Una delle manifestazioni di protesta degli abitanti della Valle di Cremisan che si vedranno separati dalle loro terre a causa del muro di cui gli israeliani hanno iniziato il prolungamento. In copertina: le ruspe in azione sradicano gli ulivi secolari.
Il ministero della Difesa israeliano ha ripreso la costruzione del muro di separazione nei pressi di Beit Jala, a sud di Gerusalemme dopo che nei mesi scorsi L'Alta corte di Giustizia aveva invalidato l'ordine di costruzione impegnando la stessa Difesa a riconsiderare il tutto.
Ne ha dato notizia l'agenzia ArabPress. Si tratta della continuazione della cosiddetta “barriera di separazione” che si estende per 700 chilometri su aree e terreni che non sono di proprietà israeliana.
La mappa che riproduce lo stato attuale della costruzione del muro e il progetto del suo prolungamento.
L'Alta Corte contraddice se stessa
Dopo nove anni di procedimenti legali, l’Alta corte di Giustizia nel mese di aprile aveva finalmente accolto una petizione contro il proseguimento del tracciato del muro. Ma la stessa Corte, il 6 luglio, ha invece nuovamente autorizzato la costruzione del muro contraddicendo la decisione presa in precedenza.
La sentenza di aprile aveva giudicato il muro “dannoso per la popolazione locale e per i monasteri della valle” sottolineando che “il tracciato del muro, come suggerito dal ministero della Difesa, non è l’unica possibilità che permetta di garantire la sicurezza nuocendo il meno possibile, (in modo) conforme alla Legge amministrativa israeliana”.
Con la decisione del 6 luglio, invece, la Corte ha limitato l’applicazione delle sue decisioni – rimandare la costruzione del muro nella valle di Cremisan – esclusivamente alle aree pertinenti alle due comunità salesiane e alla loro terra, ossia il monastero del XIX° secolo abitato da monaci e il convento con una scuola elementare gestita da suore.
Una veduta della Valle di Cremisan.
La Società St. Yves, Centro cattolico per i diritti umani, ha presentato una nuova petizione
L’esercito, dunque, a metà agosto ha iniziato la costruzione del muro di separazione risparmiando le comunità religiose, ma intervenendo sulle terre che appartengono a 58 famiglie di Beit Jala.
Il monastero e il convento salesiani rimarrebbero dunque nella parte palestinese, ma le famiglie di Beit Jala vedrebbero le loro terre e proprietà annesse alla parte israeliana, al di là del muro.
Per questo la Società St. Yves, Centro cattolico per i diritti umani, ha presentato alla Corte Suprema israeliana una nuova petizione per sospendere la costruire del muro e ottenere che ne venga rivelato in anticipo il nuovo tracciato, mai divulgato, evitando che si arrivi sul terreno a situazioni che potrebbero rivelarsi illegali e dannose per gli abitanti della valle.