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domenica 24 settembre 2023
 
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Rosario e martello: fabbro di Dio in Estremo Oriente

12/06/2019  Fratel Felice Tantardini (1898-1991), religioso del Pontificio istituto per le missioni estere, visse e operò a lungo in Myanmar, l'ex Birmania, dove testimoniò il Vangelo al fianco dei poveri edificando chiese, scuole, ospedali, orfanotrofi. È uno delle 3 nuove beate e dei 7 nuovi venerabili Servi di Dio riconosciuti dalla Chiesa.

Povertà, semplicità e condivisione erano le parole-chiave sue e della sua missione. Felice Tantardini, valsassinese di Introbio era un religioso del Pime (Pontificio istituto missioni estere), un fratello  o un missionario laico a vita, come si dice oggi. Il suo ideale è stato sforzarsi «di essere felice, sempre e a ogni costo, intento a far felici anche gli altri». È morto nel 1991, all’età di 93 anni, dopo aver raggiunto quell’ambizioso traguardo nei circa 70 anni trascorsi in Myanmar, l'ex Birmania.

Fratel Felice è uno delle 3 nuove beate e dei 7 nuovi venerabili Servi di Dio riconosciuti dalla Chiesa. In Myanmar – dove pure i 750 mila fedeli rappresentano solo l’1,3% della popolazione in gran parte buddista – molti attribuiscono alla sua intercessione guarigioni inspiegabili. Eppure egli ha vissuto la sua missione da fabbro. Ex tornitore all’Ansaldo di Genova, titolo di studio la terza elementare, reduce dalla Prima guerra mondiale, venne spedito nel 1922 in Birmania. E lì spese, da par suo, i suoi talenti da “tuttofare”: non per nulla la sua autobiografia, scritta per ordine dei superiori, s’intitola Il fabbro di Dio (Emi) e la sua immagine più nota lo ritrae con addosso la tuta da lavoro, sporco, in bocca l’immancabile pipa e, alla cintura, l’inseparabile rosario. Martello, rosario e pipa: un trittico insolito che dice di una quotidianità spesa nel servizio umile e concreto, intrisa di profonda preghiera e di una devozione alla Madonna molto intensa.

Di Tantardini il grande inviato Tiziano Terzani scrisse (e non era un’esagerazione) che «aveva fabbricato tutte le finestre, le lanterne, le vetrate, i candelabri e le croci di tutte le chiese degli Stati Shan in Birmania», aggiungendo che Felice, così come i suoi confratelli e le suore del Pime che egli aveva incontrato, erano «bei personaggi, gente con una tenacia che oggi pochi sembrano avere». Quel che colpisce, in fratel Felice, il cui ricordo è tuttora vivissimo in Myanmar, è la sua capacità di lavoro, tanto straordinaria quanto insospettabile, vista la sua bassa statura di missionario: sta di fatto che nel 1973 il presidente della Repubblica Giovanni Leone l’ha nominato Maestro del Lavoro. Umile com’era, Felice accolse il riconoscimento con imbarazzo. Per sé aveva altri progetti: «Una volta in Paradiso – spero di andarci – intendo continuare da lassù a fare il missionario: non più, certamente, picchiando l’incudine, ma martellando senza posa il cuore del buon Dio, per strapparne tante grazie per questa povera gente che ora vedo attorno a me».

 
 
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