Il “caso Diciotti” non è finito. Il Tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l'autorizzazione a procedere contro il ministro degli Interni Matteo Salvini per il reato di sequestro di persona, in merito al caso della nave della Guardia Costiera con a bordo 174 migranti naufragati nel Mediterraneo, bloccata dal Viminale nel porto della città etnea dal 20 al 25 agosto.
Diversamente da quanto sollecitato dalla Procura guidata da Carmelo Zuccaro, i tre giudici che hanno esaminato il fascicolo (Nicola La Mantia, Paolo Corda e Sandra Levanti) ritengono che ci siano elementi per procedere contro Salvini per il trattenimento a bordo dei migranti soccorsi. L’accusa è abuso di potere. I reati addebitati a Salvini avrebbero avuto inizio sin da quando la Diciotti era ferma al largo di Lampedusa. Salvini, scrivono i giudici, bloccando la procedura si sbarco, avrebbe privato della loro libertà personale i migranti, "violando le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione nazionali, non consentendo senza giustificato motivo al competente Dipartimento per le libertà civili e immigrazione di esitare tempestivamente la richiesta di Pos ( porto sicuro) presentata alle 22.30 del 17 agosto.
I naufraghi furono “costretti a rimanere in condizioni psicofisiche critiche a bordo della Diciotti”. Fatto aggravato “dall'essere stato commesso anche in danno di soggetti di minore età”.
Per il procuratore Zuccaro, che aveva chiesto l’archiviazione, quella di Salvini era stata “una scelta politica non sindacabile dal giudice penale”. Che tipo di scelta politica? Quella di “chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti in un caso in cui secondo la convenzione Sar internazionale (acronimo di search and rescue, ricerca e salvataggio in mare) sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro”. Insomma, per il procuratore di Catania, che già in un’altra inchiesta aveva indagato su ipotetici contatti tra le navi delle Ong e la tratta degli esseri umani (ipotesi poi cadute) il caso è politico. Ma per i giudici del Tribunale dei ministri (il cui compito è finito perché in caso di autorizzazione se ne occuperà il tribunale ordinario) il caso non è affatto politico. E’ penale.
Nella sua richiesta per l’autorizzazione a procedere, i tre magistrati sono stati chiari, molto semplici se è lecito definire semplice una motivazione giudiziaria: “L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”. Tenere per giorni dei naufraghi dentro una nave, bambini compresi, rendergli la vita difficile, privarli della libertà, è un’ipotesi di reato, non un modo per contrastare l'immigrazione.
Anche se inevitabilmente la politica in questo caso c’entra eccome. A dare l’autorizzazione a procedere per giudicare Salvini dovrà essere il Senato e già si prevede il dibattito infuocato che ne sortirà. Dibattito innescato dal solito stile ruvido del ministro degli Interni, che in un post face book scrive: "Ci riprovano. Rischio da 3 a 15 anni di carcere per aver bloccato gli sbarchi dei clandestini in Italia. Non ho parole. Paura? Zero. Continuo e continuerò a lavorare per difendere i confini del mio Paese e la sicurezza degli italiani. Io non mollo. Ora la parola passa al Senato e ai senatori che dovranno dire si o no, libero o innocente, a processo o no. Sono sicuro del voto dei senatori della Lega. Vedremo come voteranno tutti gli altri senatori, se ci sarà una maggioranza in Senato. Ma lo dico fin da ora, io non cambio di un centimetro la mia posizione. Barche, barchette e barchini in Italia non sbarcano. Se sono stato sequestratore una volta ritenetemi sequestratore per i mesi a venire".
Come era prevedibile Salvini sfrutterà la sua imputazione per farne un caso politico, oltretutto in clima di elezioni europee. Niente di meglio che quell’assist dei giudici: "Chiedo agli italiani se ritengono che devo continuare a fare il ministro, esercitando diritti e doveri, oppure se devo demandare a questo o a quel tribunale le politiche dell'immigrazione. Le politiche dell'immigrazione le decide il governo, non i privati o le Ong, se ne facciano una ragione".
Ma forse un dibattito in Senato su un argomento così importante, quella legato alla dignità di 174 naufraghi –à 174 uomini, donne bambini, carne, cuore muscoli, anime, in una parola persone - impossibilitati a sbarcare da una nave sul suolo italiano, non può che fare bene a questo Paese.