La devozione del “mese di Ottobre” in onore della Beata Vergine Maria del Rosario è da attribuirsi al frate domenicano spagnolo p. Giuseppe Moran (+ 1884) che si fece zelante promotore presso i vescovi spagnoli di istituire nelle chiese cattedrali e nelle parrocchie tale devozione perché si affermasse il Rosario come “mezzo” di evangelizzazione per meditare gli episodi principali del Vangelo che richiamano le verità della nostra fede cristiana. Dopo la Spagna, tale devozione si diffuse anche in Francia e in Italia, tanto che Leone XIII la raccomandò nel 1883 alla Chiesa universale.
La volontà di estendere la celebrazione della preghiera del Rosario ad un mese intero nasce soprattutto dalla grande affermazione che la stessa ebbe dopo la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) ottenuta, secondo San Pio V, per l’intercessione della Madonna invocata con il Rosario. Secondo la tradizione il Papa, diede l’ordine di suonare le campane in segno di vittoria, prima ancora che l’esito della battaglia giungesse a Roma.
Non meno importante (anche se meno conosciuta), è la battaglia del 31 luglio 1646 della flotta cattolica delle Filippine contro gli olandesi, attribuita alla speciale protezione della Madre di Dio invocata col santo Rosario, vittoria che garantì alle isole Filippine la loro libertà civile e religiosa.
La tradizione attribuisce a San Domenico la formulazione del Rosario. Ma è “un modo narrativo” elaborato da Alano della Rupe (Alano de la Roche + 1475), per testificare con l’autorevolezza del grande santo spagnolo, l’importanza della preghiera che, nel frattempo, si era diffusa in tutta la Chiesa. Tutto ciò permette al beato Paolo VI nella Marialis Cultus di potere affermare, che “I figli di san Domenico sono per tradizione custodi e propagatori di così salutare devozione”. Anche in considerazione del grande merito che hanno avuto le Fraternite Laiche, promosse dai Domenicani, che lungo i secoli hanno svolto una importante opera di diffusione del Rosario.
Oltre le diatribe storiche, bisogna riconoscere come questa preghiera abbia avuto le sue radici negli Ordini religiosi (in primis i Certosini e poi quelli Mendicanti) che promossero preghiere litaniche orali (brevi e facilmente da imparare e recitare a memoria) per la maggior parte della gente che non sapeva leggere e scrivere. Da una parte quindi i monaci e i frati che recitavano i salmi per celebrare nella preghiera “canonica e ufficiale” della Chiesa la lode a Dio, dall’altra parte i “poveri e gli ignoranti” che rendevano con “il cuore e le labbra” manifesta la loro fede in Dio, per mezzo di Maria.
Oggi, i problemi sono altri, soprattutto dopo il Vaticano II. Il dibattitto è ancora aperto, tra chi vede nel Rosario una preghiera “per vecchi, ripetitiva e noiosa” e quindi da mettere da parte. Dall’altra parte i “ferventi e veri devoti” che, rimproverano alla Chiesa di essere “poco devota” al Rosario e quindi per rilanciare il ruolo della Vergine Maria nella vita della Chiesa propongono nuove devozioni, coroncine e titoli con cui invocare Maria per tutti i gusti e le esigenze… Attraverso i fratelli della Riforma, molti invece, hanno ri-scoperto il valore evangelico e, quindi ecumenico, della figura di Maria e quindi del Rosario.
Bisogna conoscere e venerare la Madre di Dio, attraverso la Sacra Scrittura e le devozioni che ad essa, direttamente si richiamano. Così insegna anche il Vaticano II e il Magistero della Chiesa.
Per fare chiarezza, mi sembra opportuno richiamare quanto insegna San Giovanni Paolo II nella Rosarium Virginis Mariae, vedendo nel Rosario una “sintassi del Regno” (Salvatore M. Perrella): l’enunciazione del mistero trinitario, cristologico e storico-salvifico a cui è stata associata per divina provvidenza Maria (cfr. RVM 29); l’ascolto della Parola di Dio nella consapevolezza ch’essa è data, donata per l’oggi della Chiesa e del mondo e “per me” (cfr. RVM 29); il silenzio come nutrimento dell’ascolto e della meditazione dell’evento contemplato (cfr. RVM 31); la recita del Padre Nostro che, mentre innalza l’orante verso il Padre di Cristo e il Padre di tutti nella comunione dello Spirito, anche quando tale recitazione è personale, o è compiuta in solitudine, è resa esperienza ecclesiale (cfr. RVM 32); la ripetizione delle dieci Ave Maria, che pone l’orante “sull’onda dell’incanto di Dio: è giubilo, stupore, riconoscimento del più grande miracolo della storia” (RVM 33), recitazione che esprime la fede cristologica, fa ripetere il santo e salvifico nome del Redentore, declina l’affidamento nella vita e nell’ora della nostra morte, del discepolo di Gesù, alla materna intercessione di sua Madre (cfr. RVM 33); la dossologia trinitaria del Gloria è la meta della contemplazione credente, anticipazione della contemplazione escatologica che porta e pregustare come per gli Apostoli sul Tabor (Lc 9,33), la bellezza dello stare per sempre con Dio (cfr RVM 34); la possibile recitazione della giaculatoria finale o la preferibile orazione a conclusione di ciascun mistero, avente lo scopo di ottenere i frutti specifici della meditazione del mistero enunciato (cfr RVM 35); lo strumento della Corona, che mentre risulta utile per conteggiare il succedersi delle salutazioni evangeliche, simboleggia plasticamente come la stessa Corona converga verso il Crocifisso, in quanto in Cristo è incentrata ogni preghiera cristiana e, per usare la bella espressione del beato Bartolo Longo, essa può essere considerata come una “catena dolce che ci rannoda a Dio”, simbolo non ultimo del vincolo di comunione e di fraternità che lega tutti al Figlio di Dio e di Maria, vera e amabile mater viventium (cfr RVM 36).
Forse saremo nella condizione non solo di “recuperare” il significato e il valore del Rosario, ma l’importanza della stessa preghiera e quindi sapere “insegnare” e fare “amare” il Rosario.