La Royal Opera House di Muscat
dal nostro inviato a Muscat
Tre serate con Rossini a Muscat, nel teatro d’opera più bello ed elegante del mondo arabo, con un pubblico che applaude e si diverte. Un pubblico nel quale, di anno in anno, cresce la presenza degli omaniti. La Royal Opera House della capitale dell’Oman continua a seminare bene e a raccogliere i frutti del suo lavoro. Nel 2016 trovammo un pubblico formato in gran parte di occidentali espatriati (diplomatici, imprenditori, turisti), nel 2019 si notò un aumento del pubblico locale, ora nelle serate dal 24 al 26 novembre è stata vistosa la presenza di spettatrici e spettatori omaniti. Anche intere famiglie. Come quella di Mohammed, il quale avendo già apprezzato gli spettacoli della Royal Opera House, è venuto insieme al fratello Hisham, accompagnato dalla moglie e dai loro tre bambini. Al Zubair Al Blushi, 35 anni, viene in teatro fin dalla fondazione, adora la Turandot di Puccini e ama Chopin, loda la lungimiranza del sultano Qābūs bin Saʿīd Āl Saʿīd, che ha fortemente voluto questo teatro.
Già eleganti per natura, omanite e omaniti vengono a teatro sfoggiando i più eleganti vestiti della loro tradizione. Prima degli spettacoli e durante l’intervallo si mettono in posa per selfie e foto nei angoli più scenografici del teatro.
Non era la prima volta che il Rossini Opera Festival portava un suo spettacolo a Muscat. Infatti la collaborazione con il teatro omanita prevede la messinscena integrale delle cinque farse composte da Rossini. Nei giorni scorsi è andata in scena La cambiale di matrimonio, già applaudita al ROF 2020 nella messinscena di Laurence Dale, con scene e costumi di Gary McCann e luci di Ralph Kopp, coprodotta con la Royal Opera House Muscat. L'opera è stata rappresentata in prima assoluta nella nuova edizione critica curata da Eleonora Di Cintio. Alessandro Bonato, 27 anni, veronese, ha diretto l'Orchestra Sinfonica G. Rossini. Nel cast il sempre brillante veterano Alfonso Antoniozzi, l’aitante Davide Luciano, Dilyara Idrisova, Davide Giusti, Aleksandr Utkin e Martiniana Antonie. In scena anche un attore (Matteo Anselmi) travestito da orso. Tra le due recite operistiche si è svolto un concerto di duetti ed arie rossiniane diretto da Nikolas Naegele. Nel cast, Salome Jicia, Raffaella Lupinacci, Pietro Adaíni e Grigory Shkarupa con un programma di brani da L’Italiana in Algeri, Il Turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, La donna del lago, La Cenerentola, Semiramide.
Il ROF guidato dal presidente Daniele Vimini (vice sindaco di Pesaro) e dal sovrintendente Ernesto Palacio, non si limita a portare a Muscat i suoi spettacoli, ma cerca di seminare conoscenza per suscitare anche nel mondo arabo passione e interesse per il teatro e per l’opera. Durante la tournée, il Rossini Opera Festival e la Royal Opera House hanno organizzato cinque workshop-concerto tenuti da Daniele Carnini, Direttore editoriale della Fondazione Rossini, per gli studenti delle università omanite, tutti con la partecipazione di giovani cantanti ex-allievi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”. I giovani omaniti hanno reagito con curiosità ed entusiasmo, felici di assistere a questa forma di spettacolo in cui si fondono musica, canto e recitazione. Alcuni di loro ci hanno raccontato che, pur frequentando facoltà scientifiche o di economia, fanno parte di gruppi teatrali. Quasi tutti avevano già visto almeno un’opera in teatro.
“Creare ponti culturali attraverso la musica”, così Umberto Fanni, direttore generale e artistico della Royal Opera House, spiega qual è la missione dell’istituzione musicale voluta dal sultano omanita Qaboos bin Said al-Said. “Per far dialogare culture diverse, il Sultano scese il linguaggio universale delle musica”, aggiunge Fanni.
Con il suo lavoro e la sua rete di contatti, Umberto Fanni esercita una preziosa diplomaziaculturale: semina conoscenza, getta ponti, favorisce l’incontro. Portare l’opera italiana in Oman fabene anche all’immagine dell’Italia, che con il Sultanato ha ottimi rapporti sul piano politico, economico e culturale. In Oman, ad esempio, operano da oltre quarant’anni diverse missioni archeologiche italiane.
Arrivato al potere nel 1970, il sultano Qābūs bin Saʿīd Āl Saʿīd ha rimesso in piedi l’Oman, allora impoverito, isolato e in decadenza. Qaboos ha investito soprattutto nelle infrastrutture e nell’istruzione rendendo l’Oman uno dei Paesi più stabili e sviluppati del Golfo, in buoni rapporti diplomatici con tutti i Paesi della regione mediorientale, compresi Iran e Israele. Qaboos è morto nel gennaio del 2020 lasciando indicazioni per il nome del successore, il cugino Haytham bin Ṭāriq. I ritratti del nuovo e del vecchio sultano si vedono affiancati in molti edifici pubblici.
Costruita fra il 2007 e il 2011, la Royal Opera House ha una sala da concerto da 1.100 posti circondata da giardini ed è collegata a una galleria che ospita caffè, ristoranti enegozi eleganti. Nel gennaio del 2019 è stata inaugurata anche una galleria sopraelevata che conduce a un nuovo edificio per eventi musicali, l’House of Musical Arts, con 600 posti e uno spazio di 15 mila metri quadri per allestire mostre.
L’edificio è stato costruito con l’uso di marmo di Carrara, travertino e legni pregiati della Malesia e dell’Oman intarsiati dai migliori artigiani dell’Oman. Lo stile architettonico riflette gli elementi tradizionali dell’architettura islamica. Lo sfarzo del foyer lo fa quasi sembrare la sala di una moschea (i pavimenti sono lucidissimi eppure non si scivola mai), ma sulla tradizione si innesta anche l’innovazione. “Ci sono apparati di palcoscenico che fanno uso delle tecnologie più avanzate, e questa scelta fu fatta fin dall’inizio”, spiega Fanni. “L’acustica è eccezionale, sembra di stare in un disco”, assicura il maestro Bonato. Alessandro Bonato, nel 2016, a soli vent’anni, diresse proprio a Muscat Die Zauberflöte di Mozart. “Suonare qui è stimolante”, spiega, “perché il pubblico è nuovo, si parte di zero e non si avverte il peso della tradizione che c’è nei teatri europei”.
Alla Royal Opera House i concerti e le opere cominciano con una puntualità teutonica e le eleganti maschere in abiti tradizionali (la lunga tunica detta dishdasha e sul capo il colorato turbante detto muzzar) , sollecitano il pubblico a prendere posto in sala con ferma gentilezza.
Inaugurata nel 2011 con “Turandot” (regia di Franco Zeffirelli), in questi anni la Royal Opera House ha ospitato spettacoli d’opera portati dai principali teatri italiani e internazionali. Ma in calendario ci sono anche concerti sinfonici, balletti , concerti di musica tradizionale, jazz, world music. Spesso si esibisce la Royal Oman Symphony Orchestra, fondata dal Sultano nel 1985.
In teatro lavorano a tempo pieno 274 persone, gli omaniti sono l’83 per cento, in gran parte giovani. Si sta formando anche un coro di bambini. Finora la Royal Opera House ha prodotto e coprodotto 18 titoli d’opera (nel marzo del 2019 andò in scena a Muscat “Lakmè” di Delibes, il primo spettacolo direttamente prodotto dalla Royal Opera House, in collaborazione con teatri dei cinque continenti: Los Angeles Opera, Teatro dell’Opera di Roma, Fondazione Arena di Verona, Teatro Carlo Felice di Genova, Cairo Opera House, Astana Opera, National Centre for the Peforming Arts of Bejing, Opera Australia). “L’Italia”, spiega Fanni, “resta l’assoluta protagonista della programmazione. Da qui sono praticamente passate tutte le Fondazioni liriche italiane, con l’eccezione della Scala di Milano e del Petruzzelli di Bari”.
A dicembre è atteso a Muscat Roberto Bolle. Il 14 il danzatore incontrerà il pubblico per raccontare la sua carriera mentre saranno serviti caffè e datteri. Il 15 e il 16 andrà in scena lo spettacolo “Roberto Bolle and Friends”.