Papa Francesco a Rio de Janeiro, dopo la Messa che concluse la Giornata mondiale della gioventù a Copacabana, il 28 luglio 2013. Foto Reuters.
La telefonata è del 19 settembre 2010. L'imam di Bergamo, Muhammad Hafiz Zulkifal, viene chiamato dal Pakistan, da un certo Umar Khan. Il colloquio è intercettato dall'antiterrorismo. Secondo quanto riportato dal quotidiano Repubblica, Khan parla di un attentato eccellente da compiere. Alcuni stralci delle sbobinature lasciano attoniti: «E' importante eliminare il loro plar ("capo"), ricordatelo», «Ci sono tanti soldi sul loro Papa. Stiamo facendo una grande jihad contro di lui». Zulkifal, precisa il cronista di Repubblica, interrompe il colloquio. Altre persone intercettate in altri momenti segnalano le migliaia di persone che ogni giorno affollano Roma, e piazza San Pietro in particolare, spingendosi a dire: «C'è un borsello che hai tu...».
Gli stralci riportati sono parte di circa 4 mila conversazioni (tra telefonate e registrazioni ambientali) ascoltate dalle nostre forze dell'ordine, corredo del lavoro investigativo che ad aprile ha portato la Procura di Cagliari a sgominare una cellula qaedista basata in Sardegna. Queste notizie assumono un particolare rilievo alla luce dell'operazione che all'alba di mercoledì primo luglio ha smantellato un'altra cellula jiadista, questa volta radicata a Roma: due cittadini maghrebini sono stati arrestati dai
carabinieri del Ros con l'accusa di terrorismo internazionale. Un terzo
indagato è già in carcere in Marocco accusato proprio di terrorismo.
Al centro
delle indagini della Procura di Roma una cellula di matrice qaedista che
"si proponeva anche - sottolineano gli investigatori - la
pianificazione ed esecuzioni di atti terroristici in Italia e in Nord
Africa". La presunta cellula terroristica nel mirino dei carabinieri del Ros è
risultata dedita al proselitismo, all'indottrinamento e
all'addestramento attraverso un sito internet creato e gestito dagli
stessi indagati.
C'è anche dell'altro. Un blitz della Polizia ha portato nelle province di Milano,
Bergamo e Grosseto e in una cittadina dell'Albania all'arresto di 10
persone appartenenti a due gruppi famigliari e ritenute pronte a partire
per combattere in Siria. L' operazione antiterrorismo "Martese" ha riguardato due nuclei famigliari, uno formato
da cittadini italiani convertiti da qualche anno all' Islam
e determinati secondo le indagini a partire per la Siria, l'altro
composto da cittadini di nazionalità albanese residenti nella provincia
grossetana.
Il legame tra le due famiglie è rappresentato dal matrimonio
tra una ragazza italiana (Maria Giulia Sergio; Fatima, dopo la sua conversione all'islam), e un albanese, che dopo le nozze del settembre
scorso hanno deciso di partire assieme per combattere in Siria. Gli arrestati sono 4 italiani, un canadese e 5 albanesi, accusati a vario titolo di associazione con finalità di terrorismo.
Tra gli obiettivi pianificati c'è anche il Papa? Fonti ufficiali del Vaticano, interpellate da Famiglia Cristiana, non commentano. Ufficiosamente si rimanda alle dichiarazioni rilasciate a metà gennaio da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede che, dopo l'ennesimo presunto allarme rilanciato dai media, aveva smentito che il Vaticano avesse ricevuto «segnalazioni di rischi specifici da servizi di sicurezza di altri
Paesi».
Padre
Federico Lombardi aveva poi puntualizzato: «Si conservano
i normali e opportuni contatti fra servizi di sicurezza, che facendo
riferimento alla situazione attuale invitano ad attenzione e ragionevole
prudenza, ma non risultano segnalazioni di motivi concreti e specifici
di rischio. Non è quindi il caso di alimentare
preoccupazioni non motivate, che possono
inutilmente turbare il clima di vita e di lavoro, e ciò anche
nell'interesse dei tanti pellegrini e turisti che quotidianamente
frequentano il Vaticano».
Rispetto a quanto detto cinque mesi fa non è emerso nulla di nuovo, nè di preciso, assicurano fonti autorevoli interne al Vaticano. C'è in ogni caso un fatto inequivocabile: chi si occupa della sicurezza del Pontefice si trova alle prese con una persona che gira su auto aperte, non
blindate, e cerca il costante contatto con la gente. Una prerogativa di tutti i Papi, non solo di Francesco.
Non mancano precedenti insanguinati. Il 27 novembre 1970, nel corso del viaggio nel Sud-Est asiatico, appena atterrato all'aeroporto di Manila, la capitale delle Filippine, papa Paolo VI fu vittima di un attentato da parte del pittore boliviano Benjamin Mendoza che, munito di un kriss, lo ferì al costato. Ulteriori danni furono evitati grazie al rapido intervento del segretario personale, monsignor Pasquale Macchi.
Tutti, poi, ricordano la data del 13 maggio 1981, giorno in cui - in piazza San Pietro - il turco Mehmet Ali Ağca, sparò due colpi di pistola contro Giovanni Paolo II, ferendolo gravemente. Meno noto, forse, un secondo tentato omicidio di cui fu vittima Karol Wojtyla. Il 12 maggio 1982, a Fatima, un uomo tentò di colpire il Papa con una baionetta, ma fu fermato dai servizi di sicurezza. Si trattava di un sacerdote tradizionalista spagnolo, Juan María Fernández y Krohn, che si opponeva alle riforme del Concilio Vaticano II e definiva il Papa un "agente di Mosca". Fu condannato a sei anni di prigione e poi venne espulso dal Portogallo.