Monsinor Vincenzo Bertolone, 74 anni. arcivscovo di Catanzaro-Squillace. Foto Imago Mundi/Romano Siciliani. In alto: Rosario Livatino con i genitori. In copertina: Rosario Livatino durante un conbvegfno. Per gentile concessione dell'ufficio del postulatore diocesano.
È un beato giovane Rosario Livatino, il ’giudice ragazzino’ ucciso il 21 settembre 1990 all’età di 38 anni. Papa Francesco ne ha autorizzato a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio.
Dopo don Puglisi ora un'altra vittima delle mafie. Quale è il messaggio per i credenti? Don Pino Puglisi è, soprattutto, per l’Italia, “il primo prete morto martire per la fede nel contesto palermitano. Livatino è, a sua volta, il primo laico la cui morte per assassinio giunge al culmine di una montata di odio da parte di mandanti e killer delle Stidde (alla lettera, rami spezzati dall’albero di Cosa nostra), non senza gli opportuni ‘permessi’ di Cosa nostra”, ci dice il postulatore della causa, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone: “chi crede, soprattutto chi è giovane, è da lui incoraggiato a collegare la fede creduta con la vita vissuta, senza cedere a lusinghe, corruzione, minacce. Un uomo giusto, modello di legalità, di pratica coerente della professione. Livatino si trova a condurre il suo delicato lavoro di magistrato prima requirente e poi giudicante nel corso di una vera e propria guerra di mafia, in un periodo in cui l’equilibrio tra poteri dello Stato è messo a dura prova dalle reazioni di gran parte della politica nei confronti di alcune particolari inchieste che vengono condotte dalla magistratura. Indaga sui crocevia degli interessi politico-mafiosi e su di un giro di false fatture che fruttano decine di miliardi di fondi neri. La sua capacità, laboriosità e impegno sono ulteriormente dimostrati dalle statistiche degli affari trattati. Tra il 1984 e il 1988 risulta essere il magistrato più produttivo della Procura di Agrigento. Tutto questo, unito all’attaccamento ai principi evangelici che egli manifesta in una coerenza limpida e inattaccabile, porta stiddari e mafiosi alla decisione di ucciderlo”.
La sua “statura cristiana – ci spiega monsingor Bertolone - gli permetteva di superare il semplice piano della giustizia e dell’azione di magistrato. Era ed è morto per la sua coerenza ai valori evangelici, testimoniati. Sulla sua scrivania, sempre consultati il Vangelo ed il codice penale, a riprova dello stretto rapporto tra fede creduta e vissuta e pratica della giustizia. Applicava la legge, con equità ed equilibrio, senza ricorrere al giustizialismo, ma facendo opera di carità, anche in senso di solidarietà e prossimità economica, verso una società afflitta da corruzione e criminalità organizzata. Lavorando senza clamori – aggiunge l’arcivescovo - si pose agli antipodi delle logiche schiavizzanti e criminali dell’affare, delle pressioni su chi conta, del prestigio ad ogni costo e dell’omertà”.
A chi parla e chi può prenderlo ad esempio? "Come ha detto papa Francesco, ‘Rosario Livatino ha lasciato a tutti noi un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge’. La sua, dunque, è una figura significativa per la Chiesa, per il mondo e per la società contemporanea, in prospettiva del sempre forte bisogno di giustizia e dell’esigenza di un efficace annuncio del Vangelo. Costituisce un fulgido esempio per i giovani, che non devono farsi abbindolare dalle sirene dei soldi, del lavoro facile, e neppure cedere alle pressioni della criminalità organizzata opponendo fiducia e speranza. Livatino appare insomma come un faro luminoso per chiunque intenda, con spirito evangelico, porre un freno all’incidenza sociale delle mafie e alla deprecabile connessa pratica della corruzione. La sua luce brilla, spandendo i riflessi di un martirio che lo rende ora immortale”.
L’annuncio della sua futura beatificazione ad Agrigento è stato dato nella Basilica Cattedrale, dall’arcivescovo, il cardinale Francesco Montenegro e da monsignor Alessandro Damiano, arcivescovo ausiliare. Livatino, ha detto il cardinale, “ha incarnato la beatitudine di coloro che hanno fame e sete di giustizia e per essa sono perseguitati, mettendo pienamente a frutto il dettato conciliare sull’apostolato dei laici, sulla scorta dell’esperienza maturata in seno all’Azione cattolica”. “La preghiera costante e la quotidiana partecipazione al mistero eucaristico, insieme alla solida educazione cristiana, ricevuta in famiglia e corroborata dalla meditazione assidua della Parola di Dio e del magistero della Chiesa, hanno fatto – ha aggiunto - di lui un autentico profeta della giustizia e un credibile testimone della fede in un momento storico e in un contesto sociale tristemente segnati da una mentalità sotto diversi aspetti disumana e disumanizzante”. E oggi si apprende che la casa del giudice a Canicattì (Ag), rimasta immutata dal 21 settembre 1990 per volere dei genitori e successivamente degli eredi, è entrata, da ieri, nel circuito dell’Associazione Nazionale Case della Memoria.