Vivissimi complimenti a Mario Monti ed ai suoi ministri per avere detto di no alla richiesta, targata Coni, di firmare, per garanzia, il documento governativo di candidatura (ora abortita) di Roma ad ospitare i Giochi olimpici estivi del 2020, che verranno assegnati dal Cio il prossimo anno.
Elenchiamo i principali nostri motivi di solidarietà con Monti e C. in un nostro personale, speciale ordine spicciolo, premettendo che non ci riferiremo anche all’ipotesi di nevicate paralizzanti la capitale nell’agosto del fatidico 2020:
1) Siamo felici che non possa esserci, come invece accadde alla notizia del terremoto all’Aquila, la risata di qualche tizio che pensa agli appalti ricchi e facili, a partire già dalle spese per sostenere nel mondo la candidatura.
2) Per l’Italia il momento è molto difficile: la candidatura saprebbe di spocchia, e sarebbe psicologicamente assai più svantaggiosa, presso l’opinione pubblica internazionale, del prendere umilmente e lucidamente atto dei nostri limiti attuali (questo senza neanche fare lo sforzo di ricordare i Giochi di Atene 2004 e la situazione greca attuale).
3) Rispetto a Roma olimpica nel 1960 questa è un’altra Italia, senza boom ma anzi i
n recessione.
4) Rispetto a Roma olimpica 1960 il tasso di disonestà è assai cresciuto nel Paese, e niente di più di certe operazioni edilizie lo possono concimare bene, perché cresca ulteriormente.
5) Cortina 1956 e Torino2006 sono state Olimpiadi invernali, assai più piccole di quella estiva, così che non può esistere paragone di sorta, e comunque hanno lasciato strascichi dolorosi.
6) Il gigantismo olimpico fa sì che i Giochi e in genere i supershows sportivi costino sempre di più, a maggiore gloria della genia delle tangenti, dei regimi politici sfruttatori dello sport o dei potentati economici faraonici particolari (tipo i paesi del petrolio).
7) I fondamentali diritti televisivi, salvagente talora per chi organizza, sono destinati a dimagrire, di fronte alla facilità dell’uso, anche pirata, di internet e derivati.
8) I Giochi portano tanti problemi extrasportivi, il terrorismo su tutti, che non ci pare proprio il caso di affibbiare all’Italia, a questa Italia, neanche in lontana prospettiva. 9) Non conta niente che i nostri massimi atleti abbiano chiesto la candidatura: dovevano farlo, ci mancherebbe altro.
10) Se non è magari vero che ai Giochi importante non è vincere, ma partecipare, sicuramente è ancor meno vero che l’importante ai Giochi è organizzare.
11) Il fatto che mafia, camorra, ’ndrangheta e loro consorelle fiorenti ormai dovunque in Italia siano tristi per la decisìone di Monti è per noi origine di grande felicità.
12) Ci sono tantissime belle cose da fare, per l’onore e il benessere del Bel Paese, che non organizzare i Giochi: a Roma o dovunque, in questo momento.
3) Roma voleva la Formula 1, sembrava fatta ma poi Alemanno ha saputo/dovuto dire di no, ragioni economicambientali: e la Formula 1 rispetto all’Olimpiade costa come nutrire e alloggiare una pulce invece che un elefante.
Gian Paolo Ormezzano
Il sogno di Roma 2020 sfuma definitivamente martedì 14 febbraio 2012 alle 16,15. Il Governo Monti non firma le garanzie. Niente candidatura. Un minuto dopo parte il dibattito: le ragioni del sì contro le ragioni del no. Mario Monti, presidente del Consiglio di un Governo tecnico nato per riacciuffare sicuramente l'Italia (e forse l'Europa) sull'orlo del baratro, ne fa una questione di coerenza: «Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l'Italia» in questa garanzia che «potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti».
Alle parole di Mario Monti ha fatto eco il ministro Gnudi: «Ciò non significa che questo Governo non voglia promuovere i valori dello sport, noi vogliamo aumentare e valorizzare la pratica dello sport nelle scuole, abbiamo dei progetti e abbiamo firmato delle convenzioni con alcune Regioni».
Che l'Olimpiade moderna abbia storicamente pagato tributo per ragioni diverse - e spesso meno nobili di questa - alla Ragion di Stato è un dato di fatto. Spesso è accaduto distorcendo i valori dello sport, piegati a servire esigenze diverse: necessità di vetrina, di potenza politica e muscolare, spesso sulla pelle degli atleti e sulla loro fatica. E' accaduto con il doping di Stato: spesso una guerra, neanche tanto fredda giocata sui corpi, soprattutto delle donne. E' accaduto con i boicottaggi, con anni di lavoro atletico resi vani per decisioni che con lo sport in senso stretto non avevano a che fare.
Ma diverso, del tutto diverso, è fare appello alla responsabilità di un Paese, di cui lo sport è anche vetrina. Diverso è chiedere - come sta accadendo ora -, nel contesto di un sacrificio collettivo chiesto a una Nazione intera, un sacrificio anche allo sport, desideroso di esprimersi al meglio dentro casa.
Le ragioni del no parlano di troppi rischi nel lievitamento dei costi preventivati, le ragioni del sì evocano possibilità di sviluppo. Vero è che ci sono città, come Barcellona, rinate dopo i Giochi - ma l'economia spagnola anche per altri motivi non ha tenuto il passo - vero è che Torino con il 2006 s'è scoperta un'anima solare che non sapeva d'avere e che oggi la rende meta di turismo e passioni. Però è difficile non interrogarsi sul destino di un trampolino destinato a marcire a Pragelato- a costi ambientali ed economici elevati - e di una pista da slittino, che a Cesana, nonostante tanti trionfi concentrati in pochi anni, è costretta già adesso a pensarsi coniugata soltanto al passato. Difficile non chiedersi ora, non tanto se ne valesse la pena, quanto se sia il momento di riprendersi il rischio.
L'Olimpiade moderna - Londra 2012 che deve ancora venire lo dimostra - ha costi che il passato mai avrebbe immaginato, soprattutto in fatto di sicurezza. Londra avreva fatto un piano di due miliardi abbondanti di sterline e ora ha già superato i nove. Mancano ancora sei mesi. Atene, dicono gli esperti, docet. E quel che insegna spaventa. Secondo gli esperti l'economia greca ha cominciato a morire nel 2004 dopo un'Olimpiade meravigliosa.
Sarebbe già bello che fosse solo una questione di tempo, che il "non ora, non qui" fosse solo un atto di responsabilità, per consentire un futuro meno nuvoloso (anche per lo sport).
Elisa Chiari
Abbiamo tante volte rimproverato allo sport di essere un mondo a parte, un po' fuori dal mondo, di non sapere guardare giù alla vita dei comuni mortali.
Ma stavolta gli atleti olimpici, che qualche giorno fa hanno mandato un appello al Governo per chiedere di salvare il loro sogno, sentiamo di doverli capire. Anche se siamo convinti che il no sia stata una decisione dolorosa ma responsabile.
Però agli atleti possiamo chiedere di accettare, ma non di sposare al 100% la causa della razionalità, perché, se lo facessero fino in fondo, rischierebbero di smettere di fare quello che fanno: smetterebbero di lasciare casa ragazzi, di fare i salti mortali fra allenamento e scuola, smetterebbero di inseguire un sogno che tante volte di pratico ha quasi niente. Perché per tanti sport olimpici, anche il ritorno economico è un mezzo miraggio anche vincendo.
Se ragionassero soltanto, senza sognare, probabilmente gli atleti abbandonerebbero la loro faticosa passione, calcolerebbero che perdere è molto più probabile che vincere e perderebbero, probabilmente, una delle occasioni più straordinarie concesse in una vita: dimostrare a sé stessi e al mondo di essere i migliori.
Qui si tratta, è vero, "solo" di rinunciare a giocarsi quell'occasione in casa, un di più di tensione e di soddisfazione, ma anche a una vetrina irripetibile. E' comprensibile che si sentano un po' derubati. Per questo, almeno per questo, pur avvertendo il dovere di pensare alla concretezza, sentiamo di solidarizzare con la loro umanissima delusione.
Elisa Chiari