L'obiettivo dichiarato è approfondire, sotto vari punti di vista, cosa significhi per un cristiano oggi impegnarsi concretamente nella vita politica e sociale del nostro Paese. Nel monastero di Bose, a Magnano, in provincia di Biella, tra venerdì 15 e domenica 17 febbraio le Acli organizzano il tradizionale incontro nazionale di spiritualità sul tema “Esercizio del potere e differenza cristiana”. Intervengono il priore di Bose, Luciano Manicardi, il filosofo Umberto Curi, la teologa Cristina Simonelli, l’attrice Lucilla Giagnoni e il responsabile "vita cristiana" delle Acli, Daniele Rocchetti insieme con madre Eliana Zanoletti, docente di Filosofia. Domenica 17 l’assistente spirituale delle Acli, don Giovanni Nicolini, dialoga con Romano Prodi. Le conclusioni della tre giorni sono a cura del presidente nazionale delle Roberto Rossini, 54 anni, bresciano.Che a Famiglia Cristiana spiega ragioni e possibili approdi di quest'appuntamento.
Presidente Rossini, scelga un'immagine...
«Vangelo di Luca, capitolo 10. Gesù entra in una casa: Marta è molto indaffarata per accogliere al meglio l'illustre ospite, Maria l'ascolta assorta».
Vita attiva e vita contemplativa...
«Già. Attenzione, però: l'una intrecciata all'altra e non l'una alternativa all'altra. Ecco: le Acli da sempre si sforzano di vivere la sintesi tra preghiera e azione, tra silenzio e parola, tra braccia levate al cielo e braccia tese verso il prossimo»
Cos'avete nella bisaccia?
«I Vangeli e gli insegnamenti del concilio Vaticano II. Sappiamo che saremo giudicati sulla carità (ero affamato e mi avete dato da mangiare, ignudo e mi avete vestito, carcerato e mi avete visitato, straniero e mi avete accolto...) ma sappiamo che senza Grazia nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. E la Grazia è frutto di autentica ricerca d'assoluto, di umile sequela del Signore, di un attento scrutare i segni dei tempi. Dobbiamo difendere quel rapporto a-tu-per-tu con Dio che si chiama spiritualità».
Come definirebbe la fede di chi milita nelle Acli?
«La fede in Cristo per noi non è, non dev'essere un velo che nasconde le brutture della storia, ma la luce che spinge lo sguardo in profondità, fino a riconoscere nel volto degli ultimi non solo i lineamenti di chi umanamente soffre, ma il Cristo stesso, la sua presenza viva, palpitante, scandalosa, provocante e salvifica. La nostra è, dev'essere una fede operosa, appassionata, esigente e misericordiosa al tempo stesso, consapevole di essere tutti chiamati a guardare in alto proprio perché immersi fino al collo in una società che corre e in una politica che, come già diceva il cardinale Carlo Maria Martini, sembra essere l’unica professione che non abbia bisogno di professionalità».
Che dire allora del potere?
«Dobbiamo ricordare una volta di più che è servizio. Che certe virtù indicate come punti programmatici di rilievo (onestà, trasparenza, coinvolgimento) sono in realtà pre-requisiti validi per tutti e in tutto. Che il consenso è certamente apprezzabile e apprezzato ma non un totem cui sacrifcare il dovere di scegliere. Perchè far politica è anche e soprattutto scegliere...».
Preoccupato?
«Di che cosa?»
Dei giorni che viviamo...
«Sono preoccupato del restringersi di spazi di democrazia sostanziale e di un clima culturale che appare meno aperto»
Che fare allora?
«Recuperare un maggior senso di giustizia»
In concreto?
«Far sì che ciascuno possa avere ciò che è giusto. Dobbiamo tornare ad agire sui fronti della formazione, del fisco, degli investimenti, delle competenze per garantire pari opportunità e tracciare percorsi di virtuosa mobilità sociale. Nessuno dev'essere condannato a rimanere per sempre povero o emarginato; neppure gli stranieri, ovviamente».
Cent'anni fa l'appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo...
«Cambia il contesto, ma non la sostanza. La piattaforma del 1919 è riproponibile tale e quale in molti passaggi: difesa della famiglia, libertà di insegnamento, lavoro inteso come diritto, centralità delle autonomie locali, forme di previdenza sociale, libertà della Chiesa, costruzione di un ordine mondiale nuovo. Dovessimo scriverlo oggi, lo faremmo ai liberi e forti d’Europa, magari anche in inglese».