“Rifugiati, profughi, sfollati” di Nadan Petrović è un libro denso ma agile, che racconta come l’Italia sia passata da luogo di transito per coloro che fuggivano dall’Est verso il “Mondo libero” a paese di destinazione finale di un sempre maggior numero di richiedenti e titolari di asilo politico. Nel 2008, per esempio, con 31.097 l’Italia è stata il quarto posto tra le mete scelte per la richiesta di protezione internazionale, dopo gli Stati Uniti, Canada e Francia. «Una terra d’asilo, oltreché un paese d’immigrazione», dunque. Come ricorda Predrag Matvejević nella sentita postfazione, il libro nasce dalla storia personale dell’autore, arrivato in Italia nel 1992 a seguito della guerra nella ex Jugoslavia, e dalla sua esperienza professionale: Petrović ha svolto un ruolo di primo piano nella costruzione del dispositivo nazionale d’asilo, collaborando con il Governo (è stato direttore del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), le Nazioni Unite, la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa.
Se nel corso dei secoli non sono cambiate di molto le cause che costringono alcuni uomini ad abbandonare la loro terra di origine (come ha detto il Papa, «anche Gesù fu un profugo, è un dovere accogliere»), sono, per fortuna, cambiate le disposizioni a tutela di “Rifugiati, profughi, sfollati”. Nel caso italiano, queste sono figlie della Costituzione e di quell’articolo 10 secondo cui «lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Una definizione attorno a cui ci fu un dibattito vivace nell’Assemblea Costituente e che alla fine risultò più ampia e inclusiva di quella prevista da altre Costituzioni, come quella francese, e della stessa Convenzione internazionale di Ginevra del 1951. Spiega Petrović: «Una scelta matura e consapevole, formulata dai Padri costituenti dopo approfonditi confronti», che arrivava dopo le persecuzioni politiche e razziste del Fascismo e della Seconda guerra mondiale.
Fino alla caduta del Muro di Berlino (dal 1952 al 1989 sono state presentate 188.188 domande di asilo), in Italia valeva però la “riserva geografica”, per cui si concedeva l’asilo solo ad europei; in base ad un implicito accordo internazionale, insieme all’ Austria e alla Jugoslavia, l’Italia costituiva infatti il paese di “primo asilo” per chi fuggiva dai regimi comunisti, mentre ad altri (Germania, Francia, Inghilterra ma innanzitutto Stati Uniti, Canada e Australia) veniva affidato il compito di una protezione più stabile e sistematica. Ci furono tuttavia delle deroghe: 609 cileni rifugiatisi nell’Ambasciata italiana di Santiago del Cile dopo il golpe di Pinochet nel settembre 1973, 3336 “boat people” del Sud-est asiatico (cambogiani, laotiani e sudvietnamiti) nel 1979 e altri piccoli gruppi di iracheni, afghani e ghanesi. Con il crollo del mondo bipolare e dell’“equilibrio del terrore”, cambia lo scenario: la fine di chi scappava dall’Est per ragioni politiche, nuovi conflitti locali in varie aree del mondo, l’Unione Europea e gli standard nell’accoglienza, le emergenze umanitarie (somala, jugoslava, albanese, kosovara) degli anni ‘90 che hanno visto l’Italia in prima fila. Petrović segue la conseguente evoluzione del quadro normativo, dalla Legge Martelli del 1990 alla Bossi-Fini del 2002, dall’entrata a pieno regime dello Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo) alla tutela dei minori non accompagnati, dalle disposizioni regionali a quelle europee.
Accanto a quella italiana, è infatti l’attività del legislatore europeo che plasma un nuovo ordinamento per i membri dell’Unione. Su tutti, il regolamento di Dublino II del 2003 che stabilisce i criteri di chi è competente per le domande di protezione: è lo Stato in cui il richiedente asilo ha messo piede per la prima volta. Infine, si analizza l’approccio “emergenziale” alla materia, valorizzando al contrario l’originalità del modello italiano di accoglienza, basato sulla realizzazione di interventi decentrati e integrati, promossi dalle associazioni del privato sociale e dagli enti locali. Petrović, nelle conclusioni, prova a indicare anche le criticità del sistema italiano, come la frammentarietà e la parzialità dovuta «all’esistenza di diversi circuiti autonomi e paralleli tra di loro». Serve invece una governance maggiore a livello nazionale e si sente la mancanza di una legge organica sul tema dell’asilo, di cui già i Padri costituenti avevano indicato la necessità nell’articolo 10, ma che aspetta, ancora oggi, di essere scritta.