E' aprile. Ma fuori sembra di essere a novembre. E
dentro è molto peggio. Il freddo fra i muri delle tre palazzine
dell'ex Villaggio olimpico a Torino occupate da oltre 400 profughi ti
paralizza. Sono quasi tutti africani, fuggiti dalla Libia nel 2011
dopo il crollo del regime di Gheddafi. Fino allo scorso febbraio sono
stati ospitati in comunità e centri di accoglienza, come previsto dal
progetto Emergenza Nord Africa. Poi, un po' per i soliti problemi
burocratici, un po' perché i soldi sono finiti, si sono ritrovati in
mezzo a una strada, per arrivare infine qui.
Tra loro, ci sono una
ventina di donne, nove bambini e alcuni malati, tra cui due
diabetici. La cosa incredibile è che a occuparsi di tutte queste
persone, 24 ore su 24, sono solo una ventina di giovani che hanno
costituito un comitato spontaneo: ci sono studenti universitari,
ragazzi dei centri sociali e altri che hanno deciso di dare una mano
semplicemente perché abitano in questo quartiere. Carlo Maddalena,
insegnante di italiano per stranieri, è uno di loro: “Alcuni
medici di Emergency ci hanno detto che verranno qui a visitare queste
persone. Hanno bisogno di tutto: cibo, acqua, materassi, coperte,
vestiti. Per fortuna il via vai di gente che viene ad aiutarci è
continuo: da suor Livia ai tanti abitanti del quartiere che hanno
capito che non stiamo offrendo ospitalità a delinquenti, ma a gente
fuggita da guerre e persecuzioni. Una condizione che, tra l'altro,
impedisce loro di cercarsi un lavoro all'estero: molti hanno provato
ad andare in Francia, ma sono stati respinti perché la normativa
europea sui rifugiati politici impone così. Noi del comitato siamo
disposti a collaborare con le istituzioni, ma finora non si è visto
nessuno”.
Nelle tre palazzine, nulla deve andare sprecato. Su un
frigorifero, un foglio scritto a pennarello verde avverte: “pasta e
tacchino da consumare (portati domenica)”. In un angolo, fra un
seggiolino per bambini e un mucchio di giocattoli, spunta una
videocassetta di “Rambo III”. "Devo scrivere questo messaggio anche in arabo: c'è qualcuno che può
aiutarmi?". Irene è una delle volontarie del comitato che più
si dà da fare in questi giorni. "Per la traduzione, basta Google, ma per
scrivere ho bisogno di qualcuno". Si fa avanti Sidi Mohamed, che copia
con pazienza il messaggio sulle cose da fare per il giorno dopo su vari
fogli che finiranno appesi sulle vetrate dove già trovano spazio cartelli
con informazioni sulle mense, su avvocati e medici che offrono
assistenza gratuita e sui centri per l'impiego. Nessuno vuole restare
con le mani in mano.
Parlando con loro, tutti ripetono che in Libia
avevano un lavoro e che per loro questa condizione è umiliante.
Provengono da vari Paesi africani, hanno religioni e lingue diverse,
eppure finora il rapporto è di grande collaborazione. “Ogni tanto
c'è qualche momento di tensione”, dice ancora Carlo, “ma quando
dici che per i tuoi 4 bambini per il momento c'è a disposizione un
solo materasso è facile capire perché”. Per il momento, tutti si
mettono diligentemente in fila per il pranzo che, in assenza di gas,
consiste in una manciata di foglie di insalata e di ceci,
accompagnati da una fetta di pane.
Il flusso di gente che arriva è
continuo e, da quando si è sparsa la voce, non tutti sono rifugiati.
Aisha, per esempio, studia lingue e letterature straniere
all'Università. Con i lavoretti che fa riesce a pagarsi la retta, ma
per dormire non sempre trova un'amica disposta a ospitarla e così ha
deciso di passare almeno qualche notte qui. Ahmed, invece, è da poco
uscito di prigione: “Ho fatto 13 anni. Una casa ce l'ho, ma ho
fame”. Prende il suo piattino di insalata e ceci e si mette a
chiacchierare con gli altri. Finora, insomma, è tutto tranquillo. Ma
quanto durerà? Di sicuro, i ragazzi del comitato non possono essere
lasciati soli. E alle persone che vivono qui bisogna trovare
un'alternativa al freddo di queste mura.
Eugenio Arcidiacono
Biagio, 29 anni, vive a Roma. E' arrivato a Torino per stare un po' con i genitori, ma quando ha saputo che a pochi passi da casa sua oltre 400 rifugiati vivevano assiepati in tre palazzine fatiscenti ha pensato di andare a vedere. Adesso è qui che lava i ceci e l'insalata che costituiranno il loro pranzo. "A Roma ho visto molte situazioni come questa. Solo che nella mia città, oltre agli immigrati venivano nelle case occupate venivano anche molti italiani. Non solo adulti, ma anche studenti universitari che non ce la facevano più a mantenersi. E' bello vedere che la gente del quartiere ha capito e cerca di dare una mano come può".
Lucilla 25 anni, da sei vive a Torino per studiare antropologia. "Sono qui perché ho sentito che c'era bisogno di qualcuno che parlasse e scrivesse bene in francese. Non sopporto quelli che pensano che chi è qui è venuto per rubare il lavoro che già per noi italiani non si trova. Non c'è differenza fra noi e loro: sono cittadini con i nostri stessi diritti fuggiti da situazioni terribili e se lo Stato li abbandona ci pensiamo noi giovani ad aiutarci a vicenda".
Luciano, 60 anni, arriva da Pinerolo, un paese a 30 chilometri da Torino. "Sono un pensionato, ho letto il giornale e ho pensato che forse le mie mani sporche e callose potevano servire ancora a qualcosa. Mi hanno detto che servono materassi e cibi in scatola. Domani li porterò".
Eugenio Arcidiacono
«Il problema è che, fin dall'inizio,
l'emergenza Nord Africa è stata gestita male». Non usa mezzi
termini Sergio Durando, direttore Ufficio Pastorale Migranti Diocesi
di Torino. Per chi da anni mette la propria vita al servizio dei più
poveri, i fatti di questi giorni non sono che l'ultima tappa di un
dramma annunciato. «Prendiamo il caso del Piemonte: dei 1.700
profughi arrivati in Regione, 1.500 hanno trovato accoglienza nella
Provincia di Torino (numero gravoso per un'amministrazione locale e
segno di un evidente squilibrio).
Le strutture ospitanti, spesso
impreparate, hanno finito per diventare dei "parcheggi".
Non solo: la maggioranza dei profughi – denuncia Durando - ha un
permesso di soggiorno umanitario, che scadrà a fine anno. Se nel
frattempo non riusciranno a trovare un lavoro, diventeranno degli
irregolari. Irregolari e in strada: una situazione vergognosa. Per
questo è fondamentale agire subito, col coinvolgimento di tutte le
istituzioni, dal Governo agli enti locali».
«Basta con le soluzioni precarie –
aggiunge don Fredo Olivero (Migrantes) – Il paradosso
dell'emergenza Nord Africa è che sono state spese somme enormi senza
avere una reale integrazione. A distanza di quasi due anni, molti dei
profughi non conoscono l'italiano, neppure in maniera elementare, il
che dimostra come i programmi previsti siano stati in larga parte
disattesi. Ora servono progetti concreti e mirati, tempi certi e
soluzioni abitative stabili. Di case libere a Torino e in Regione ce
ne sono tante. Bisogna coinvolgere il territorio. E' difficile, ma si
può fare».
Proprio in questi giorni il Comune di
Torino ha rinnovato per un altro anno l'accordo stipulato nel 2010
con il ministero dell'Interno riguardo a una serie di servizi a
favore di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale.
Difficile dire se e quanti dei profughi che occupano l'ex villaggio
olimpico abbiano i requisiti per accedere a questi progetti, ma
«stiamo facendo tutto il possibile, lavorando secondo criteri di
equità» ricorda Elide Tisi, assessore alle Politiche Sociali del
Comune di Torino. «Grazie ai percorsi Sprar (Sistema di Protezione
per Richiedenti Asilo e Rifugiati), la città aiuta ogni giorno 260
migranti – spiega l'assessore - Ma le richieste sono almeno il
doppio, ben oltre le nostre possibilità. E non dimentichiamo le 150
segnalazioni che abbiamo ricevuto dalla Prefettura riguardo a
soggetti particolarmente "fragili", soprattutto mamme,
bambini piccoli, malati, a volte anche gravi. Sono segnali eloquenti,
impossibili da ignorare. I percorsi Sprar, che non si limitano a
fornire vitto e alloggio, ma prevedono anche apprendimento della
lingua e formazione professionale, andrebbero potenziati e su questo
tema spero ci sia sensibilità da parte del ministero dell'Interno».
Non tutti a Torino, però, la pensano
così. «Per due anni l'Italia ha assistito i profughi con 35 euro
giornalieri cadauno, una cifra impensabile per molti dei nostri
esodati – afferma Fabrizio Ricca, capogruppo Lega Nord in Consiglio
Comunale - Ora, nei casi in cui è possibile, bisogna far ritornare
queste persone ai Paesi d'origine: sono profughi di guerra e se la
guerra è finita, è giusto pensare a un rimpatrio. Chi invece vuole
restare qui e lavorare deve mettersi in fila. Non si tratta di
discriminare nessuno, ma la situazione è oggettivamente drammatica.
Solo a Torino un negozio su tre chiude e se i pochi soldi rimasti
vengono usati per assistere i migranti, chi penserà ai nostri
anziani?».
Lorenzo Montanaro
Riportiamo il testo integrale dell'appello inviato a al presidente della Camera, Laura Boldrini, da parte del Movimento Rifugiati e Profughi.
Egregio Presidente Boldrini,
siamo quelle donne, quegli uomini, bambini e famiglie a nome dei quali Lei
per anni ha lavorato. Proprio quelle persone, prima costrette a lasciare i
propri cari per via di guerre, conflitti e carestie e poi trattenute nei
vari campi di detenzione alle porte della fortezza Europa.
Come Lei ben sa, in seguito al conflitto in Libia, siamo stati costretti a
fuggire ancor una volta sulle *carrette* della speranza affrontando il mar
Mediterraneo ormai diventato un vero cimitero.
Giunti sulle coste italiane, abbiamo creduto che il nostro calvario fosse
finito. Credevamo nell’Italia e nell’Europa come terre di democrazia,
giustizia e solidarietà. Invece siamo stati "imbarcati" in un piano
chiamato “Emergenza Nord Africa” il 6 aprile 2011 che doveva servire come
strumento di accoglienza ed assistenza.
Dopo due anni tale progetto, costato 1 miliardo 300 milioni di euro, è "
naufragato" e noi con esso. Siamo finiti per le strade della Regione
Piemonte, nelle stazioni dei treni e sotto i ponti, nell’indifferenza
generale, mentre i signori della "pseudo-accoglienza" si spartivano il
denaro a scapito delle nostre vite.
Egregio Presidente come Lei ben sa, oggi tutto è reso merce di scambio.
Però la dignità umana deve essere salvaguardata in ogni istante. Ed è in
nome di quella dignità che donne, uomini e bambini hanno occupato alcuni
stabili dell’Ex Villaggio Olimpico quando altre centinaia sono ancora sotto
le stelle al freddo.
Egregio Presidente, Lei per anni avrà sicuramente conosciuto le nostre
storie e provato a sentire le nostre voci, mentre i vari governi si
tappavano le orecchie. Oggi come alta carica dello Stato, confidiamo che
Lei non si limiterà ad una mera constatazione del nostro disaggio e dramma,
ecco perché chiediamo un impegno concreto e urgente verso quelle donne,
quegli uomini, bambini e famiglie dei quali per anni si è occupata.
Torino, 10 aprile 2013
Movimento Rifugiati e Profughi
Olivero: daremo loro un pasto caldo
Ha deciso di rifocillarli garantendo loro un pasto caldo, e ciò - il caso vuole - proprio a partire da giovedì 11 aprile, il giorno esatto in cui ricorrono i 50 anni dalla firma della Pacem in terris, la famosa enciclica di papa Giovanni XXIII. Il Servizio missionario giovani (Sermig) di Torino s'impegna a fornire un pranzo degno di questo nome agli oltre 400 profughi e rifugiati che hanno occupato tre palazzine dell'ex Villaggio olimpico. "Non sappiamo fino a quando potremo garantire questo servizio", spiega a Famiglia Cristiana Ernesto Olivero, fondatore e animatore del Sermig. "Sappiamo che quest'impegno si aggiunge a quello che già ci porta ad aiutare ogni giorno centinaia di emarginati di ogni colore e religione. E sappiamo di volerlo fare per amore di Dio oltre che per spronare le istituzioni a farsi carico di questa grave emergenza umanitaria".
"Rispondiamo con la massima generosità di cui siamo capaci perché ci sono uomini, donne e bambini che hanno bisogno di una mano", continua Olivero. Sappiamo che l'occupazione degli immobili rappresenta un' illegalità che deve cessare al più presto. Sappiamo altresì che queste persone hanno diritto a vedere tutelata la propria dignità di esseri umani e a vedersi garantito un futuro. Chi di dovere agisca".
Alberto Chiara
Alla partenza del corteo, gli automobilisti bloccati dai rifugiati in marcia non rifiutano i loro volantini distribuiti dai rifugiati. In giro non si vede nemmeno un poliziotto. Alla testa, c'è una carrozzina con un'enorme bambola di Biancaneve. Tutti intonano canti africani.
I circa 200 rifugiati, su oltre 400 che in questi giorni hanno occupato tre palazzine dell'ex villaggio olimpico a Torino, non hanno intenzioni bellicose e la gente, oltre alle forze dell'ordine l'ha capito. L'obiettivo è sfilare nel centro della città per raggiungere piazza Castello dove, al Teatro Regio, si inaugura la Biennale Democrazia, manifestazione in cui è prevista la presenza della presidente della Camera Laura Boldrini.
La speranza è di riuscire a parlare con lei. Nel frattempo, si mette a punto un comunicato. Alla stazione di Porta Nuova il corteo si ingrossa per la presenza di molti giovani italiani, molti provenienti dai centri sociali. La presenza delle forze dell'ordine è decisamente aumentata, ma tutto continua a essere tranquillo. Un rifugiato offre a un tipico travet torinese del cioccolato avanzato da un uovo di Pasqua: lui lo prende e apprezza. Quando il corteo finalmente arriva in piazza Castello, si diffonde la notizia che suscita molta delusione: i rifugiati non potranno parlare con la presidente Boldrini durante i lavori di Biennale Democrazia. "Ma come: si parla di Africa e noi non possiamo parlare?", sbotta Abu. "Siamo stufi di sentire parlare "esperti" per nostro conto, di essere trattati come persone incapaci di esprimere la loro volontà".
Resta però in piedi la possibilità che la Boldrini, dopo la sua lectio magistrlis, possa ricevere comunque una delegazione di rifugiati, in Prefettura o direttamente all'interno del teatro. Intanto, si sventolano gli striscioni, spesso multilingue e altrettanto spesso pieni si svarioni grammaticali, a volte divertenti, come quello che recita: "Più lavoro per totti". Alla fine, comunque, una buona notizia arriva. Il Sermig di Ernesto Olivero assicurerà da domani pasti caldi a pranzo e a cena ai rifugiati dell'ex Villaggio Olimpico.
Per risolvere l'altro grande problema, il freddo, non resta che sperare che finalmente la primavera arrivi anche qui.
Eugenio Arcidiacono
Occhi fissi negli occhi, a pochi centimetri di distanza. Alla fine del pomeriggio, finalmente una delegazione di 25 rifugiati riesce a incontrare il presidente della Camera Laura Boldrini in una saletta del teatro Regio. Non sono ammessi giornalisti, ma confondendoci con un piccolo gruppo del comitato spontaneo che invece ha avuto il via libera, riusciamo a passare.
Si capisce subito il perché di questo divieto. L'incontro dura circa un quarto d'ora. Ma è un quarto d'ora in cui non c'è spazio per frasi di circostanza. E' un botta e risposta serrato. Mohamed, 25 anni dal Ciad, racconta: "Siamo scappati dalla guerra in Libia, ci avete accolto qui in Italia ma dopo due anni ci ritroviamo a vivere sotto i ponti". Boldrini: "E' vero, il programma Emergenza Nord Africa ha avuto molte criticità. In particolare, sono stati stipulati accordi con enti che non avevano le competenze necessarie. Ma di questo fatto non ci avete rimesso solo voi, ma anche gli italiani che li hanno finanziati".
Altri chiedono una casa, un lavoro o almeno la possibilità di andare a cercar fortuna all'estero, cosa che l'attuale normativa europea non consente. Boldrini: "Non posso garantirvi la soluzione ai vostri problemi. Posso solo riferirli a chi ha il potere di intervenire, cioè il ministro dell'Interno che per altro è ben consapevole della situazione. Ma una cosa voglio dirvela. L'Italia vive un momento difficilissimo. Voi state male, ma tantissimi italiani non riescono a pagare l'affitto o a fare la spesa. Non sarebbe giusto dare l'idea che voi abbiate una corsia preferenziale, per esempio nell'assegnazione delle case. Vedo che siete giovani in gamba. Allora cercate di imparare l'italiano e di costruirvi la vostra vita".
A questo punto interviene pure il sindaco di Torino Piero Fassino: "Anche perché non può passare l'immagine che Torino possa far arrivare e ospitare migranti all'infinito. Oltre un certo limite, non ce la faremmo più". "Però bisogna garantire a chi c'è i bisogni primari e la possibilità di frequentare dei corsi di lingua", puntualizza la presidente della Camera. Il sindaco annuisce. L'incontro è finito. La Boldrini va via con Fassino. Un migrante non è soddisfatto: "Ma come faccio a frequentare una lezione di italiano dopo aver passato la notte sotto un ponte? Quando il maestro spiega, non capisco niente". Alla fine, il pomeriggio si conclude con una scena surreale. I rifugiati scendono le lussuose scale rosse del Teatro Regio scandendo in coro: "Noi vogliamo andare via!".
Eugenio Arcidiacono