Un momento della presentazione del Rapporto del Centro Astalli, durante l'intervento del sindaco di Roma Ignazio Marino.
Ben 37 mila migranti
forzati assistiti, di cui 21 mila solo nella capitale, e 713 vittime
di tortura curate lo scorso anno grazie all’associazione Centro
Astalli, ramo italiano del Jesuit refugee service che opera in otto
città: da Trento a Palermo, da Vicenza a Catania, da Milano a Roma,
da Padova a Napoli.
Sono alcune delle cifre contenute nel tredicesimo
Rapporto dell’associazione, presentato a Roma. E i servizi di
accoglienza sono resi possibili «da 486 volontari, oltre a 49
operatori professionali», precisa Berardino Guarino, direttore dei
progetti targati Centro Astalli.
«La crisi economica
continua a colpire in modo particolare i più vulnerabili. Anche
persone che da tempo avevano intrapreso un percorso di autonomia sono
state costrette a rientrare nel circuito dell’assistenza», osserva
il gesuita padre Giovanni La Manna, presidente dell’associazione,
precisando: «La permanenza nei centri di accoglienza continua ad
allungarsi. Gli operatori continuano un lavoro intenso di
orientamento degli ospiti, valorizzando le reti territoriali
esistenti. Desta particolare preoccupazione il caso di quelle persone
che hanno necessità di trovare lavoro al più presto anche per
mantenere la regolarità del soggiorno: è il caso dei titolari di
permesso di soggiorno per motivi umanitari o dei molti migranti
neo-maggiorenni».
Nel 2013 allo
sportello-lavoro dell’associazione si sono rivolte «molte donne,
soprattutto africane, di età compresa tra i 40–50 anni, che vivono
da molti anni in Italia, alla ricerca dell'ennesimo lavoro di
assistenza agli anziani. Il lavoro di cura alla lunga è logorante e
la maggior parte di queste donne arrivano a 50 anni con seri problemi
fisici, che ostacolano la ricerca di una nuova occupazione e, più in
generale, la loro vita quotidiana», evidenzia il Rapporto.
E le
famiglie rifugiate «richiedono un’attenzione particolare. Il
periodo medio di permanenza nel “Centro per famiglie Pedro Arrupe”
ha ormai superato i 12 mesi. Sempre maggiori sono le difficoltà nel
trovare un’occupazione e un appartamento in affitto, adeguato alle
esigenze del nucleo familiare e a un prezzo sostenibile. Mancano sul
territorio strutture di seconda accoglienza o di semi-autonomia dove
si potrebbero accompagnare i nuclei familiari a una graduale
autosufficienza. Un percorso quotidiano che si è fatto arduo anche
per le famiglie italiane, che pure spesso possono contare su reti di
sostegno parentali e amicali, diventa per le famiglie rifugiate una
sfida impari.
Rifugiati accolti al Centro Astalli.
Risorse pubbliche drammaticamente insufficienti
Drammatica la situazione
delle vittime di tortura: quasi la metà di quelle seguite dal Centro
di orientamento legale dell’associazione «ha dichiarato di vivere
per strada (15%), in edifici occupati o di essere saltuariamente
ospitati da amici e conoscenti (34%).
Spesso il disagio emerge anche
nei centri di accoglienza: a “La Casa di Giorgia” un alto numero
di ospiti sono risultate affette da problemi psichici anche gravi,
conseguenze dei traumi e delle violenze subite, che necessitano di
cure e assistenza specializzata».
Non solo, denuncia il Rapporto: «A
causa degli ingenti tagli alla sanità, si è molto ridotta la
capacità del territorio di fornire assistenza alle persone la cui
salute mentale è duramente provata da traumi passati e presenti. Le
risorse pubbliche per la salute mentale sono ormai drammaticamente
insufficienti. Eppure un accompagnamento specifico e mirato potrebbe
prevenire la maggior parte dei casi di acutizzazione e
cronicizzazione, evitando che si creino casi paradossali e pericolosi
di esclusione: un rifugiato che soffre di un disagio mentale grave,
che non consente di condurre vita comunitaria, di fatto spesso
finisce con l’essere completamente abbandonato a se stesso».