Il 20 novembre 2019 la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza compie 30 anni. Dal momento della sua approvazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è divenuta non soltanto il trattato internazionale in materia di diritti umani più ratificato al mondo, ma soprattutto uno straordinario strumento di promozione di tutele, sviluppo e giustizia sociale.
Ha infatti contribuito a trasformare la vita di milioni di bambine, bambini e adolescenti, ha sollecitato i governi a migliorare le proprie leggi e politiche, investendo su assistenza sanitaria, nutrizione, istruzione, educazione, protezione dalla violenza e dallo sfruttamento. Grazie alla forza propositiva della Convenzione in molte realtà sono state create le condizioni per permettere a bambine, bambini e adolescenti di potersi esprimere, essere ascoltati e partecipare allo sviluppo delle proprie comunità. Nonostante questi straordinari risultati, la Convenzione non è pienamente attuata, né sufficientemente conosciuta e compresa e, ancora oggi, migliaia di bambine, bambini e adolescenti vengono sottoposti a discriminazioni, subiscono abusi e sfruttamento, vengono derubati della loro infanzia da guerre e violenze.
Per rendere ancora più incisivo ed efficace l’impulso costruttivo della Convenzione è indispensabile l’impegno concreto di tutte le persone adulte, in ogni contesto, ad ogni livello.
Le scelte progettuali, organizzative, le azioni concrete di coloro che a vario titolo operano in ambito educativo e culturale possono avere ricadute importantissime, attivando processi virtuosi, promuovendo in modo capillare sui territori una nuova cultura dei diritti con una specifica attenzione alla fascia d’età 0-18.
Per i bambini anche l’esercizio del diritto alla lettura, alla narrazione, alle storie dovrebbe essere garantito dagli adulti, soprattutto in considerazione del fatto che i più piccoli non dispongono ancora di sufficiente autonomia per scegliere e recarsi nei luoghi dove accedere alla lettura, come biblioteche, librerie, biblioteche scolastiche.
Per costruire un rapporto precoce tra libri e lettori occorre quindi una mediazione dell’adulto e la qualità di tale mediazione potrà influenzare il futuro del giovanissimo lettore.
Le tristi statistiche ISTAT ci dicono che le pratiche di lettura in Italia sono davvero scarse, poche le famiglie che hanno libri in casa e che conoscono le potenzialità che leggere può avere sullo sviluppo emotivo, relazionale e cognitivo del bambino.
Anche a scuola la lettura è purtroppo sottovalutata, considerata spesso nella sua mera componente funzionale e spogliata di ciò che la rende unica: un’attività naturale e umana - e come ci ricorda Franco Cambi - profondamente intima e creatrice di senso. Quando leggiamo, il nostro cervello intesse una rete di collegamenti tra i propri vissuti personali e il mondo intorno, attua confronti, ipotesi, immagina “gallerie di destini” e possibili soluzioni di fronte a situazioni di difficoltà.
Se la lettura e l’ascolto hanno in sé una potenzialità pedagogica talvolta trascurata, che può favorire il diritto alla libera espressione e all’ascolto di bambine, bambini e adolescenti, non avere accesso alla lettura può allora tradursi per un bambino, per un adolescente, in una mancanza di opportunità, che può implicare sofferenza, rendere vulnerabile a forme di discriminazione, favorire l’esclusione sociale e l’insuccesso scolastico.
L’UNICEF ha ricevuto dalle Nazioni Unite il mandato di far conoscere e rispettare la Convenzione, accompagnando e sostenendo le istituzioni nazionali e locali, le comunità e tutti coloro che lavorano con e per le bambine, i bambini e gli adolescenti. A questo scopo sono stati creati specifici Programmi, strutturati per poter dialogare con le Istituzioni e gli attori sociali che operano nei diversi ambiti – la città, gli ospedali, lo sport, l’università, la scuola, le biblioteche, i musei.
Il Programma Scuola amica dei bambini, delle bambine e degli adolescenti propone un approccio sistemico alla costruzione di contesti educativi orientati alla piena realizzazione dei diritti sanciti dalla Convenzione.
Quando ho scritto con UNICEF il progetto “Leggere i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso immagini e parole” ho pensato al diritto alla lettura così spesso violato per i bambini, ho pensato ai tanti che non frequentano mai una biblioteca, ai genitori che non prendono loro libri in prestito e non frequentavano le librerie, ho pensato alle storie che non avrebbero mai potuto ascoltare. Dall’altra ho pensato ai visini sorridenti dei bambini che vengono in biblioteca, agli sguardi complici, sorpresi, divertiti, durante le letture, ai libri sottobraccio che si portano a casa per farsi leggere alla sera dai loro genitori. Da questo è nato il progetto sulla lettura, la cui introduzione recita:
“La produzione contemporanea di letteratura per l'infanzia e per l’adolescenza propone bellissimi albi illustrati, libri, graphic novel, libri digitali, che possono diventare strumenti pedagogici importanti per parlare ai bambini e ai ragazzi dei loro diritti, far loro esprimere disagi, osservare e ascoltare le proprie emozioni, favorire il confronto su argomenti difficili da trattare in classe o in famiglia. La lettura, soprattutto se proposta come attività condivisa, accompagnata da libri, parole e immagini, la cui qualità sia stata attentamente selezionata, può diventare un potente strumento di relazione attraverso il quale i bambini e i ragazzi possono "leggersi" reciprocamente, esprimere la loro voce e i loro pensieri più profondi”.
Durante il mio lavoro di bibliotecaria e come autrice di libri per l’infanzia ICWA, mi sono trovata a riflettere su quanto l’accesso “piacevole” alla lettura dei bambini e dei ragazzi sia spesso compromesso da una scarsa attenzione di noi adulti, rispetto ai loro reali bisogni, al loro diritto di essere ascoltati, di ascoltare, leggere e produrre storie fin dalla più tenera età. Se durante i primi anni di vita solo una minima parte di bambini viene iniziata consapevolmente al piacere del leggere, quando i ragazzi arrivano alle scuole secondarie di primo grado la lettura, ahimè, diventa un buco nero. Spesso trascurata e relegata a mera decodifica di opere classiche e analisi funzionale dei testi, perde tutta la sua connotazione umana legata al sentire e all’espressività delle emozioni. Noi bibliotecari e autori spesso riconosciamo questo fenomeno quando lo incontriamo durante i nostri incontri nelle scuole e molta fatica e sforzo facciamo per lavorare a sensibilizzare educatori e insegnanti e mostrare a studenti e studentesse il lato più bello e accattivante della lettura, che dispiega mondi possibili, permette di creare, immaginare e viaggiare oltre ogni confine.
Come ci hanno insegnato fior di studiosi, come Duccio Demetrio, Franco Cambi, Andrea Smorti, Enzo Catarsi, tutti i nostri processi di costruzione dell’identità personale, a livello affettivo, relazionale e cognitivo, in ogni fase della vita, sono influenzati dalla nostra capacità, acquisita in età evolutiva, di narrarci e dall’aver acquisito consapevolezza di quell’impalcatura narrativa che Rodari chiamava la Grammatica della Fantasia e Jerome Bruner Il pensiero narrativo, strumenti indispensabili per dar forma al nostro sé, ai nostri significati, alle cornici di senso in cui riconoscerci e raccontarci come esseri umani con una propria autobiografia e memoria.
Una cosa che mi colpisce spesso, durante le letture che faccio ai bambini e ai ragazzi, è che alcune funzionano meglio di altre. Ma perché? Imparando con il tempo a cogliere i dettagli della qualità dei libri che leggevo alle classi, mi sono accorta che funzionano meglio quelle scritture che io chiamo altruiste, cioè “aperte”, che lasciano ai lettori una sorta di ambiguità, degli “spazi vuoti” da riempire come li definiva Umberto Eco. E vengo qui velocemente all’altro tema che mi sta a cuore, quello della qualità della scrittura destinata ai giovani lettori. Durante le letture osservo che le “belle scritture” sono fatte di interstizi, silenzi, dubbi, sapientemente costruiti e dosati insieme agli altri ingredienti della narrazione; in questi si incastrano ed emergono “i significati” dei bambini, e dopo le prime timidezze, molti non vedono l’ora di rivelare a se stessi e agli altri gli aspetti ritenuti significativi; ma non solo, quando riformulano la loro osservazione spesso alla loro frase si unisce una parte del tutto nuova, soggettiva che attiene all’esperienza e al vissuto personale del bambino.
Per questo credo che uno scrittore per ragazzi, rispetto ad uno scrittore che scrive per adulti, abbia una responsabilità maggiore, e debba mostrare una seria attenzione al linguaggio, alla ricerca documentaria, affinché il bambino lettore/ascoltatore, ne rimanga non solo affascinato, ma anche acquisti nuovi saperi e consapevolezze, che sia lasciato libero di fare inferenze con i suoi vissuti personali, possa immaginarsi situazioni diverse, che la storia quindi sia per lui un incontro con vicende non banali, un percorso di crescita e di confronto con alterità. E non c’è bisogno che lo scrittore sia un pedagogista, anzi, una scrittura troppo pedagogica può essere pesante, fuorviante e favorire nel bambino un’omologazione che è deleteria e lesiva del suo diritto ad avere una propria personalità, in un contesto dove ogni elemento critico è utile per orientarsi e tutelarsi dal primato del consumismo della nostra società.
La scrittura, quando è ben fatta, valuta bene contenuti e linguaggio destinandoli a specifiche fasce di età, non propone pacchetti già pronti o contenuti modaioli che fanno cassa, ma propone pensieri “diversi”, che “mettono in moto” l’intelligenza del bambino, spronano la sua riflessione, lo portano a dubitare delle certezze che abbiamo intorno, svela stereotipi e discriminazioni, pone i protagonisti davanti a scelte e a un senso etico che non è sentimentalismo ma presa di coscienza della varietà che nel mondo esiste riguardo modi di vivere, vedere la vita, decidere, scegliere di fare del bene o del male agli altri, sbagliare, cambiare, cercare nuove opportunità. Una scrittura attenta è anche una scrittura coraggiosa, che non ha paura di trattare argomenti difficili, tabù dell’infanzia, utilizza la drammaticità, la leggerezza, l’ironia, per introdurre riflessioni importanti, che riguardano l’universo quotidiano del bambino, le relazioni familiari, gli amici, la scuola, il rapporto con il mondo e la natura. Anche la varietà degli stili degli autori è importante, essa va preservata per garantire ai nostri giovani lettori un universo di prospettive diverse, linguaggi e modi di raccontare che ogni bambino potrà valutare e amare secondo il proprio stile cognitivo, relazionale, affettivo.
Concludo questo articolo con una riflessione finale molto importante per UNICEF. Spesso quando si parla di diritti dell’infanzia, nei vari contesti scolastici e familiari, gli adulti utilizzano, come in una associazione automatica, la parola doveri. Quando si tratta di diritti dell’infanzia l’uso di questa parola sarebbe da evitare, in quanto i bambini sono portatori di diritti in ogni caso, e non hanno diritti a fronte di doveri, e i loro diritti non decadono mai, esistono indipendentemente da ogni cosa, infrazioni di regole comprese. Nel caso sarebbe più corretto parlare di educazione alla responsabilità, di processi educativi nei quali accompagnare i bambini a riconoscere che tutti hanno diritti e a sviluppare il loro senso etico. E in questo i libri, le storie, un lavoro editoriale di qualità, gli incontri con gli autori e le letture nelle scuole, nelle biblioteche, nelle librerie, possono davvero fare moltissimo. Per informazioni su quello che fa sull'Assocaizone italiana degli scrittori per ragazzi www.icwa.it