Mino Martinazzoli, che quando andava in Sicilia preferiva andare a cena da Mattarella piuttosto che a casa di Salvo Lima, raccontava che le dimissioni dei cinque ministri della sinistra Dc, per opporsi alla legge Mammì, nacquero soprattutto dai colloqui tra loro due. Con Andreotti che consigliava di votare no alla legge in Consiglio dei ministri «per mantenere il punto» e poi sì in Parlamento «per disciplina di partito». E con la risposta testarda che «la questione non era mantenere il punto, ma non votare una legge ingiusta che avrebbe dato un vantaggio alle tv di Berlusconi senza affrontare e risolvere il problema delle emittenze private». La lettera di dimissioni, scritta a mano da Martinazzoli, fu poi materialmente consegnata ad Andreotti da Sergio Mattarella. Che prima di varcare la soglia si voltò verso il collega di partito per chiedergli se ne aveva fatto una copia, «altrimenti quello se la mangia». E Martinazzoli riaprì diligentemente la lettera, la ricopiò e la riconsegnò a Mattarella.
Rosy Bindi, questo è un episodio emblematico della personalità di Sergio Mattarella. È per via di quelle dimissioni che Forza Italia non ce l’ha fatta a votarlo?
«Non credo che un fatto di tanti anni fa possa avere influito in maniera così determinante come fatto in sé. La spiegazione di Forza Italia è che rimproverano a Renzi il metodo. Credo però che sia stato determinante anche il fatto che sappiano che Sergio Mattarella è sempre quella persona lì. C’è la consapevolezza che chi compie un gesto come quello certamente non è disponibile a compromessi».
Si sa che Cicchitto e Sacconi, che si è anche dimesso, sono stati i più duri contro Mattarella nelle discussioni interne a Ncd dandogli anche del giustizialista. Perché una personalità come la sua è così mal digerito da una parte?
«Non voglio entrare nelle dinamiche interne degli altri schieramenti. Posso dire però che la cultura di Mattarella è quella della sinistra dc, morotea, che è sempre stata l’alternativa al pentapartito craxiano di cui Berlusconi è l’erede. Questo è l’elemento importante. Da questa fermezza, da questa mitezza, da questa cultura viene fuori lo spirito della Costituzione. Una persona come Mattarella è di garanzia per tutti perché è una persona che rispetta la Costituzione, non perché sia prossimo a questo o a quello schieramento».
Ha parlato di sinistra Dc. La democrazia cristiana non è mai morta?
«Direi che Sergio Mattarella è espressione di quella cultura, di quella storia che ancora una volta si è dimostrata una risorsa importante per la vita della Repubblica. La democrazia cristiana ha avuto molti presidenti della repubblica, ma possiamo dire che Sergio Mattarella sia il primo vero moroteo al Colle. Ha saputo anche conservare le radici e al tempo stesso rinnovarsi, stare nel cambiamento. Ha saputo resistere a periodi di difficoltà perché la cultura di Sergio Mattarella è una cultura che ha passato anche momenti difficili per le sintesi politiche assolutamente alternative che ci sono state in questi anni, forse anche dentro la Chiesa. Però quando le culture sono forti, e ci sono persone capaci di interpretarle e di custodirle, ai crocevia importanti della storia si incontrano sempre».
In questi giorni abbiamo sentito dire che è una persona sobria, schiva, competente. Lei che ha militato con lui fianco a fianco quali aggettivi userebbe per definirlo?
«Innanzitutto confermo tutti questi aggettivi. Penso che la qualità straordinaria sia quella di saper coniugare la mitezza e la fermezza. Due elementi che insieme, soprattutto in questo momento, ne fanno la persona giusta per ricoprire l’incarico di presidente della Repubblica e che sono anche all’origine della sua capacità di tessere rapporti, di tenere uniti, ma, al tempo stesso, di essere irremovibile quando arrivano i momenti di affermare un valore e un principio. Tutta la sua mitezza, in quei momenti, si trasforma improvvisamente direi in una durezza. Diventa, appunto, irremovibile. Così è stato con le dimissioni, nella sua vita da ministro, con le dimissioni da vice segretario di Forlani, quando abbiamo rotto con le scelte di Buttiglione. Credo che in questo momento saprà unire come ha unito il Parlamento, ma saprà anche offrire a tutti noi, in particolare al Governo, quel culto di solidità di cui c’è bisogno».
Questa candidatura ha compattato il Pd. Adesso cosa succede nel partito? Comincia un’altra storia?
«Credo che in questi giorni abbiamo scritto una storia buona. Una storia che, soprattutto per il metodo usato, potrebbe ispirare anche la storia futura. Tanti voti che ha preso oggi Sergio Mattarella sono certamente merito della sua persona, una maggioranza che ha sfiorato quella dei due terzi. Ma questa forza si è costruita dall’unità del Pd. La domanda che ci facciamo è se possiamo ripartire sempre da qui e poi allargare. Io spero di sì».
Ma è morto il patto del Nazareno?
«Secondo me non deve morire il processo delle riforme. Credo che sia stata sconfitta la visione di chi pretende che il patto del Nazareno sia una prigionia invece che una possibilità e una opportunità. Non credo – e ritengo che non sarebbe neppure giusto – che si interrompa il processo delle riforme. Ma le riforme si fanno in Parlamento. Possono anche prendere avvio da un rapporto privilegiato con una o più forze politiche, ma poi si riscrive in Parlamento la Costituzione e la legge elettorale. Così come è il Parlamento che vota il presidente della Repubblica. E in questo processo di riforma, rispettando le prerogative del capo dello Stato e del Parlamento, Sergio Mattarella sarà sicuramente una garanzia. Non è una sponda per qualcuno, ma dirà dei sì e dei no seguendo i dettami costituzionali».