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lunedì 14 ottobre 2024
 
l'analisi
 

La crisi Russia-Ucraina? Niente paura, nessuno vuole la guerra

02/12/2018  La dura "escalation" della tensione tra i due Paesi non deve preoccupare: è soprattutto teatro. In realtà oggi Kiev serve agli Stati Uniti (alla Nato) e all'Unione europea (in condizione di sudditanza nei confronti degli Usa) per contenere Vladimir Putin sul versante Est.

(Foto Reuters sopra: il presidente ucraino Petro Poroshenko in visita in una base aerea

Lo si creda o no, l’escalation della tensione tra Russia e Ucraina non deve preoccupare. Sì, certo, i russi hanno intercettato e sequestrato tre navigli ucraini che, dicono da Mosca, erano entrati illegalmente nelle acque territoriali russe (quelle che erano tali anche prima del 2014, quando tutto è cominciato), mentre gli ucraini dicono esattamente il contrario. L’Ucraina ha dichiarato lo stato di guerra e proclamato la legge marziale. La Russia ha dispiegato in Crimea il sistema di difesa aerea SS-400. L’Ucraina ha chiuso le frontiere a tutti i maschi russi di età compresa tra i 16 e i 60 anni. Roba forte, in apparenza.

In realtà è soprattutto teatro. La Russia non invaderà mai l’Ucraina, perché dovrebbe farlo? E l’Ucraina non andrà mai in guerra contro la Russia. Anche qui: perché dovrebbe farlo? Il presidente ucraino Petro Poroshenko, che a marzo affronterà le elezioni con un indice di gradimento allo sprofondo, aveva bisogno di una bella scarica di adrenalina elettorale, e con soli tre barchini l’ha ottenuta. Lo stato di guerra gli consente manovre prima impossibili, magari anche il rinvio delle elezioni. Meglio di così! Ragionamento che vale anche, sia pure in misura minore, per Vladimir Putin. Un’iniezione di nazionalismo in un’opinione pubblica che la recente riforma delle pensioni (dal 2034 l’età pensionabile si alza da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 63 per le donne) aveva irritato oltre misura.

Quello che davvero conta, alla fin fine, non è il conflitto tra Russia e Ucraina. Da un certo punto di vista, rivoluzione di Maidan o no, in Ucraina non è cambiato nulla. Era un Paese inefficiente e corrotto prima, quando il presidente era il filorusso Viktor Yanukovich, che si affidava all’appoggio di Mosca per stare in piedi. Appena prima della crisi, Putin aveva concesso un prestito da 15 miliardi, ridotto il prezzo del gas (l’Ucraina era e resta fortemente dipendente dalle forniture russe) e proposto a Kiev l’adesione all’Unione doganale con Russia, Belorussia e Kazakhstan. Ed è un Paese inefficiente e corrotto anche adesso. Senza dilungarsi, basterà citare il titolo del rapporto dello European Council on Foreign Relations, “L’Ucraina al limite della cleptocrazia”, e l’elenco dei giudici anticorruzione silurati, di quelli sospetti insediati nei posti “giusti”, degli attacchi continui contro le Ong, gli attivisti e i giornalisti che si battono per la morale pubblica.

È questa, al dunque, la ragione per cui l’Unione Europea parla e parla ma l’Ucraina nei suoi ranghi non la vuole. Non di meno, questo Paese sostanzialmente e non da oggi fallito viene aiutato da tutti. L’Unione Europea dal 2014 a oggi le ha versato 5 miliardi di euro (più quelli che ci rimette per aver decretato le sanzioni contro la Russia: secondo Coldiretti, la sola Italia perde 3 miliardi l’anno) e ha concesso agevolazioni commerciali e ingressi senza visto ai suoi cittadini,  altri 18 miliardi di dollari sono stati promessi e in parte già versati dal Fondo monetario internazionale, gli Usa sono generosi e così via.

Vladimir Putin e Donald Trump al G20 di Buenos Aires (foto Reuters).
Vladimir Putin e Donald Trump al G20 di Buenos Aires (foto Reuters).

IL VERO FRONTE: LO SCONTRO TRA WASHINGTON E MOSCA

Il tutto perché l’unica reale funzione dell’Ucraina odierna è tenere impegnata la Russia e contenerla sul versante Est di quello che è, oggi, il vero unico fronte: lo scontro tra gli Usa, attraverso la Nato, e la Russia. Non è un mistero per nessuno che la rivoluzione di Maidan, nel 2013-2014, fu ispirata, fomentata e forse anche finanziata dagli Usa, approfittando del (legittimo) sentimento nazionale degli ucraini, reso ancor più vivace dalla memoria storica del Holodomor, la carestia generata dalle folli politiche staliniane di dekulakizzazione e collettivizzazione dell’agricoltura che, nel 1929-1933, provocarono milioni di morti.

Gli ucraini forse non se ne rendevano conto. Ma i pianificatori di Washington di certo sapevano due cose. La prima è che la Russia non avrebbe mai accettato il rischio di vedersi le portaerei americane nel porto di Sebastopoli, sull’uscio di casa. Questo dopo che nel 2008, con la presidenza Obama, era stato installato in Polonia e Romania un sistema missilistico americano, mentre intanto le basi Nato arrivavano a 120 chilometri da San Pietroburgo. La seconda è che, storicamente, e proprio a causa delle politiche staliniane, l’Ucraina pre-Maidan era già un Paese con una profonda linea di faglia. Nella parte Est del Paese, il cosiddetto Donbass (abbreviazione di Donezkij bassiein, Bacino del fiume Donec), all’epoca dell’industrializzazione forzata egli anni Trenta, erano state trasferite migliaia e migliaia di famiglie di operai russi per sviluppare le miniere e gli impianti siderurgici. Tra quest’area russofona e russofila e il resto del Paese la differenza (economica, culturale, religiosa e politica) era sempre stata profonda. Da Donetsk (Est) a L’viv (Ovest) si passa quasi da un mondo all’altro.

Una dura reazione russa, quindi, era da mettere in preventivo. Anzi: era inevitabile. Ed era più che probabile che la pressione venisse applicata su quella linea di faglia già così critica. E infatti Mosca si è ripresa la Crimea e ha ispirato e fomentato la rivolta autonomista del Donbass. La guerra ha già fatto 11 mila morti, in gran parte civili, ma adesso gli autonomisti filorussi controllano solo il 4% del territorio ucraino. Siamo in una situazione di stallo, senza vinti né vincitori, che di fatto accomoda tutti. La pessima dirigenza ucraina, che solo grazie alla guerra ha l’appoggio dell’Europa e degli Usa. La Russia, che ha bloccato l’espansione militare americana. L’Unione Europea, che con la scusa della guerra maschera la propria sudditanza agli Usa, che le hanno puntato alla tempia la pistola delle sanzioni dirette (i dazi su alluminio e acciaio, domani chissà anche sulle auto) e indirette (per le aziende in affari con l’Iran). Gli Usa, che con la storia dell’aggressione russa mettono sotto pressione gli europei affinché obbediscano alla Nato e, per dire dell’Italia, si tengano un bel po’ di bombe atomiche americane in casa.

Alla fin fine, non è molto diverso da quanto è già accaduto in Iraq, Siria, Libia, o nei Balcani. L’unica differenza è che adesso gli americani sono andati a cercar grane ai confini della Russia. Ed è, come vediamo, una grossa differenza.

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