Devi recarti da qualche parte per un reportage? Fai ben attenzione al taccuino da acquistare. Se sbagli potresti pentirtene amaramente. Attenzione anche alle scarpe: devono essere belle comode per potervi far fare molta strada, senza stancarvi. Una scarpa buona, insomma, aiuta le sinapsi. Si scrive anzitutto coi piedi… ma non nel senso in cui qualche maligno potrebbe intendere pensando ai giornalisti. E' un vero decalogo del buon reporter quello che l'inviato-vagabondo triestino Paolo Rumiz ha stilato e pazientemente spiegato a stupefatti corsisti della scuola di giornalismo "A. Chiodi" qualche pomeriggio fa a Mestre. Niente voli pindarici, per carità, teorizzazioni o grandi strategie, ma pilloline di saggezza pratica ad usum aspiranti inviati. Così, carta, suole e biro sono diventate una surrreale, materica lectio magistralis. Della serie: meglio il “Manuale delle giovani marmotte” che i Prolegomeni ad ogni futura scienza comunicativa.
Regola due: fare attenzione al supporto cartaceo sul quale si appunta. Se è vero che il medium è il messaggio, il notes è… l’articolo. Quale taccuino usare, allora? “Il Moleskine è una tentazione per esteti”, osserva lo scrittore: pelle black, cool da morire, trendissimo dai viaggi di Chatwin, sensuale al tatto per via delle sue curve che ne smussano ogni spigolosità, quasi erotico come lo sono molti oggetti o abiti noir. Insomma un bel prodotto di design, ma inadatto al lavoro usurante del reporter. “Ciò che conta non è la copertina, ma avere sempre la prima pagina bianca, pronta all'uso. E l'unico taccuino in commercio che te lo permette è il buon vecchio quadernino con la spirale”. Se si tratti di quella orizzontale alta o quella verticale, poco importa.
Piuttosto, e questo è un altro mini-comandamento correlato, attenzione alle dimensioni della pagina. “Se avete davanti a voi tempi stretti, si scriva su un blocco piccolo; se i tempi s’allargano, s’allarghi anche il blocco. E in mancanza di un taccuino si usi pure un foglio A4, ma piegato per tre, in modo che s’infili senza attriti nel tascino della camicia. Casomai ripiegandolo ancora su se stesso, a mo’ di libretto”. “E poi”, osserva ancora il giornalista giuliano, “conta pure il tipo di personaggio che incontri”. Se non ho frainteso: un’intervista, per esempio, a Zigmund Bauman merita un foglio d’album da disegno dove riportare con frecce e rimandi le planate del suo geniale pensiero; per l’ultima esternazione di Bossi, basterà il retro di uno scontrino fiscale.
“La scrittura, poi, va esercitata in ogni situazione, anche la più scomoda: tentate d’appuntarvi qualcosa su un fuoristrada poco molleggiato, lungo uno sterrato africano, osserva l’inviato”. Ma più modestamente, basterebbe anche salire in un ascensore, schiacciati dai condomini, o in metro in ora di punta e poi provare ad estrarre biro e notes.
Ed ecco l’ennesimo imperativo rumiziano: “se ti è impossibile andare dove sta la notizia, lascia almeno che la notizia venga a te. Come? Scendi in piazza e parla con la gente, frequenta un mercato, entra in un bar. Insomma: invece che andare “in rete” a surfare, vai per strada. “Magari porta con te qualche piccolo oggetto da regalare alla bisogna, per ben disporre il tuo interlocutore”, consiglia Rumiz. “Che cosa? Se sei in Medio Oriente tieni in tasca qualche buon sigaro. Sempre meglio che una bottiglia di grappa. E anche meno ingombrante”.
Delle scarpe abbiamo già detto. E della penna? Poteva mancare una raccomandazione sulla biro da portar con sè? Niente suggerimenti commerciali, ovviamente, solo tipologici: “va bene qualsiasi penna col meccanismo a scatto e molla. Bocciate invece quelle con tappo rimuovibile perché al momento di scrivere il tappo impiccia”. E la stilo? Da abolire: l’effetto cromatico al momento della sua rottura nel taschino di una giacca bianca (già sperimentato) vanifica, credetemi, qualsiasi entusiasmo cronistico. Forse ho dimenticato qualcosa della lezione, ma quel pomeriggio con Rumiz... avevo scordato proprio penna e taccuino!