«L’evasore non è una razza diversa. L’evasore può essere ognuno di noi. In potenza è dentro ognuno di noi». Così Ernesto Maria Ruffini, avvocato tributarista, autore di “L’evasione spiegata a un evasore” (edizioni Ediesse) spiega a un evasore in un immaginario colloquio, come sia inutile scandalizzarsi di certi titoli di giornali o proteggersi dietro ai luoghi comuni se non si cambia la nostra cultura, quella di tutti i giorni, quando si va al bar e si chiude un occhio sullo scontrino non emesso o si preferisce lo sconto sull’intervento dell’idraulico al posto della fattura. Tante piccole evasioni che, sommate insieme, fanno 130 miliardi all’anno.
Nel suo ultimo libro "L'evasione spiegata a un evasore" non giustifica in nessun modo il mancato pagamento delle tasse. Ma in tempi di crisi evadere non può essere una necessità? «Innanzitutto dobbiamo distinguere evasione ed evasione: un conto è chi fa la dichiarazione dei redditi, si rende noto al fisco e ha difficoltà a pagare. A questo contribuente Equitalia chiederà quanto dovuto e se non paga è per problemi di difficoltà finanziarie o di crisi economica, non per malafede. Ben diverso è chi non fa neppure la dichiarazione dei redditi o dichiara il falso. In ogni caso, però, il politico o il buon amministratore devono attenersi alla realtà e trovare il modo di combattere l’evasione.
Si pagano le tasse, ma poi ci sono tanti sprechi. Perché dovremmo essere contenti di versare i soldi al fisco?
Le tasse sono il modo più giusto e trasparente di contribuire alla società e questi soldi ci permettono di avere in cambio dei servizi, dalla sanità alle scuole, dall’illuminazione pubblica ai tribunali. Chi non paga le tasse lo fa per masochismo, perché se non si paga non si hanno servizi, e per egoismo, pensando che tanto con i soldi rimasti in tasca posso pagarmi i servizi privati. Sicuramente non è però un modo di pensare democratico.
In Italia c’è un’evasione ben più alta che negli altri Paesi, ma siamo anche i cittadini più tassati d’Europa. È vero o sono solo luoghi comuni?
Il livello di evasione italiana è tra le più alte al mondo (circa 120/130 miliardi di euro all’anno) ma l’evasione c’è ovunque, anche se con cifre più sopportabili per le casse pubbliche. Non è vero però che siamo i più tassati: nei Paesi dell’Europa del Nord le tasse sono più alte. La grande differenza è in cosa si ottiene in cambio e cosa si paga con i soldi dei contribuenti: le nazioni con bilanci in ordine investono le entrate in servizi e i cittadini pagano tanto ma hanno subito in cambio tanti benefici. In Italia nessuno ha più memoria di un sistema così virtuoso: le tasse servono per pagare gli interessi sul debito pubblico e ci troviamo in una condizione tale per cui aumentano le tasse e diminuiscono i servizi. Questo è difficile da capire per il contribuente, ma se non mettiamo a posto il debito non riusciremo mai a mettere a beneficiare effettivamente di quanto paghiamo. È come in una famiglia: se non si pagano i debiti con i soldi guadagnati non si possono comprare nuove cose.
Operazioni come quelle di Cortina servono davvero a scoprire gli evasori? Possibile che lo Stato non riesca a trovarli?
Quelle sono operazioni dall’effetto annuncio, fanno spaventare le persone ma non risolvono alla radice il problema. Esistono però dei mezzi per ridurre l’evasione, già applicati all’estero, primo fra tutti rendendo visibili e tracciabili tutti i pagamenti e le operazioni commerciali. Abbiamo rinunciato alla privacy nell’ambito più importante, quello della salute, rilasciando la tessera sanitaria e il codice fiscale ogni volta che acquistiamo un farmaco.
Perché non farlo anche per tutto il resto?
Se i guadagni e le spese sono tracciabili lo Stato può compilare automaticamente la dichiarazione dei redditi e mandarla al cittadino: un rapporto diretto e trasparente.
Al di là del senso civico, non sarebbe più facile incentivare il pagamento delle tasse permettendo ai contribuenti di scaricare tutte le spese?
Se io posso scaricare quanto pago, stia certo che lo scontrino lo chiedo... In teoria sì, ma ci sono due “controindicazioni” per il fisco: se chi acquista può scaricare l’intero importo questo annulla le tasse pagate dal venditore. In pratica le entrate per lo Stato sono comunque pari a zero. Inoltre, si rischia una corsa all’acquisto per evitare di pagare le tasse. Diverso è il discorso delle detrazioni (come quelle che ci sono sui farmaci, per capirsi) che dovrebbero essere incentivate e che invece anche la legge di stabilità ha ulteriormente ridotto. Si parla sempre di semplificare il sistema delle imposte, invece sembra che anche con gli ultimi provvedimenti legislativi si vada sempre più complicando, con Trise, Tasi, Tari e via dicendo. Perché?
Il vero perché forse non lo sanno nemmeno coloro che queste tasse le impongono. Sicuramente influisce il fatto che da troppo tempo si è rinunciato a una politica d’insieme che riveda l’intero sistema fiscale e ci si concentra solo sulle singole proposte, stretti tra le promesse agli elettori slegate dalla realtà e la necessità di cambiare il nome alle tasse. Ma c’è anche un motivo scientifico, teorizzato dalla scienza delle finanze: in tutti i Paesi occidentali (non solo in Italia) più o meno consciamente i governi confondono le varie tasse così che il contribuente finale non abbia la reale percezione di quante tasse paga. Oltre a quelle che un lavoratore dipendente si vede togliere tutti i mesi in busta paga, infatti, ci sono l’Iva, l’accise sulla benzina, i vari contributi... Non abbiamo la contezza dell’effettiva pressione fiscale, altrimenti probabilmente sarebbe a rischio la tenuta sociale.