«La pandemia ha digitalizzato in maniera drastica le nostre vite, costringendoci a svolgere nell’ambiente virtuale tutta una serie di attività che sino a quel momento avevamo svolto in presenza, con inevitabili scossoni anche sul versante delle regole di comportamento. Anche per questo assistiamo a un aumento delle norme sull’infosfera».
Il professore Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma, torna in libreria con il suo Manuale di Diritto dell’informazione e della comunicazione (Cedam-Wolters Kluwer), giunto alla nona edizione e ormai un classico per studenti e addetti ai lavori. Venerdì 27 maggio, alle ore 18, a Palazzo Cusani (via del Carmine, 8) a Milano, il volume sarà presentato dal Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Giacomo Lasorella e dal Presidente dell’Associazione produttori audiovisivi, Giancarlo Leone.
Professore, l’ultima edizione del Manuale risale a tre anni fa. Nel frattempo, la pandemia ha portato numerosi cambiamenti. Che impatto ha avuto nel mondo dell’informazione e della comunicazione?
«Sembra passato almeno un decennio dall’ultima edizione, che è del 2019. Eravamo già profondamente immersi nel contesto dell’integrazione multimediale, il diritto con passo lento provava a governare i processi di cambiamento stimolati dall’innovazione tecnologica, ma nessuno immaginava quello che sarebbe successo di lì a poco. La pandemia ha digitalizzato in maniera drastica le nostre vite, costringendoci a svolgere nell’ambiente virtuale tutta una serie di attività che sino a quel momento avevamo svolto in presenza, con inevitabili scossoni anche sul versante delle regole di comportamento. Le norme sull’infosfera si stanno moltiplicando, soprattutto a livello europeo, per tentare di disciplinare le molteplici e variegate situazioni che la vita digitale offre alla riflessione quotidiana degli operatori del diritto. Oltre all’apporto dei legislatori nazionali e sovranazionali va segnalata un’ingente produzione giurisprudenziale, con sentenze di tribunali che hanno fissato nuovi confini tra libertà e responsabilità in Rete».
La guerra in Ucraina ha rilanciato, in maniera drammatica, il fenomeno delle fake news. Com’è possibile “arginare” i danni di questo fenomeno?
«Non ci sono ricette, ma un insieme di strumenti che, se usati con saggezza, possono contribuire a contenere il fenomeno e ad attutire l’impatto che esso può produrre sul nostro diritto ad essere correttamente informati su fatti di interesse pubblico. Ci sono centri di potere internazionali che vivono di diffusione di notizie false, per svariate finalità, da quelle più strettamente commerciali e finanziarie a quelle di manipolazione dell’opinione pubblica. Di qui la necessità di applicare criteri di cautela nella diffusione di notizie di dubbia autenticità per non contribuire, involontariamente, a rendere ancora più tossico il web. Diffidare e sospendere il giudizio di fronte a contenuti sensazionali ma non supportati da elementi di realtà è un atteggiamento salutare e raccomandabile. Esistono già, peraltro, norme giuridiche che puniscono reati come la diffamazione on-line, il procurato allarme ma molto possono fare anche i codici deontologici e l’educazione ad un uso corretto e consapevole del web».
Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo della comunicazione?
«È presto per dirlo, perché l’Unione europea è ancora alle prese con l’elaborazione di un Regolamento sul tema. La bozza di un anno fa prova a regolamentare una famiglia di tecnologie in rapida evoluzione e in grado di apportare una vasta gamma di benefici economici e sociali in tutto lo spettro delle attività industriali e sociali. I veloci cambiamenti tecnologici e le possibili sfide hanno spinto l’Unione europea a perseguire un approccio equilibrato per assicurare che i cittadini europei possano beneficiare di nuove tecnologie sviluppate e operanti in conformità ai valori, ai diritti fondamentali e ai principi dell’Unione. Nell’ambito della comunicazione, l’intelligenza artificiale potrebbe dare un supporto decisivo nei processi di selezione e valorizzazione delle informazioni di qualità, quindi un contributo anche alla marginalizzazione delle fake news».
Il professore Ruben Razzante e la copertina dell'ultima edizione del Manuale di Diritto dell'informazione e della comunicazione
Trentadue paesi extraeuropei hanno firmato la “Declaration for the Future of the Internet”. Di cosa si tratta e perché è un documento importante?
«Non sopravvaluterei il valore di questo documento. Non si tratta, infatti, di un testo giuridico vincolante, ma di una semplice dichiarazione di intenti, una sorta di manifesto programmatico sulla libertà in Rete. Potenze mondiali come Usa, Cina e India non l’hanno sottoscritto, e questo particolare rischia di depotenziarne ulteriormente gli effetti. Molti Stati autoritari utilizzano il web come strumento di potere e di manipolazione del consenso. Nel documento ci sono impegni precisi affinché queste pratiche cessino per lasciare gradualmente spazio a una vera democrazia della Rete, ma non vorrei che si trattasse dell’ennesimo “libro dei sogni”. Questi traguardi si raggiungono solo con un coro polifonico di volontà empaticamente concordi, e mi riferisco alle organizzazioni internazionali, agli Stati più influenti, ai titolari e gestori delle piattaforme».
È stato raggiunto l’accordo sul Digital services act (Dsa), presentata dalla Commissione Ue nel dicembre 2020 per introdurre garanzie più forti per gli utenti di Internet e maggiori responsabilità per i gestori delle piattaforme web e social. Cosa cambierà concretamente con questo documento se verrà approvato? Lei pensa che funzionerà per combattere i contenuti illegali e pericolosi in rete?
«L’approvazione definitiva del Digital services act (Dsa) non è ancora avvenuta, almeno nei suoi passaggi formali. Dunque è prevedibile che prima del 2024, con tutti gli step previsti dal diritto europeo, quel testo di legge non produrrà effetti. Il Dsa istituisce un meccanismo di notifica e azione e garanzie per la rimozione senza indebito ritardo di prodotti, servizi o contenuti illegali on-line. Vengono introdotte anche salvaguardie più rigorose per garantire che le notifiche siano trattate in modo non arbitrario e non discriminatorio e nel rispetto dei diritti fondamentali, compresa la libertà d’espressione. Le sanzioni che la Commissione potrà infliggere alle società che gestiscono i servizi digitali lasciano ben sperare sulla possibilità che tali novità normative possano contribuire a “sanificare” l’ambiente digitale e a renderlo più sicuro, inclusivo e democratico».
I social come stanno ridefinendo o cambiando il lavoro dei giornalisti e degli operatori della comunicazione?
«I social possono diventare una ricchezza anche per il diritto all’informazione, contribuendo a fornire ai giornalisti fonti ulteriori rispetto a quelle tradizionali. Il Testo unico dei doveri del giornalista all’articolo 9 nobilita i profili social, qualificandoli come fonti giornalistiche a tutti gli effetti. Tuttavia, sempre il Testo unico, all’articolo 2, mette in guardia gli operatori dell’informazione dal rischio di utilizzare i propri profili social come sfogatoi delle proprie pulsioni individuali, dimenticando i propri doveri deontologici. Il giornalista, anche quando scrive un post su Facebook o un tweet, deve rispettare i diritti della personalità altrui e applicare i principi di neutralità, verità dei fatti, verifica delle fonti, rettifica delle notizie inesatte».
Papa Francesco ha più volte richiamato l’esigenza di un “umanesimo digitale” in grado di rimettere al centro della comunicazione la persona umana. Dal punto di vista legislativo a che punto siamo perché questo scenario si realizzi?
«Il Pontefice, anche nel suo ultimo Messaggio in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, ha ricordato quanto sia indispensabile l’ascolto, primo ingrediente del dialogo e della buona comunicazione e ha evidenziato come l’infodemia renda sempre meno credibile e trasparente il mondo dell’informazione. La Rete come strumento al servizio dell’uomo e della società può realizzare un nuovo “umanesimo digitale” solo se ciascuno di noi s’impegnerà a utilizzarla per costruire ponti, non muri, e se una legislazione illuminata sarà in grado di contemperare la libertà d’espressione on-line con la tutela della dignità di tutti gli esseri umani. È una lenta semina, della quale s’iniziano a vedere i frutti, ma il sentiero è ancora lungo e tortuoso».