Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
sabato 22 marzo 2025
 
 

Rio, si decide il futuro dell'ambiente

18/06/2012  ll 20 giugno inizia in Brasile un vertice nel quale i "Grandi" discuteranno di inquinamento e di sfruttamento del pianeta. Tra le sfide, “acqua, cibo e energia a tutti, per sempre".

Manca poco al 20 giugno quando inizia a Rio de Janeiro un vertice nel quale i Grandi della Terra dovranno rinnovare il loro impegno politico per l'ambiente.

Si chiama “Rio+20” perché si svolge a 20 anni dalla Conferenza che si tenne nella stessa città del Brasile e sancì l'adozione di tre importanti convenzioni internazionali (clima, biodiversità e desertificazione).

 

Quest'anno si tratta di sottoscrivere 10 nuovi obiettivi di sostenibilità da raggiungere entro il 2020. Da Rio+20 dovrebbe uscire anche un accordo per la trasformazione dell'Unep (Programma ambientale delle Nazioni Unite), in una super agenzia mondiale per l'ambiente, un passaggio importante. Qualcuno suggerisce l'istituzione di un “difensore civico” globale, mentre ancora tarda purtroppo l'istituzione di una Corte internazionale di giustizia per l'ambiente.

Si parlerà molto di “green economy”, un po' perché va di moda, un po' perché la crisi economica globale ci obbliga a scegliere (questo il significato originario del termine “crisi”) una strada diversa e ripensare il nostro modello di sviluppo senza limiti.

Un’economia verde da un parte tiene conto della carenza di risorse naturali e dall’altra dovrebbe contribuire alla riduzione della povertà attraverso lo sviluppo economico.

 

Ci troviamo in un nuovo periodo geologico, in un Antropocene, come dicono gli scienziati?

Di certo ancora non abbiamo imparato la lezione che ci è arrivata 40 anni fa dal rapporto “I limiti dello sviluppo”, che per primo indicava la necessità di tenere in considerazione che le risorse del pianeta non sono illimitate.

Negli ultimi 50 anni, le classi medie e alte del mondo hanno più che raddoppiato i loro livelli di consumo, un ulteriore miliardo (forse due) di persone nel mondo aspira a unirsi alla classe dei consumatori, e se le cose non cambieranno, nel 2050 l’umanità si troverà ad utilizzare annualmente 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse, rispetto ai 60 miliardi di tonnellate consumati attualmente. Solo fra il 1970 e il 2008 abbiamo perso il 30% di biodiversità a livello globale con punte del 60% nei Tropici. Riuscirà il Vertice di Rio a segnare un'inversione di rotta?

 

Le aspirazioni della Conferenza di Rio del 1992 si sono scontrate con una serie di evoluzioni controproducenti, che includono politiche ostili, approcci economici tradizionali e una dominante cultura del consumismo. I vent’anni che sono trascorsi hanno chiaramente dimostrato che il cambiamento necessario non è solo tecnico, ma passa attraverso la trasformazione degli stili di vita, delle culture e della politica.

Anche la Santa Sede è intervenuta, partecipando alla terza sessione del Comitato preparatorio della Conferenza Onu “Rio+20”, dedicata allo sviluppo sostenibile. Secondo il documento del Vaticano, il diritto allo sviluppo, a un ambiente sano e al benessere sociale sono “intimamente collegati” alla dignità dell’uomo. Viceversa il mondo sarebbe preda di un tecnicismo senza etica.


                                                                                                Gabriele Salari

Della stessa idea Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, che da 25 anni cura l'edizione italiana del rapporto per Edizioni Ambiente.

“Non ci sarà bisogno di rivedere la conferenza di Rio+20 tra altri vent’anni per cercare di capire cos’è andato storto – ha detto – Sappiamo abbastanza sullo stato del pianeta per vedere chiaramente che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di produrre. Anche se una conferenza di governi senz’altro può aiutare, per definire nuove strade verso la vera sostenibilità serve di più. La sfida inizia riconoscendo che una crescita “infinita” non è possibile su un pianeta “finito”. Possiamo lavorare con la speranza che la stabilità economica è possibile, così come una vita giusta, basata sulla salute, su comunità forti e sulla possibilità che tutti accedano al ‘necessario’ piuttosto che a un superfluo sempre crescente”. 

 

Oggi la sfida è rendere più equo e più sostenibile un mondo in cui 828 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, in cui 800 milioni di auto sono responsabili di oltre la metà del consumo globale di combustibili fossili liquidi e di unquarto delle emissioni di anidride carbonica (80% di inquinanti nocivi nei paesi in via di sviluppo), in cui la costruzione e la gestione degli edifici impiega il 25-40% di tutta l'energia prodotta, e rappresenta una quota analoga nelle emissioni globali di anidride carbonica, in cui quasi due miliardi di persone vengono nutrite dai prodotti di 500 milioni di piccole fattorie nei paesi in via di sviluppo, ma dove l’80% di chi soffre la fame vive proprio nelle aree rurali, in cui le specie si estinguono a un tasso di 1000 volte più alto rispetto al periodo pre-industriale, portando con sé qualità ambientale, materie prime e servizi ecosistemici che sono indispensabili alla nostra vita e alla nostra economia.

In alcune parti del mondo governi e società si stanno già muovendo. I governi di Danimarca, Belgio, Singapore e Tailandia hanno sostenuto programmi di formazione per sviluppare la bioedilizia, per evitare che la mancanza di qualificazione professionale impedisca lo sviluppo della green economy. L'economia giapponese è una delle più efficienti al mondo anche grazie all'applicazione, dal 1998, del programma "Top runner" che stabilisce standard di efficienza ambientale per una serie di prodotti che complessivamente rappresenta oltre il 70% del consumo di elettricità nel settore residenziale.

Il movimento delle Transitions towns fondato in Inghilterra nel 2005, ha già coinvolto 400 comunità in 34 Paesi, per ridurre i propri consumi energetici e rilocalizzare le economie e i sistemi di produzione alimentare, al fine di rendere le comunità più sostenibili.

I 200 abitanti del villaggio colombiano di Gaviotas, sorto 30 anni fa su una savana degradata, da allora ha messo a dimora, in oltre 8.000 ettari di terreno, tanti alberi da formare una foresta che garantisce al villaggio cibo e prodotti commerciabili, assorbendo 144.000 tonnellate di CO2 l'anno. In Francia sono state create 1200 “fattorie sociali”, e più di 700 nei Paesi Bassi. E gli esempi raccontati nel volume sono decine.

Gabriele Salari

Fisico di professione, è stato docente universitario e ricercatore in diversi istituti nazionali e internazionali. Sposato con Alessandra, da cui ha avuto quattro figli, Vittorio Prodi è al secondo mandato come parlamentare europeo e da Bruxelles ha seguito la preparazione del Vertice della Terra Rio+20.

 - Professore, cosa possiamo aspettarci da Rio?

"Da un lato, la Conferenza sullo sviluppo sostenibile può avviare una transizione accelerata e profonda verso un’economia non solo verde, ma un’economia che genera crescita, crea posti di lavoro ed elimina la povertà investendo nel capitale naturale, oltre a preservarlo, che viene presentata come lo strumento dal quale dipende la sopravvivenza a lungo termine del nostro pianeta. Ma un investimento ancora maggiore dovrà essere pensato sul capitale umano. Dall’altro, a Rio+20 spetta il

rilancio della la riforma della governance internazionale dello sviluppo sostenibile, di cui si avverte da tempo l’urgenza".

 

- Quando parla di governance, non pensa che sia urgente arrivare a una

Corte internazionale dell'ambiente perché trovino giustizia tanti disastri ambientali che seminano morti e causano danni irreversibili agli ecosistemi?

"Ho appoggiato la risoluzione che il Parlamento Europeo ha votato nel settembre 2011, che solleva il problema della giustizia ambientale internazionale.

Il Parlamento Europeo, infatti, per garantire che la legislazione globale in materia ambientale sia “più vincolante e applicabile”, propone di istituire un “tribunale internazionale dell’ambiente”.

Nella sua Risoluzione in vista di Rio+20, il Parlamento Europeo affianca alla proposta di una corte ambientale anche quella di un organismo, un’autorità internazionale, che eserciti le funzioni di mediazione, di garanzia di buona amministrazione e del rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, che nel contesto internazionale, europeo e nazionale sono attribuite agli ombudsmen o difensori civici.

Quest'ultima ipotesi, quella di un Alto Commissario per le Future Generazioni, sembra avere più possibilità di concretizzarsi a Rio.

Le due prospettive non sono in contraddizione tra loro, ma costituiscono strumenti giuridici complementari, entrambi mirano a promuovere un'efficace giustizia ambientale e, con le parole di Benjamin Barber, una “democrazia senza confini”, per rispondere ai “problemi senza confini” di un mondo interdipendente. In sostanza anche le future generazioni che dovranno ereditare la terra, siederanno ai tavoli della trattativa".

- Lei è molto ottimista, ma non c'è il rischio che a Rio ci si trovi solamente per festeggiare i 20 anni del Vertice della Terra del 1992 senza fare reali passi avanti?

"A quel vertice dobbiamo la prima codificazione sul piano internazionale non solo dei principi fondamentali che regolano l’iniziativa e la legislazione in campo ambientale come il concetto di biodiversità, di sostenibilità, e la decisione di mitigare il riscaldamento globale e agire per l'adattamento al cambiamento climatico.

Ora bisogna fare di più, andare oltre la green economy, di cui tutti parlano, e ripensare profondamente il nostro modo di vivere. Basta con l'indicatore dittatoriale del Pil, basato sulla produzione e il consumo di beni materiali. Serve una “dematerializzazione” della società che è la conseguenza del nostro confrontarci con la limitatezza delle risorse naturali. Devono contare di più i beni comuni, la solidarietà: due pilastri di questo cambiamento non possono essere che la dignità della Persona e il Bene Comune".

 

- Le risorse sono limitate, quindi adoperiamole meglio...

"Esatto, bisogna limitare l'ingordigia nell'uso delle risorse, basti pensare al suolo che è risorsa scarsissima e che dobbiamo impiegare meglio, privilegiando la produzione alimentare. Con i soli residui agricoli-forestali potremmo produrre un terzo del nostro consumo di gas. Se decontaminassimo i siti da bonificare potremmo usarli per

coltivazioni a fini energetici senza rubare così terra alla produzione di cibo. Serve poi una manutenzione integrata del territorio, che significa  ad esempio mantenere il più possibile l'acqua dove cade, magari con salsicciotti di tessuto riempiti di terriccio e disposti su linee di livello, come versione moderna di terrazzamenti. Bisogna manutenere i corsi d'acqua aumentandone i tempi di ritenzione per mitigare le alluvioni, ma anche sfoltire i boschi come misura preventiva contro gli incendi, in tempi di siccità crescente. Lo sfruttamento delle energie rinnovabili, che sono per definizione disperse nel territorio, renderà possibile questo enorme lavoro di manutenzione del territorio. In poche parole dobbiamo adattarci al cambiamento climatico con misure concrete perché non abbiamo molto tempo davanti".

Gabriele Salari

Il pianeta non può mantenere l'attuale aumento della domanda di risorse senza gravi conseguenze per l'umanità e gli ecosistemi. Per fortuna, indipendentemente dalle decisioni prese nelle sedi internazionali, governi, cittadini e comunità locali si stanno già attivando. È quanto sottolinea lo “State of the World 2012: Verso una prosperità sostenibile”, il 29° rapporto del Worldwatch Institute, che quest’anno è dedicato ai temi della Conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile di Rio+20.

 

"La rivoluzione industriale ha dato vita a un modello di crescita economica palesemente insostenibile", ha detto Michael Renner, Senior Researcher Worldwatch e codirettore di “State of the World 20122, in Italia per presentare il volume.
“Il crescente stress imposto agli ecosistemi e una pressione insostenibile sulle risorse sono accompagnati da una maggiore incertezza economica, crescenti disuguaglianze e vulnerabilità sociale. È difficile evitare la conclusione che così come è impostata l'economia non funziona più: né per noi né per il pianeta”.

Della stessa idea Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf, che da 25 anni cura l'edizione italiana del rapporto per Edizioni Ambiente.

“Non ci sarà bisogno di rivedere la conferenza di Rio+20 tra altri vent’anni per cercare di capire cos’è andato storto – ha detto – Sappiamo abbastanza sullo stato del pianeta per vedere chiaramente che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e di produrre. Anche se una conferenza di governi senz’altro può aiutare, per definire nuove strade verso la vera sostenibilità serve di più. La sfida inizia riconoscendo che una crescita “infinita” non è possibile su un pianeta “finito”. Possiamo lavorare con la speranza che la stabilità economica è possibile, così come una vita giusta, basata sulla salute, su comunità forti e sulla possibilità che tutti accedano al ‘necessario’ piuttosto che a un superfluo sempre crescente”. 

 

Oggi la sfida è rendere più equo e più sostenibile un mondo in cui 828 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, in cui 800 milioni di auto sono responsabili di oltre la metà del consumo globale di combustibili fossili liquidi e di unquarto delle emissioni di anidride carbonica (80% di inquinanti nocivi nei paesi in via di sviluppo), in cui la costruzione e la gestione degli edifici impiega il 25-40% di tutta l'energia prodotta, e rappresenta una quota analoga nelle emissioni globali di anidride carbonica, in cui quasi due miliardi di persone vengono nutrite dai prodotti di 500 milioni di piccole fattorie nei paesi in via di sviluppo, ma dove l’80% di chi soffre la fame vive proprio nelle aree rurali, in cui le specie si estinguono a un tasso di 1000 volte più alto rispetto al periodo pre-industriale, portando con sé qualità ambientale, materie prime e servizi ecosistemici che sono indispensabili alla nostra vita e alla nostra economia.  

In alcune parti del mondo governi e società si stanno già muovendo. I governi di Danimarca, Belgio, Singapore e Tailandia hanno sostenuto programmi di formazione per sviluppare la bioedilizia, per evitare che la mancanza di qualificazione professionale impedisca lo sviluppo della green economy. L'economia giapponese è una delle più efficienti al mondo anche grazie all'applicazione, dal 1998, del programma "Top runner" che stabilisce standard di efficienza ambientale per una serie di prodotti che complessivamente rappresenta oltre il 70% del consumo di elettricità nel settore residenziale. Il movimento delle Transitions towns fondato in Inghilterra nel 2005, ha già coinvolto 400 comunità in 34 Paesi, per ridurre i propri consumi energetici e rilocalizzare le economie e i sistemi di produzione alimentare, al fine di rendere le comunità più sostenibili. I 200 abitanti del villaggio colombiano di Gaviotas, sorto 30 anni fa su una savana degradata, da allora ha messo a dimora, in oltre 8.000 ettari di terreno, tanti alberi da formare una foresta che garantisce al villaggio cibo e prodotti commerciabili, assorbendo 144.000 tonnellate di CO2 l'anno. In Francia sono state create 1200 “fattorie sociali”, e più di 700 nei Paesi Bassi. E gli esempi raccontati nel volume sono decine.

Gabriele Salari

Una delle aspettative della società civile è che a Rio di decida di andare oltre il Pil.
Va definito e concordato un nuovo sistema di indicatori che includano lo stato dell’ambiente, da approvare nella 68ma Assemblea Generale dell’ONU. Occorre integrare i costi ambientali nei parametri usati dagli indicatori nazionali ed internazionali che misurano lo sviluppo economico e per tenere conto in modo completo dell’inclusione sociale, dello stato di salute dei beni naturali e degli ecosistemi e del loro ruolo per uno benessere sostenibile degli esseri umani.

 

Il Summit di Rio deve sancire la centralità del capitale naturale nelle strategie di sviluppo nazionali. La cattiva gestione e la scarsa regolazione delle risorse e degli ecosistemi naturali generano crisi regionali sempre più serie e frequenti, e costituiscono un fattore decisivo per spiegare l’insicurezza nell’approvvigionamento di cibo, acqua ed energia: questo mina anche la stabilità e la sicurezza  a livello globale, regionale e locale. A Rio va costruito un nuovo contesto che, riconoscendo il legame tra queste sfide, definisca obiettivi ambiziosi per assicurare “acqua, cibo e energia a tutti, per sempre”.  

Occorre promuovere  e raggiungere l’obiettivo di un accesso all’energia pulita e rinnovabile da parte del 100% della popolazione mondiale e quindi anche di ciascun paese in via di sviluppo, entro il 2030. E’ necessario  quindi individuare le modalità per consentire lo sviluppo e l’utilizzo di fonti di energia pulite, economicamente accessibili e disponibili localmente, anche attraverso meccanismi atti a trasferire le relative tecnologie a tutti i paesi.

Per raggiungere il livello di investimenti richiesto, pari a 48 miliardi di dollari Usa all’anno, i Paesi Sviluppati devono impegnarsi a fornire risorse finanziarie adeguate per raggiungere l’obiettivo dell’accesso all’energia a livello nazionale e, quindi, globale. Vi rientrerebbe il sostegno allo sviluppo di meccanismi di finanziamento che siano forti, efficaci e prevedibili.

 

Il semplice raddoppio della quota di energia rinnovabile nel mix energetico globale entro il 2030 non è sufficiente per raggiungere l’obiettivo globale di mantenere l’incremento della temperatura al di sotto dei 2°C. Per questa ragione occorre definire l’obiettivo del 40% di energia rinnovabile nel mix energetico globale entro il 2030 con la visione, al 2050, di un sistema energetico interamente basato sulle energie rinnovabili. Per sfruttare il grande potenziale delle misure di risparmio energetico che hanno la capacità di autofinanziarsi e per limitare il crescente spreco di energia, deve essere  promosso l’obiettivo di triplicare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.

Secondo gli ambientalisti occorre integrare le politiche di gestione del suolo e delle acque sulla base di un approccio  “ecosistemico”. Stiamo già superando i limiti delle capacità rigenerative delle risorse del pianeta in molti settori , ma quel che avrà l’impatto di gran lunga maggiore sulla sicurezza alimentare, idrica ed energetica è la disponibilità di acqua dolce – per le persone, gli ecosistemi  e lo sviluppo – e come questa risorsa subirà l’influenza dei cambiamenti climatici globali.

Le leggi, le politiche e i piani che riguardano la gestione delle risorse idriche e i diritti su di esse devono tenere conto e soddisfare i bisogni ambientali e sociali relativi all’acqua e favorire la capacità di adattamento delle comunità umane e degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e socioeconomici. Servono anche soluzioni internazionali alle risorse idriche condivise: la convenzione Onu sui corsi d’acqua del 1997 non è ancora in vigore, ma deve essere rapidamente  ratificata da un numero congruo di Paesi e potrà servire come base per lo sviluppo sostenibile desiderato. Il Wwf chiede all’ Unione Europea di proporre questa soluzione internazionale per i corsi d’acqua condivisi.

Serve anche un accordo per promuovere la pesca sostenibile a livello mondiale.  
In questo momento di crisi globale, bisogna eliminare tutti i sussidi che impattano negativamente sull’ambiente è vitale, a cominciare da quelli che promuovono l’uso di combustibili fossili e quelli all’agricoltura e alla pesca  non sostenibili.  Questo processo deve prevedere fasi di avanzamento e di rendicontazione annuali, e la completa eliminazione di questi sussidi dannosi entro il 2020. E’ necessario assumere  misure adeguate per compensare gli impatti sociali negativi.  

 

“Con la Conferenza mondiale di Rio+20 sullo sviluppo sostenibile, il 2012 può essere l’anno catalizzatore per impostare le basi di un sistema economico che promuova la salute delle persone e degli ecosistemi,insieme a un nuovo concetto di prosperità sostenibile – ha detto Adriano Paolella, direttore generale del Wwf Italia – Per raggiungere questo obiettivo servono una nuova economia verde che punti anche all'eliminazione della povertà, un quadro istituzionale internazionale autorevole, ma anche un’attivazione concreta da parte di cittadini e comunità, a tutti i livelli della società. Piccoli passi avanti sul fronte politico o tecnologico non saranno sufficienti a salvare l’umanità. Dobbiamo cambiare radicalmente la nostra cultura dei consumi e rimettere come priorità assoluta il benessere del pianeta e dell’uomo, per essere protagonisti di un futuro più equo per tutti.”

Gabriele Salari

Sesta potenza economica a livello globale, il Brasile è uno dei Paesi più interessanti tra quelli che trainano ora l'economia: insieme a India e Cina forma, infatti, l'acronimo “Bric”.

 

Il Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che in Cina è stato più volte per progetti di green economy, è volato di recente anche in Brasile, per inaugurare l’Ambasciata “verde” di Brasilia, che ha tra le sue finalità anche quella di favorire la penetrazione nel mercato brasiliano di imprese italiane del settore.  L’impianto fotovoltaico, 405 pannelli installati sul tetto dell’Ambasciata, sta già producendo un risparmio considerevole ed è connesso alla centrale elettrica della capitale.

 

Gli ambientalisti sono preoccupati perché accanto alla green economy avanza anche la deforestazione, dopo anni in cui il fenomeno era vistosamente calato.

"Il Brasile è il più grande esportatore di carne e il secondo per cereali e leguminose. L'ascesa economica ha coinciso, per diversi anni consecutivi, con la riduzione del tasso di deforestazione in Amazzonia - spiega Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International - Il Brasile deve essere la dimostrazione che è possibile lo sviluppo sostenibile senza distruggere preziose foreste, un esempio che anche Indonesia e Congo possono seguire".

 

La proposta per una nuova legge "Deforestazione Zero" nasce a seguito della forte opposizione dell'opinione pubblica brasiliana alle modifiche al Codice Forestale che il Congresso è pronto ha approvato ad aprile mettendo a rischio la salvaguardia dell'Amazzonia e disfacendo una legge che per anni ha consentito la protezione delle foreste in Brasile.

 

"Crescita economica e protezione delle foreste sono gli obiettivi che il Brasile può raggiungere. Per farlo è necessario che la Presidente Dilma Roussef e il Congresso Brasiliano si rendano conto dell'errore che commetterebbero approvando il Nuovo Codice Forestale e che solo con un quadro normativo forte ed efficace potranno garantire la protezione dell'Amazzonia" - denuncia Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia.

 

L'effetto combinato della deforestazione e dei cambiamenti climatici a danno del più grande polmone del pianeta, ci sta spingendo verso un punto di non ritorno. E certo questo non è un bel biglietto da visita per Rio+20.

Gabriele Salari

Non cambierà il mondo a colpi di spot televisivi, ma servono anche quelli per cercare di farci ragionare sulla sfida che abbiamo davanti.

Per questo sta circolando in questo periodo il video “Coltiva la tua idea”, realizzato da Oxfam Italia in collaborazione con Slow Food e CesPI e con il finanziamento della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli esteri.

 

Il video, con la voce della conduttrice televisiva Ilaria d’Amico, illustra le sfide del prossimo vertice ONU sullo sviluppo sostenibile Rio+20, portandoci nel caos di una grande metropoli: auto, passanti e un’attività frenetica. Una mamma con la sua bambina si ferma davanti a un televisore che trasmette le immagini di Rio+20. Nella città soffocata dal cemento, come per incanto, spunta una piantina. La mamma la annaffia e la pianta comincia a crescere. E così tante altre piante: a indicare che fuori c’è un mondo in fermento, che si attiva, che ha buone pratiche da suggerire, “soluzioni per un futuro migliore che dobbiamo aiutare a far crescere”. 

“Venti anni dopo il primo Summit della Terra, questo vertice è una grande occasione globale in cui governi, imprese, società civile discuteranno di come attuare, oltre la crisi, un futuro di prosperità, sicurezza e benessere per tutti noi, in un mondo di risorse finite e di limiti naturali importanti. Una discussione globale a cui tutti noi possiamo e dobbiamo prendere parte:è il nostro mondo, e tutti noi dobbiamo coltivare i nuovi semi e le nuove idee che Rio+20 è chiamato a promuovere” dice Elisa Bacciotti, responsabile di Oxfam Italia per Rio + 20.

Gabriele Salari

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo