I protagonisti della “primavera araba” ringraziano i media europei per il supporto assicurato finora ma chiedono anche che non si parli dei loro Paesi e dei loro popoli attraverso i soliti stereotipi. L'appello arriva da Asmaa Mahfouz, la giovane egiziana che ha ricevuto il Premio Sacharov per i diritti umani del Parlamento Europeo 2011 insieme con altri 4 protagonisti dei cambiamenti in atto nel mondo arabo. Mahfouz ha preso parte alla cerimonia di consegna del Premio nell'emiciclo di Strasburgo insieme con il libico Ahmed al-Sanusi. Le sedie pronte per gli altri tre sono rimaste vuote.
Il riconoscimento a Mohamed Bouzazizi è stato assegnato alla memoria: l'ambulante tunisino che, dandosi fuoco il 17 dicembre 2010 per protesta contro soprusi e ingiustizie, ha dato il via a tutta l'ondata di proteste, è morto dopo 18 giorni.
Gli altri due premiati, invece, non sono riusciti a lasciare la Siria, Paese dove la repressione del regime del presidente Assad continua. Si tratta di Razan Zaitouneh, giovane donna avvocato per i diritti umani, creatrice e autrice del blog Syrian Human Rights Information Link, che attualmente è nascosta, e di Ali Farzat, noto autore di satira politica al quale le forze di sicurezza ad agosto hanno rotto le ossa delle mani come avvertimento a smettere di criticare il regime attraverso vignette e cartoon. Farzat ha inviato un messaggio video in cui denuncia che le “vittime aumentano ogni minuto”.
Se in Siria siamo ancora nel pieno delle violenze, in Egitto e in Libia si vivono due diverse fasi di transizione accomunate dall'inquietudine. Asmaa Mahfouz è la più giovane laureata con il Premio Sacharov dall'istituzione nel 1988. Ha 26 anni. Dopo le proteste in Tunisia, ha contribuito alla nascita dell'analogo movimento in Egitto con i sui post su diversi social network, in particolare con i suoi video blog di ogni settimana. A Famiglia Cristiana parla di una “battaglia niente affatto finita”. Spiega che “al momento in Egitto la situazione è in mano a uomini che gravitavano nella sfera di Mubarak” e che “la cacciata del presidente dittatore non può finire con la consegna del Paese ai militari”.
“La piazza non si fermerà e io stessa sarò ancora in piazza – dice - fino a quando non avremo un governo civile, ma – sottolinea - in modo pacifico”. Chiede ai media europei di continuare ad assicurare il loro sostegno, evitando “gli stereotipi che ricorrono in tema di mondo arabo”, in particolare in tema di “Islam e di forze che si oppongono alla democrazia in nome di presunte leggi islamiche”. Chiede che si guardi alle donne che in Egitto – assicura - “sono impegnate a fare chiarezza su questo”. “Non esiste una democrazia perfetta – aggiunge – ma esiste l'impegno a costruirne una in cui le donne siano protagoniste di pace”.
Ahmed al-Sanusi ha 78 anni e 31 li ha passati nelle carceri libiche per aver partecipato al tentativo di ribellione a Gheddafi un anno dopo il colpo di Stato del colonnello. Un passato lungo e pesante. Ma anche un presente attivo: fa parte del Consiglio Nazionale di Transizione in rappresentanza dei prigionieri politici di decenni di dittatura. Il modo di parlare risulta un po' affaticato: rifiuta interviste personali. In conferenza stampa con il presidente del Parlamento Europeo, Buzek, sottolinea “l'urgenza in Libia di dare vita a un'Assemblea costituente per assicurare una Costituzione e libere elezioni e scongiurare lo strapotere di qualcuno”.
E avverte: “Non può esserci spazio per vendette, la priorità dev'essere la riconciliazione nazionale”. “La vera faccia del regime di Gheddafi deve essere mostrata al mondo in tutta la sua brutalità e chi si è macchiato di crimini contro la popolazione deve pagare ma ci vogliono processi e non vendette, ci vuole pace e non odio”. In queste parole si riassume la speranza in un futuro davvero di primavera e non di lungo inverno per i Paesi che, dal Nord Africa al Medio Oriente, sono caratterizzati da profonde differenze sociali, culturali perfino al loro interno ma che sono stati attraversati dallo stesso vento di cambiamento.