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martedì 08 ottobre 2024
 
SALUTE
 

Roberto Burioni: «Meningite? Meno allarmi e più vaccini»

15/02/2017  Il numero di casi di persone colpite dal meningococco è sui livelli degli anni precedenti. Resta l’invito a vaccinarsi «perché è un atto di responsabilità sociale. Proteggiamo i nostri figli e quelli degli altri»

«I vaccini hanno risparmiato al mondo tanto dolore, schierarsi contro è follia», ripete Roberto Burioni, immunologo, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, autore de Il vaccino non è un’opinione (Mondadori).

Professor Burioni, quanto dobbiamo preoccuparci per i casi di meningite segnalati in Italia in questi mesi?

«Non c’è motivo per allarmismi. Il numero di casi di meningite provocata dal meningococco è più o meno sui livelli degli anni precedenti. L’unica cosa che richiede una certa attenzione è l’aumento dei casi in Toscana. È qualcosa di inaspettato, ma non c’è un’epidemia».

Il vaccino funziona?

«Abbiamo un vaccino sicuro ed efficace che nei Paesi dove è stato usato in modo esteso e corretto ha azzerato la malattia, non solo fra i vaccinati ma anche fra coloro che non avevano fatto la vaccinazione».

Il vaccino protegge al cento per cento?

«No, ma ciò non vuol dire che non sia utile. Vaccinare è un atto di responsabilità sociale. Se tutti i genitori vaccinano i figli, come ho fatto con mia figlia Caterina, l’incidenza dell’infezione crolla in tutta la popolazione perché cala la circolazione del patogeno. Anche quello sfortunato che non ha risposto al vaccino è protetto. Proteggendo i nostri figli proteggiamo tutta la società».

Chi deve vaccinarsi?

«La vaccinazione è indicata per i neonati e in seguito, con un richiamo, per i bambini. Per gli adulti bisogna valutare caso per caso».

Si è chiesto da che cosa nasce il pregiudizio contro i vaccini?

«Non lo so. È veramente incredibile che un medico nel 2017 sia costretto a dire che i vaccini servono. Sicuramente un ruolo lo ha avuto la Rete, che ha tanti vantaggi ma anche lo svantaggio di porre tutti sullo stesso piano. Io quando ero ragazzino se volevo sapere che cosa era un vaccino, aprivo una enciclopedia, su cui non scriveva il primo che passa per la strada. Cosa che invece accade oggi in Internet, dove tutti hanno la stessa voce in capitolo».

Lei conferma che sui vaccini non c’è una seconda campana da ascoltare?

«Sì, è così. Su tanti temi scientifici si discute e c’è diversità di opinioni, ma non sulla sicurezza e l’efficacia dei vaccini. Concordano le società scientifiche, i ministeri della Sanità del mondo, l’Organizzazione mondiale della sanità, Emergency, Unicef, Medici senza frontiere. Il vero problema dei vaccini è che in molti Paesi in via di sviluppo non sono accessibili a tutti. E purtroppo per qualche malattia ancora non li abbiamo».

Per quali malattie ci vorrebbe un vaccino?

«Sono tante le malattie pericolose. Sarebbe fantastico un vaccino contro l’ Hiv, ora sembra che forse ci sarà un vaccino contro Ebola, una malattia che ha fatto migliaia di morti».

Che cosa replica a chi sostiene che i vaccini fanno solo gli interessi delle multinazionali?

«Vediamo i numeri: nel 2015 il fatturato di tutti i vaccini in Italia è stato pari a circa 318 milioni di euro, mentre i farmaci per una malattia infettiva per la quale non abbiamo il vaccino, l’epatite C, hanno fatturato 1 miliardo e 700 milioni di euro. È provato che 1 euro speso in vaccini ne fa risparmiare dai 20 ai 30 in spesa sanitaria. Le multinazionali non fanno beneficenza e traggono chiaramente dei profitti, ma immaginare un complotto mondiale per difendere la rendita economica dei vaccini mi sembra piuttosto improbabile».

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