Gliel’ha detto con il sorriso sulla labbra: «In una mossa sei riuscita a distruggere tutte le mie battaglie». Roberto Rossini, 55 anni, docente di Sociologia, è il presidente nazionale delle Acli, nonché papà di Matilde, 23 anni, e Beatrice, 20. «Ho fatto battaglie per la domenica libera e per salari dignitosi. Poi, la più piccola, che studia da assistente sociale, mi dice: “Per mantenermi all’università quasi quasi divento rider”. I rider non hanno né sabati né domeniche e sono tra i lavoratori meno tutelati!». Anche le figlie dell’uomo che guida la più importante associazione di lavoratori cattolici (800 mila soci, 3 mila circoli, 4-5 milioni di utenti dei vari servizi) vivono insomma i problemi di tutti i giovani: «Hanno più strumenti, sono più stimolati, ma faticano di più, si trovano in un sistema frammentato, devono gestire complessità ed eterogeneità. Studiare e mantenersi, facendo lavori sottopagati, sono situazioni che io ho studiato sui libri e che ora vedo passare sulla pelle delle mie figlie».
Bresciano, figlio di quel cattolicesimo «di grande sobrietà e rigore, incarnato nel mondo delle cose, delle relazioni tra le persone, non identitario, ma al contrario molto aperto e capace di dialogare con tutti», Rossini viene da una famiglia popolare, madre casalinga e padre impiegato, due fratelli, infanzia e adolescenza nei gruppi parrocchiali a Sant’Alessandro, dove incontra la sua futura moglie, Mariagrazia; studi in Scienze politiche a Milano, impegno nella Dc cittadina («quella più a sinistra di Martinazzoli, il cattolicesimo sociale»), quindi l’incontro con alcuni aclisti, gli incarichi a livello provinciale, poi nazionale e, nel maggio 2016, l’elezione a sorpresa come presidente. Il suo nome spunta come mediazione tra due candidati che riportano un eguale numero di voti, Rossini viene definito «l’uomo giusto per la fase nuova delle Acli». Dice: «È cambiato il nostro modo di stare sul territorio perché sono cambiate le persone e oggi, se dovessi sintetizzarlo in una frase, direi che il mestiere delle Acli è animare la comunità. La nostra proposta associativa, soprattutto ai giovani, passa attraverso la formazione di persone che sappiano stare nella comunità in modo professionale e contemporaneo. È un tema centrale, soprattutto nelle periferie».
Quando è stato eletto Rossini ha proposto la sua piattaforma programmatica: «Rilancio dell’azione quotidiana e volontaria, politicità dei servizi, formazione e dimensione culturale, azione pubblica».
FLAT TAX E PENSIONI
Sono le quattro linee su cui ha fondato il suo mandato. Il primo punto ha significato appunto la messa a fuoco sui circoli e sulla scuola di animatori di comunità. Quindi, dice Rossini, si è puntato a che i servizi dell’Acli – Enaip, Patronato e Caf – non si limitassero a erogare prestazioni, ma facessero anche delle proposte. «Per la formazione professionale abbiamo sostenuto, con delle proposte di legge, il tema del lavoro duale». Per il Patronato si è lavorato sulle pensioni ma, dice Rossini «siamo stati poco ascoltati: del sistema “quota cento” non parliamo male; la legge Fornero, che era necessaria per sanare i conti, creava delle disuguaglianze, quindi bisognava intervenire sulla previdenza. Ma il problema è che così si rischia di introdurre ancora altre disuguaglianze».
Per esempio? «Si chiedono 38 anni contributi, ma per alcune categorie che non hanno un lavoro fisso quanti anni sono?». E la flat tax? «Di fatto in Italia esiste già una flat tax con aliquota molto bassa, ma se vogliamo parlare seriamente di redistribuzione del reddito, dobbiamo chiedere una tassazione più alta sulle fasce più elevate. Ora il rischio è che la tassazione si scarichi sulle fasce medie e medio basse».
Quanto al tema della formazione e della dimensione culturale, Rossini spiega che, con la scuola centrale di formazione Livio Labor si è ripreso a fare ricerca, sia sociale che storica. Infine, quarto punto, la questione pubblica, cioè la politica: «Questa è un’epoca che de-istituzionalizza molto, noi invece riteniamo che sia centrale il ruolo delle istituzioni per la tenuta democratica. Per questo ci sforziamo di costruire rapporti con le istituzioni centrali, proponendoci con un ruolo programmatico. Non siamo molto favorevoli alla democrazia diretta, la vera democrazia è quella rappresentativa e va rafforzata, soprattutto il ruolo del Parlamento».
SUL REDDITO DI CITTADINANZA
Sempre rispetto alle politiche attuali come avete accolto il reddito di cittadinanza? «Abbiamo lavorato tanto sul reddito di inclusione con il precedente governo. E speriamo che venga recuperata almeno la proposta che riguarda i poveri. Il reddito di inclusione si basava su due gambe, un beneficio economico condizionato al fatto di essere preso in carica dai servizi sociale territoriali per delle proposte di inclusione sociale. Il reddito di cittadinanza cerca di intervenire sul tema della povertà, ma insiste anche sull’occupabilità», spiega Rossini. «Non ci convince il fatto che con una stessa norma si riescano a fare due percorsi diversi: lotta alla povertà assoluta e politiche attive del lavoro. La lotta alla povertà deve prevedere una serie di servizi sociali, perché, per esempio, una persona con una dipendenza non è detto riesca a lavorare dappertutto, va seguita in un ambiente protetto».
Fra le altre questioni calde, quella delle migrazioni: «Continuare a parlare di emergenza mi sembra una strumentalizzazione politica, giocata sulla pelle delle persone», chiarisce il presidente Acli.
«Da cattolici non possiamo dire che il valore della persona dipende dalla carta di identità: se va aiutata, va aiutata. Poi c’è la questione di come viene integrata attraverso un circuito italiano ed europeo. Qui entra in gioco la capacità politica: occorre fare un ragionamento globale con i maggiori partner internazionali, attrezzandoci per capire come gestire la situazione. È miope l’idea di costruire i muri, non è un tema di ordine pubblico, ma legato allo sviluppo di politiche che permettano l’integrazione. Il sistema degli Sprar era buono e non abbiamo capito perché il decreto sicurezza lo abbia indebolito».
Da buon bresciano, Rossini non ama chi usa la propria fede come una bandiera politica: «Nella città dove sono nato ho capito il cattolicesimo non dalle idee ma attraverso la testimonianza, anche di persone che hanno fatto politica, che hanno assunto decisioni e responsabilità per l’interesse comune. Di tanti ho scoperto solo dopo che erano cattolici. Le Acli sono state una grandissima scuola. La Lettera a Diogneto ci ha sempre guidato e rappresenta per noi un riferimento importante».
NEL MONDO SENZA PAURA
Tra i libri della Bibbia che Rossini sente più vicino c’è Qoelet: «L’ho voluto approfondire, ha una dimensione apparentemente negativa ma di grandissimo realismo. Ha la capacità di cogliere la dimensione del reale, dell’umiltà non come nascondimento, ma legata all’humus e all’essenziale della cose». «Vanità, tutto è vanità» è una frase che risuona come indirizzo del cammino: «È l’idea di stare nel mondo senza paura, ma anche senza aspettative. Devi fare quelle che devi fare, fa’ ciò che è giusto».
LA LETTERA A DIOGNETO
«I cristiani partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri...». Sono le parole famose di questo scritto del II secolo che riflette sulla condizione dei cristiani nel mondo: «Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi». Dentro la storia, ma con uno stile proprio.
Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto