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giovedì 01 maggio 2025
 
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Eutanasia, la risposta della fidanzata di deejay Fabo al fisiatra Mainini

02/11/2018  «Una legge che consideri gli individui come persone in grado di compiere delle scelte libere e consapevoli quando si trovano in condizioni estreme è segno di grande civiltà», scrive Valeria Imbrogno. «Il suicidio è sempre una sconfitta per tutti», la replica del fisiatra Angelo Mainini

Valeria Imbrogno, fidanzata di Fabiano Antoniani (Ansa)
Valeria Imbrogno, fidanzata di Fabiano Antoniani (Ansa)

Pubblichiamo la lettera che la fidanzata di Fabiano Antoniani, Valeria Imbrogno, ha inviato alla redazione di Famiglia Cristiana per replicare all'intervista del dottore Angelo Mainini pubblicata su questo sito il 29 ottobre scorso.

Prima di rispondere alla affermazioni del Dr. Angelo Mainini mi sono presa un po’ di tempo. Innanzitutto per capire chi fosse questo medico che nell’articolo si definisce fisiatra di DJ FABO, ma che io personalmente non ho mai visto in tutto il periodo in cui ho seguito Fabiano.

La prima considerazione è come possa il dr. Mainini definirsi tale quando mai lo ha direttamente visitato: un medico prima di poter stilare un piano di cura deve almeno aver incontrato e visitato il proprio paziente, conoscerlo, non solo leggendo cartelle che lo riguardano, ma attraverso visite specifiche in cui stabilire con lui un contatto diretto. Questo non lo ha mai fatto. Si è limitato, nel suo ruolo di direttore sanitario della Fondazione Maddalena Grassi, al mettere a disposizione di Fabiano un supporto fisioterapico ( per tre volte a settimana, con persone sempre diverse); un medico che a cadenze stabilite procedeva alla sostituzione della cannula  e, settimanalmente di un infermiere che segnava i  parametri  che, per precisione, eravamo noi a fornire.

Se per piano di cura da lui fornito intende questo allora è un compito che ha svolto diligentemente altrimenti mi riesce difficile capirlo.

Vero è quando afferma che la risposta alla sofferenza  è affrontata in modi  diversi, il campo è soggettivo quindi mi chiedo perché non lasciare alla autodeterminazione del singolo, che vive sofferenze fisiche e psicologiche indicibili nonostante le cure e l’affettività da cui è circondato, il diritto di scegliere se la vita che sta vivendo è per lui qualitativamente insostenibile e quindi porvi termine. Ognuno ha la propria asticella di tolleranza.

Fabiano non era un malato terminale, nelle sue condizioni ha passato più di due anni, ha tentato terapie sperimentali, ha lottato sempre circondato dal sostegno e dall’affetto dei famigliari, ma alla fine ha detto basta. Ha esercitato quello che dovrebbe essere il diritto di una persona adulta cosciente nelle sue condizioni. Altre persone vivono come lui o addirittura convivono con patologie più gravi eppure vanno avanti? Ho per loro estremo rispetto e la loro asticella sarà posizionata ad una altezza diversa.

Entrando nel dettaglio delle dichiarazioni del dr. Mainini, ritengo sottile il distinguo tra sospensione delle cure e l’accompagnamento ad una morte dignitosa di persone che coscientemente esprimono questo desiderio. Ritiene corretto ed umano sospendere la ventilazione di un paziente da essa dipendente ed assistere ad una morte per soffocamento, cercando di lenire questa condizione somministrando narcotici per privarlo di coscienza e della sensazione della morte? E’ molto diverso il suicidio assistito? Nel caso di Fabiano la sua attività respiratoria era comunque in grado di garantirgli una certa autonomia, ma questo credo il dr. Mainini lo sappia avendolo seguito con tanta assiduità, quindi cosa si sarebbe dovuto fare? Cessare la ventilazione? Assistere ad un calvario fatto di rantoli, occhi sgranati colmi di panico e angoscia anche per i familiari? Somministrare un sedativo per evitargli queste sensazioni e prolungare una agonia? Tutto questo è più umano rispetto a quanto è accaduto in Svizzera?

Credo sinceramente che così come la vita anche la morte meriti rispetto e se una persona nel pieno delle sue facoltà mentali decide di privarsene ebbene questa decisione credo vada rispettata e garantita nel modo più dignitoso possibile evitando inutili ipocrisie, come l’opzione da lei citata della sospensione delle cure. Questi credo siano alibi per la propria coscienza. Il non fare è altrettanto giudicabile, a mio avviso. Tutto questo chiaramente nel pieno rispetto di quelle persone che nelle stesse condizioni di Fabiano, o anche peggio, hanno deciso  di proseguire la propria vita.

Ritengo che per la società una legge che consideri gli individui come persone in grado di compiere delle scelte libere e consapevoli quando si trovano in condizioni estreme sia segno di grande civiltà.

Cordialmente,

Valeria Imbrogno

La risposta di Mainini: «Il suicidio è sempre una sconfitta per la scienza, le istituzioni e la società civile»

Gentile sig.ra Imbrogno,

ho letto la sua lettera di commento all’intervista e la ringrazio perché mi permette di andare a fondo su di una questione che mi sta a cuore. Innanzitutto però ci terrei ad assicurarle che non mi sarei mai permesso di parlare di Fabiano se non lo avessi personalmente incontrato. E’ vero che io e Lei non ci siamo mai incontrati ma è altrettanto vero che io ho incontrato e visitato personalmente Fabiano più volte, all’interno di quello che è la mia attività professionale di fisiatra dell’equipe di assistenza domiciliare della Fondazione Grassi.

La dizione “fisiatra di DJ Fabo” non me la sono data io ma è un’espressione che i giornali hanno coniato e verso la quale io ho sempre espresso la mia insofferenza.

Il tema dell'intervista, a cui fa riferimento nella sua lettera, è quello di un mio giudizio sul fine vita e su una possibile legge che possa regolamentare il suicidio assistito e le mie risposte provengono solo dalle mie esperienze personali e conoscenze professionali. Ad oggi in Italia esistono già norme inerenti questi temi. Ad esempio la libera decisione di un paziente circa le volontà di essere curato o meno, dopo opportuna informazione, ed anche di esprimere anticipatamente le sue volontà in relazione a situazioni future (legge 219/2017). Si tratta di norme che sono applicazioni dei principi contenuti nella Carta Costituzionale. Contemporaneamente esiste una normativa nazionale, poi ripresa ed applicata a livello regionale, circa l’istituzione di equipe di terapia del dolore e di cure palliative, il cui scopo è quello di intervenire per consentire che la vita e quindi anche la morte, possano essere vissute degnamente, accompagnando il paziente e le persone a lui care e vicine. Nessun medico pensa di sospendere delle cure, anche su richiesta del paziente, a poi abbandonare il paziente a se stesso, bensì sostenendolo con cure adeguate e proporzionate ai sintomi.

Io penso che sia segno di grande civiltà una società che faccia di tutto per sostenere la ricerca, le cure e l’assistenza, il sostegno e la vicinanza a chi è messo alla prova dalla malattia o da drammatiche circostanze.

Nel rispetto profondo di chi è in situazioni così gravi, a mio parere il suicidio è sempre una sconfitta; per la scienza, per le istituzioni e per società civile. Vedo però anche tanti segni di speranza per nuove ricerche e possibilità di cura, per la competenza e la dedizione di tanti operatori del servizio sanitario, per la solidarietà di tante persone che si prodigano personalmente e si organizzano in associazioni di volontariato per sostenere chi è nelle difficoltà.

Cordialmente,

Angelo Mainini

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