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mercoledì 04 ottobre 2023
 
La scienziata più grande
 

Un ricordo di Rita Levi Montalcini a dieci anni dalla sua scomparsa

30/12/2020  Nel 1986 fu insignita del Premio Nobel per la Medicina per le sue ricerche in cui scoprì e illustrò il fattore di accrescimento della fibra nervosa, noto come NGF. Sul numero di Famiglia cristiana in edicola un suo ritratto nella rubrica Al femminile di Mariapia Bonanate

La chiamavano la signora della scienza, per quel suo modo sempre impeccabile di porsi, elegante e ordinatissima, accuratissimamente pettinata, senza nascondere mai, neanche sotto il camice di laboratorio, che è stato la divisa della sua vita, il vezzo dei gioielli preferiti, che aveva fatto creare ispirandosi all'arte orafa longobarda.

Seconda, con la gemella Paola, di quattro fratelli Rita Levi-Montalcini, nata nel 1909, è cresciuta in una famiglia di origine ebraica torinese, in cui ha respirato dalla nascita arte e scienza: la mamma Adele era pittrice, Paola e la sorella maggiore, Anna, ne seguirono le orme. Il primogenito, Gino, scelse l’architettura. Rita si scoprì presto inclinata verso il ramo scientifico, in famiglia incarnato dal padre ingegnere elettromeccanico e matematico, che però non incoraggiò la figlia su quella strada, anzi. Influenzato da un concetto vittoriano della famiglia e dell’educazione, indirizzò la figlia a un liceo femminile, pensando che l’educazione scientifica e universitaria non fossero adatte a una ragazza. Questo non impedì a Rita di prendere da privatista la maturità classica per potersi poi iscrivere alla Facoltà di Medicina a Torino. Lo fece nel 1930, compiuti i 21anni, senza la benedizione del padre che si limitò a prendere atto facendo capire che non condivideva la scelta: «Sei maggiorenne, non posso impedirtelo». La laurea arrivò con lode nel 1936. La determinazione che aveva dimostrato giovanissima le sarebbe servita, e molto, di lì a poco.

LE LEGGI RAZZIALI E LA GUERRA

Il suo percorso da assistente volontaria nella clinica di malattie nervose e mentali, iniziato il primo gennaio del 1938, durò appena pochi mesi, bruscamente interrotto dal decreto rettorale che, in ossequio alle leggi razziali, sospendeva tutti gli insegnanti di «razza ebraica», com’era scritto nella legge, di ogni ordine e grado. Soltanto la deroga che consentiva agli studenti già iscritti, non fuori corso e senza borse di studio di completare il corso, le permise di specializzarsi nel 1939 in neuropatologia e psichiatria. La passione per la ricerca era maturata durante il corso universitario alla scuola di anatomia di Giuseppe Levi, maestro ammirato e temuto delle cui mani sono passati ben tre premi Nobel. Il rischio connesso alle leggi razziali costrinse Rita Levi-Montalcini a riparare nel marzo 1939 , su invito di Lion Laurelle, a Liegi in Belgio dove già era andato a lavorare per le stesse ragioni Giuseppe Levi. L’esilio durò pochi mesi, nel dicembre dello stesso anno la minaccia d’invasione del Belgio da parte di Hitler, portò Rita Levi Montalcini di nuovo in Italia, costringendola alla clandestinità ma non alla rinuncia alla ricerca che continuò imbastendo un laboratorio rudimentale «nella propria camera da letto», come riferisce Piergiorgio Strata nella voce a lei dedicata nel Dizionario biografico degli italiani (Treccani). Anche Torino stava però diventando pericolosa, Rita si rifugiò prima in campagna nel 1942 per sfuggire ai bombardamenti che avevano come bersaglio la città e poi con la famiglia sotto falso nome nel 1943 a Firenze. Lì nella città liberata, nel 1944 ebbe, sotto l’egida della Croce Rossa, la sua unica esperienza di medico sul campo, all’ospedale militare con un’epidemia di tifo in corso.

IN AMERICA SCOPERTE DA NOBEL

  

Quell’esperienza tragica la segnò emotivamente facendola sentire nell’immediato distante dai suoi studi che alla fine della guerra aveva ripreso a Torino presso il centro per le ricerche sull’accrescimento e la senescenza. Ma intanto i risultati degli studi di Levi e Levi-Montalcini, condotti durante la guerra in laboratori improvvisati, avevano attirato l’attenzione di Viktor Hamburger, padre della neurobiologia sperimentale, che aveva fatto ricerche nello stesso campo, ma con una metodologia differente e invitò nel 1947 Rita Levi-Montalcini a raggiungerlo per sei mesi a St. Louis nel Missouri. I sei mesi sarebbero stati in realtà anni. Lì, dopo un passaggio in un laboratorio in Brasile, nel 1954 il suo lungo percorso di ricerca approdò con il collega Stanley Cohen alla scoperta del Nerve Growth Factor (il fattore di accrescimento del sistema nervoso), una proteina coinvolta nello sviluppo del sistema nervoso che ha un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche.

LA CARRIERA E L'IMPEGNO PER LE GIOVANI SCIENZIATE

Il risultato sarebbe valso a entrambi nel 1986 il Premio Nobel per la medicina. Rita Levi Montalcini, che il padre non voleva medico, è tuttora l’unica donna italiana insignita del prestigioso titolo. Le ricerche sul fattore di crescita e sulle potenzialità rigenerative del cervello andarono avanti. Ma il legame con l’Italia di Rita Levi Montalcini non si spezzò mai. Scelse di tornare in Italia, dove conservava relazioni intense con la famiglia e in particolare con la gemella Paola con cui c’è stata una complicità che le distanze fisiche non hanno mai interrotto. Nel 1961 Rita Levi Montalcini entrò a dirigere il centro di ricerche di neurobiologia del Cnr di Roma per passare dal 1969 al 1979 a dirigere il Laboratorio di Biologia cellulare, dove rimase anche dopo, raggiunta l’età della pensione, come “guest professor” (professore ospite). Ha lavorato fino al 1995 con la qualifica di superesperta presso l’istituto di Neurobiologia del Cnr. Nel 2001 ha fondato a Roma l’Ebri (Centro Europeo per la ricerca sul cervello). Ha fatto parte delle più importanti Accademie d’Italia e del mondo, tra cui i Lincei e l’Accademia pontificia, ha continuato a scrivere divulgando scienza fino alla fine quando ormai centenaria aveva quasi perso la vista, senza però mai perdere l’ottimismo e la fiducia nei giovani e nella ricerca, tanto che mei primi anni Novanta, in memoria del padre, con la sorella Paola (scomparsa nel 2002) ha dato vita alla Fondazione Levi Montalcini, rivolta all’educazione e alla formazione scientifica, in particolare delle ragazze in condizioni di svantaggio, che, tra le altre cose, finanzia borse di studio per giovani universitarie africane.

IL SENSO DI RITA PER LA RICERCA

  

Nel 2001 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la volle senatrice a vita per meriti scientifici. All’impegno scientifico Rita Levi Montalcini, che si definiva agnostica ma credente nello stesso Dio di Einstein e di Spinosa, aveva sempre unito l’impegno civile, per l’ambiente molto prima che il mondo ne scoprisse l’importanza, per le opportunità delle donne in campo scientifico, per la libertà della ricerca, che – pur in una visione diversa e, in qualche caso, in contrasto con quella cattolica – non ha mai considerato disgiunta dalle grandi domande etiche, consapevole di come «nell'era della globalizzazione, le radici storiche e culturali esercitino influenze determinanti sull'applicazione dei risultati della ricerca scientifica».

A proposito di libertà della ricerca, già avanti negli anni, scriveva: «A quanti oggi ritengono che si debba arrestare l’avanzata del progresso scientifico si deve far presente che la conoscenza è il più alto privilegio degli appartenenti alla specie umana. Tuttavia, l’attività scientifica, in quanto attività umana, è soggetta alla legge etica: la scienza non è un assoluto al quale tutto deve essere sottomesso, compresa la dignità dell’uomo. Se non è pensabile, né accettabile arrestare il progresso della ricerca scientifica, è tuttavia obbligatorio un controllo sull’uso e sulle modalità di applicazione delle scoperte scientifiche e tecnologiche: controllare ma non proibire. Gli scienziati non detengono, ovviamente il monopolio della saggezza. La soluzione dei problemi che affliggono l’intero genere umano, fino a porne in pericolo la sopravvivenza, spetta in pari misura a filosofi, uomini di religione, educatori e appartenenti ad altre discipline. Il legame tra scienza e morale deve essere consolidato, soprattutto se gli scopi della scienza sono perseguiti nella difesa della vita dell’individuo, come prescritto nel giuramento di Ippocrate».

Rita Levi Montalcini si è spenta a Roma nella sua casa all’età di 103 anni, il 30 dicembre 2012, senza mai smettere di testimoniare passione per lo studio e per la vita. «Le mie scoperte», diceva, «nascono dall’intuito, dalla dedizione e dalla competenza scientifica. Ma c’è un altro segreto: è la capacità di conoscere i propri limiti. La vera “astuzia”, nella mia vita di scienziata, è stata sempre quella di andare a fondo soltanto là dove mi sentivo veramente preparata».

(Pubblicato in origine il 25 novembre 2020)

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