Rogue One: il film e il cast
Rogue One è il primo “spin-off” a vedere la luce su grande schermo tra quelli previsti da Disney dopo avere rilevato la proprietà del marchio dalla Lucasfilm nel 2012: una “Star Wars Story”, cioè una storia autoconclusiva e laterali, film a se stanti destinati ad alternarsi, nel piano di uscite al cinema, alla nuova trilogia “istituzionale” che dà seguito alle avventure di Luke Skywalker &co.
Rogue One venne già annunciato in fase di campagna di lancio come “più adulto” degli altri film della serie: una declinazione in stile Star Wars dei classici di guerra, come Quella Sporca Dozzina o anche I Sette Samurai. Si racconta di una squadra di anti-eroi combattenti guidati dalla volitiva Jyn Erso (Felicity Jones) chiamati a una missione disperata: recuperare i piani della Morte Nera, la gigantesca stazione da battaglia con cui l’Impero minaccia di mettere in scacco la Galassia. Il preludio insomma della travolgente corsa d’attacco con cui Luke Skywalker sul suo Ala-X avrebbe salvato la Ribellione e George Lucas avrebbe cambiato la storia del cinema a venire.
Tra gli attori, oltre alla già citata Jones, Forest Whitaker, Mads Mikkelsen e un gigante dei film di arti marziali, Donnie Yen. A dirigere viene chiamato Gareth Edwards, regista in crescita che si è fatto notare prima nel 2010 per Monsters e poi chiamato a mostrare i muscoli al botteghino con Godzilla del 2014; due film che hanno in comune creature gigantesche e mostruose e un approccio dotato di una certa sensibilità da un lato all’emozione, alla componente umana davanti al manifestarsi di eventi incredibili, dall’altra una forte tensione alla verisimiglianza, anche quando si è già partiti per quella tangente che porta verso lucertole alte come palazzi e stelle aliene.
Lui, classe 1975, si professa (come la maggior parte dei registi della sua generazione) un fan, spinto alla vocazione per il cinema proprio da Star Wars, e certo sarà piaciuto alla major, del suo curriculum, l’approccio rispettoso e appassionato tenuto nel sorreggere disinvoltamente il peso (notevole) del mito cinematografico di Godzilla.
Che effetto fa il “tono serio” oggetto di tante voci e tanta pubblicità durante la lavorazione una volta entrati nel buio in sala?
Rogue One: una sporca guerra stellare
Immaginiamo la situazione: tu, spettatore, fan di vecchia data, ti trovi di fronte all’ambiente desertico della luna Jedha, un luogo costellato di rovine antiche e misteriose. La superficie è sorvolata da un gigantesco incrociatore stellare; è un po’ come ritrovarsi a casa, una scena familiare per te che Guerre Stellari lo conosci da poco meno di quei quasi-quarant’anni passati dall’uscita di A New Hope. Ma c’è qualcosa di diverso. Un nugolo di navette si muove su e giù dal vascello più grande. L’Impero sta saccheggiando la “Città Sacra”, il luogo, si capisce, più importante e mistico del pianeta, come un volgare tombarolo. Nessuno riesce a fare niente per salvarla.
I protagonisti esplorano la città: i soldati imperiali con le loro armature bianche e impersonali, crudelmente scintillanti, pattugliano le strade invase di sabbia quando vengono assaliti da un gruppo di rivoltosi. I buoni finiscono in mezzo ai proiettili, nessuno guarda in faccia a nessuno: per salvarsi la vita, loro, gli eroi Ribelli, sono costretti a sparare agli uni e agli altri.
Qualcosa stona, è un po’ straniante.
Un’altra scena. La situazione è critica: lo sparuto gruppo di Jyn Erso ha scoperto qualcosa di importante, ma per agire è necessario che le forze dell’Alleanza Ribelle si mettano d’accordo e passino all’attacco. Purtroppo regna la discordia: pochi sono disposti ad agire, anche se questo comporta di esporsi al rischio di una ritorsione dall’Impero, la maggioranza vuole aspettare, non si fida, preferisce vedere come si evolve la situazione. Vincerebbero gli attendisti, e a far procedere la storia sui binari è solo il ritorno della più classica delle soluzioni narrative, la determinazione degli eroi del caso e un Ammiraglio alieno un po’ matto (un Mon Calamari, per gli iniziati) che decide in un impagabile “arrivano i nostri” di portarsi via mezza flotta alla chetichella e dar battaglia ai cattivi – personaggio assolutamente di contorno ispirato, parola di Neal Scanlan, supervisore agli effetti speciali, a Winston Churchill.
Il resto si svolge come da tradizione di film con gli eroi di guerra: c’è una battaglia decisiva - dove la mano solida e il cinema senza troppi fronzoli di Edwards dona credibilità e chiarezza, qui come per tutto il film, alla scena - ci sono sacrifici, si ristabilisce un ordine che va a riallacciarsi ai film della Trilogia Originale. Ma tutto quello che accade prima…
Stiamo parlando di Star Wars: nella memoria collettiva pressoché manicheo nel trattare i conflitti e con l’occhio più al passato e a riferimenti fiabeschi che al futuro e alla fantascienza stretta: Bene contro Male, il giovane apprendista Luke Skywalker contro il Cavaliere Nero Darth Vader, Ribelli come i partigiani che combattono contro l’Impero simil-nazista. Ma i paragoni che suggerisce Rogue One vanno in una direzione inquietante e si infiltrano sottopelle. Ci sono più terroristi dai metodi discutibili e dalle intenzioni opache che Ribelli, quel deserto è il Medio Oriente, quella Città Sacra violentata da un assolutismo galattico (che poi, a chi andrà ad assomigliare…) e piena di poveracci più che di canaglie aliene, quanto può ricordarci Aleppo? Questo accade mentre l’universo sta a guardare, e un Alleanza di pianeti e razze langue nell’immobilismo generale dei burocrati fino a quando le regole della narrazione d’avventura non gli danno una strigliata.
Non stiamo parlando di fine analisi geopolitica, né di critica sociale, ma di una delle pellicole che con i suoi seguiti ha segnato più fortemente l’immaginario collettivo (e nonostante quarant’anni di usura, continua a farlo). Un amico ha commentato dopo la visione: è lo “Star Wars per quarantenni”: hanno un retrogusto più amaro le Guerre Stellari quando in un sogno da Età dell’Oro (dell’Innocenza?) entra di soppiatto l’impressione di tempi più brutti del “C’era una volta”. Ma forse c’è anche tanto valore e un paio di ideesu cui riflettere, soprattutto per chi dice di avere i piedi per terra e non guarda alle stelle.