degli esteri). Si tratta di Henry Kissinger, di origine tedesca, che ha servito il suo paese di adozione sotto i presidenti Richard Nixon e Gerald Ford, e Madeleine Albright, nata in Cecoslovacchia, nominata da Bill Clinton. Ambedue sono stati accolti come rifugiati in Usa perché fuggivano dal regime nazista.

Senza mai abbandonare il suo sorriso Mamadou spiega come funziona. “Appena arrivano in questo paese, sono tutti eccitatissimi per tutto ciò che si vede e che ovviamente supera le aspettative. A mano a mano che passano i giorni, diventa tutto un po’ più difficile. La burocrazia, facile ma inflessibile, le barriere di lingua, i problemi su come inserire i figli a scuola, l’alto costo della vita”. Poi, piano piano, i nuovi arrivati si inseriscono nel sistema e qui, l’ex rifugiato che lavora al Lirs, è di grande aiuto. Succede in pratica sempre che, senza rendersene conto, oltre a raccogliere informazioni i capi famiglia adottano il concetto del “se l’ha fatto lui o lei che è arrivato qui prima di me, lo posso sicuramente fare anch’io”.

“Molti ex rifugiati”, rivela con orgoglio Mamadou Sy, “hanno fatto fortuna, sono diventati datori di lavoro e assumono personale che noi raccomandiamo loro.
Abbiamo un ex rifugiato che ogni anno, nella giornata mondiale del profugo, offre cibo per tutti i partecipanti alla festa”. “Una volta l’ anno”, spiega poi Mamadou Sy, “organizziamo anche un pranzo per ringraziare i datori di lavoro della zona che assumono i nostri rifugiati”

 
 
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