Il professore Ruben Razzante
«Sulla comunicazione sono stati fatti tanti errori. Li hanno fatti i governanti nazionali, i governatori regionali, i sindaci, gli epidemiologi, i virologi e tutti coloro i quali hanno dovuto, a vario titolo, occuparsi della pandemia. Era inevitabile che fosse così. Sicuramente è stato sbagliato sottovalutare il Covid-19 all’inizio, perché in questo modo è risultato più traumatico l’impatto delle misure restrittive adottate successivamente. Discutibile lo stillicidio quotidiano dei dati sull’andamento della pandemia. Io l’avrei evitato, limitandomi a fornire periodicamente i dati, ma senza esasperare l’opinione pubblica».
A dirlo è il professore Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano e all’Università Lumsa di Roma. Razzante è uno degli otto esperti a titolo gratuito dell’Unità di monitoraggio per il contrasto alla disinformazione sul web e sui social in materia di Covid-19, istituita il 4 aprile con decreto del sottosegretario all’editoria, Andrea Martella e che nei giorni scorsi ha prodotto un documento di 12 pagine con le linee guida che il Governo intende seguire per combattere le fake news sul virus.
Professor Razzante, Il compito della vostra task-force era quello di fornire strumenti per contrastare la diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e i social network. A quali conclusioni siete giunti?
«Nel documento che abbiamo elaborato in due mesi di lavoro gratuito e che è scaricabile dal sito del Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi, abbiamo sintetizzato le azioni che il Governo varerà per contrastare efficacemente la disinformazione sul Covid-19. Anzitutto verrà creato un unico hub per tutte le informazioni asseverate e certificate, una sorta di unico sito istituzionale nel quale far confluire le notizie fondate su evidenze scientifiche. Ci sarà anche un’unica banca dati nella quale confluiranno le varie Faq sul Covid-19. In questo modo il cittadino saprà dove andare a documentarsi per apprendere le notizie sul virus e le indicazioni pratiche su come evitare il contagio. Inoltre il Governo promuoverà alcune campagne di sensibilizzazione in tv e sui canali YouTube istituzionali come quello del Ministero della Salute. Infine, stimolerà la formazione dei comunicatori pubblici attraverso corsi a distanza, pensati proprio per facilitare il riconoscimento da parte loro delle fake news e il confezionamento di messaggi istituzionali più attendibili e fondati su evidenze scientifiche. Si tratta d’iniziative volte a consolidare il nesso inscindibile tra diritto all’informazione e tutela della salute, quanto mai fondamentale in questa fase di emergenza. La nostra tas-force non è nata per censurare notizie e opinioni, ma per fornire agli utenti della Rete strumenti per navigare con maggiore consapevolezza nel web, al fine di discernere con equilibrio, oculatezza e maggiore libertà i contenuti e di riconoscere più facilmente le notizie riconducibili a fonti istituzionali e quindi fondate su evidenze scientifiche e quelle di dubbia autenticità, che necessitano di ulteriori verifiche prima di essere ulteriormente divulgate».
Che cosa dovrebbe fare il Governo per informare i cittadini sulla pandemia e sulle misure adottate, o che adotterà in futuro, per contrastarla?
«Il Governo dovrà continuare ad assicurare notizie istituzionali equilibrate e, soprattutto, informazioni di pubblica utilità sulle modalità più efficaci per ridurre i rischi di contagi e per consentirci di tornare prima possibile a svolgere le normali attività professionali e sociali in una cornice di sicurezza e di tutela della salute. Dovrà farlo muovendosi lungo la linea sottile che permette di evitare due eccessi ugualmente deprecabili: un destabilizzante allarmismo, in grado di terrorizzare l’opinione pubblica e di frenare ulteriormente la macchina economica; una smodata euforia sul presunto totale superamento dell’emergenza sanitaria, che in realtà persiste e va gestita con cura, soprattutto in questa fase finale della pandemia».
Ci sono stati errori di comunicazione da parte del governo e degli enti locali in questi mesi sulle norme adottate per il contrasto al Covid-19?
«Sono stati fatti tanti errori. Li hanno fatti i governanti nazionali, i governatori regionali, i sindaci, gli epidemiologi, i virologi e tutti coloro i quali hanno dovuto, a vario titolo, occuparsi della pandemia. Era inevitabile che fosse così. Sicuramente è stato sbagliato sottovalutare il Covid-19 all’inizio, perché in questo modo è risultato più traumatico l’impatto delle misure restrittive adottate successivamente. Discutibile lo stillicidio quotidiano dei dati sull’andamento della pandemia. Io l’avrei evitato, limitandomi a fornire periodicamente i dati, ma senza esasperare l’opinione pubblica. Il contrasto tra misure nazionali e misure regionali e locali, con la pioggia di decreti, ordinanze e provvedimenti amministrativi, ha comunicato incertezza decisionale e instabilità nella gestione dell’emergenza. Infine, le fughe di notizie sui decreti, prima della loro approvazione e pubblicazione, e le continue comunicazioni serali del premier hanno alimentato tensioni sociali, ansia e stress emotivo nelle persone. Ma ripeto: si è trattato di una situazione eccezionale, imprevedibile e speriamo irripetibile nei suoi aspetti più drammatici. Difficile farsi maestri giudicando l’operato di chi ha dovuto prendere decisioni in fretta e furia, con ospedali al collasso, mascherine introvabili e pressioni di ogni tipo».
Quali sono le cose urgenti da fare per migliorare, se è da migliorare, la comunicazione istituzionale del Covid-19?
«Mi pare che ora i toni della comunicazione istituzionale siano più pacati e meno concitati e si stiano adattando a una mutata sensibilità sociale. La gente sembra meno ossessionata dal virus, ha grande desiderio di normalità e da almeno un mese è tornata a parlare di ritrovi tra amici e di vacanze. Direi che il Governo dovrebbe puntare a rasserenare gli animi rispetto all’allarme sanitario e ad essere invece molto trasparente con i cittadini sulla reale situazione dell’economia, che richiederà un forte impegno da parte di tutti. Ecco, ora bisognerebbe curare soprattutto la comunicazione sociale ed economica, chiarendo ai cittadini che, in ambito sanitario, anche tutte le altre patologie, molte delle quali infinitamente più gravi del Covid-19, continuano ad esistere e a mietere vittime, eppure di esse non si parla abbastanza perché il dibattito sul fronte sanitario è ancora fortemente concentrato sul coronavirus».
I cittadini italiani su quale media si sono informati di più su questa pandemia: il web, la Tv, i social, i giornali?
«Sono cambiate le diete mediatiche degli italiani ed è aumentato il fabbisogno informativo. Il lockdown ha spinto verso un utilizzo massiccio della Rete anche per approvvigionarsi d’informazioni di pubblica utilità. Direi che c’è stato un forte riscatto dell’informazione di qualità, prodotta professionalmente da giornalisti che sono rimasti in prima linea per raccontare giorno dopo giorno, ora dopo ora, l’evoluzione del virus. Sui social, invece, la circolazione di alcune fake news e notizie di dubbia autenticità ha disorientato l’opinione pubblica e ha alimentato un clima da caccia alle streghe. Certo è che moltissimi italiani che pensavano di poter vivere senza la Rete hanno dovuto abituarsi alla virtualizzazione delle loro vite, per ragioni professionali, di formazione e di svolgimento di funzioni essenziali, anche legate al commercio on line. Una vera rivoluzione tecnologica e culturale stimolata dalla pandemia».
Quali sono state le fake news sul virus che più hanno influenzato negativamente il comportamento dei cittadini? Avete svolto un monitoraggio di questo tipo?
«Non ci siamo in alcun modo occupati di fact checking, cioè di esame analitico delle singole fake news. Certo è che moltissime notizie di dubbia autenticità o moltissimi file audio o video autoprodotti da sciacalli e che circolavano all’inizio della pandemia, soprattutto su WhatsApp, hanno disinformato l’opinione pubblica e generato false certezze su presunte cure miracolose o ingiustificati allarmi rispetto al collasso di certi reparti di terapia intensiva, che sono stati certamente in sovraccarico ma sono comunque riusciti a gestire l’emergenza».
Il Rapporto è arrivato dopo due mesi dall’insediamento della task-force. Adesso il vostro lavoro è concluso o andrà avanti? Con quali compiti e obiettivi?
«Il decreto prevede che la nostra Task Force continui ad operare fino alla fine della pandemia e comunque per non meno di un anno, quindi almeno fino al 4 aprile dell’anno prossimo. Resteremo a disposizione del Governo per supportarlo con studi, pareri e consulenze gratuite rispetto all’attuazione delle linee guida che abbiamo inserito nel documento consegnato la settimana scorsa».