Su una cosa va riconosciuto fiuto politico a Matteo Salvini: la scelta di tempo. Dote non banale per chi, in calo di consensi, è costretto a “uscire di porta” e acchiappare al volo il pallone di 10 minuti di mediatica celebrità.
In questo caso, l’ineffabile segretario della Lega lombarda ha pensato che servisse tornare sul caso Kyenge e sull’utilità di un ministero per l’Integrazione. Per carità: stavolta si sono lasciate a casa le casse di banane. Salvini ha lanciato una petizione hi-tech (i barbari sognano anche sui social network) in cui ha chiesto: «secondo voi, ci saranno mica 500mila persone disposte a votare per abolire questo ente inutile che si chiama ministero per l’Integrazione?». Che tradotto, vuol dire più o meno: ragazzi ce la facciamo o no a togliere di mezzo questa signora una volta per tutte?
La cosa ha una sua poco involontaria ironia perché cade:
- nel 57mo anniversario del massacro di Marcinelle;
- nel giorno in cui sono ripresi gli sbarchi a Lampedusa, con connessi problemi di logistica;
- nelle ore in cui il presidente Giorgio Napolitano rilancia il tema dell’integrazione, come base di uno Stato e di un Paese civile.
In tutto questo Salvini si muove come un salmone che risale eroicamente la corrente. O come quel tale che in autostrada sente alla radio dire che qualcuno ha imboccato la corsia in contromano e commenta: «Uno? Ma sono mille….». Senza accorgersi che è lui stesso, il pazzo.
Tranquillo, non le stiamo certo dando del pazzo, onorevole (onorevole?) Salvini. Sappiamo bene che quella che oppone la Lega, la sua virile rozzezza, la sua algida arianità al ministro della Republica Cécile Kyenge è una lucida follia a fini elettorali. La vostra è una fobia - come abbiamo detto cento volte e non ci stanchiamo di ripetere - della complessità. E’ paura di una società multietnica e multicolore, che non sapete come accettare perché ve ne mancano gli strumenti. E’ terrore di un pensiero che non sia solo binario (giusto-sbagliato; bianco- nero; salamella-cotoletta) ma che, come spesso la realtà richiede, deve muoversi magari a tre dimensioni, magari solo a tre colori, deve contemplare oltre che il dialetto bergamasco anche una lingua straniera (e magari il congiuntivo coniugato bene in italiano). Deve insomma partorire categorie che vadano oltre il buon vecchio padre Po e quelle cose lì.
Sa di cosa ci spiace davvero? Che nei libri scolastici per il piccolo balilla leghista che avrete di certo preparato per la prossima secessione che mai avverrà, di certo non compare la data 8 agosto 1956 e la parola Marcinelle. E che dunque nulla si dirà di quel giorno in cui, in una miniera presso Charleroi, in Belgio, morirono 262 minatori di cui 136 italiani. Francamente non sappiamo quanti fossero nati sopra la linea del Po, ma ci concederà di infiaschiarcene, noi che Roma non la trattiamo da ladrona ma da Capitale.
Erano italiani. Le miniere erano budelli mortali, non esistevano garanzie per chi arrivava da fuori (ah, les italiens), e per loro i ritmi erano infernali, come le case in cui abitavano. Le ricorda qualcosa? Noi le ricordiamo che non c’era in quel Belgio del 1956 , una donna come Cécile Kyenge, e un ministero per l’Integrazione che cercasse di garantire diritti uguali per tutti, belgi e stranieri.
Lo abbiamo noi oggi “quell’ente inutile”, in Italia, anno 2013. L'abbiamo noi una donna come Cécile Kyenge, di cui siamo fieri, da italiani. Faccia pure la sua petizione, pasturi il suo elettorato, rinverdisca se riesce il vecchio celodurismo d’un tempo. Al momento giusto, semmai, noi saremo dall’altra parte.