Ci vogliono un curriculum spaziale e una formazione galattica. Nessun dubbio che Samantha Cristoforetti, astronauta, in arte AstroSamantha soprannome social cui schiva com’è si è adattata probabilmente suo malgrado, avesse tutte e due le cose.
La storia insegna che avrebbero potuto non bastare per sfondare il tetto di cristallo e diventare, a 45 anni, la prima donna europea comandante della Stazione spaziale internazionale. Il passaggio di consegne, informa l'Esa, è avvenuto il 28 settembre. A decidere il ruolo di comandante della Stazione Spaziale sono congiuntamente tutti e cinque i partner della Iss, ossia le agenzie spaziali di Stati Uniti (Nasa), Russia (Roscosmos), Europa (Esa), Giappone (Jaxa) e Canada (Csa). Dall'inizio della missione Minerva, nell'aprile scorso, Samantha Cristoforetti è stata al comando del segmento occidentale della Iss, chiamato United States Orbital Segment (Usos), che comprende la parte americana, europea, giapponese e canadese della Stazione Spaziale. Assumendo il comando dell'intera Iss, comprendendo anche il segmento russo, AstroSamantha è diventata il quinto astronauta europeo ad avere questa carica e il secondo italiano, dopo Luca Parmitano. Gli altri europei ad avere il comando sono stati Frank De Winne, Alexander Gerst, e Thomas Pesquet.
Il comandante della Stazione Spaziale, è responsabile delle prestazioni e del benessere dell'equipaggio in orbita, ha il compito di comunicare con il centro di controllo a Terra e di coordinare l'equipaggio in caso di eventuali situazioni di emergenza.
La stazione spaziale internazionale, abitata da vent’anni ininterrottamente da astronauti in missione da ogni parte del mondo, è quella che Samantha ama chiamare «La casa dell’umanità nello spazio», un avamposto orbitale che gira intorno alla terra nell’orbita “bassa” a circa 400 km dalla superficie terrestre, che lei stessa ha definito in pubblico: «L’opera ingegneristica più complessa e ambiziosa mai portata avanti dall’umanità in tempo di pace». Un centro di ricerca in cui si studia in prevalenza l’impatto dell’assenza degli effetti della gravità. Quella situazione che Samantha, da abile divulgatrice quale è, ha tante volte mostrato nei suoi video in cui fa vedere che cosa accade quando ci si distrae un attimo e un calzino se ne vola via per la stazione spaziale, o nei primi tempi quando occorre imparare a muoversi e a dormire in quelle condizioni. Già testate a terra, certo. Ma lassù è sempre un’altra cosa.
Samantha Cristoforetti ha una laurea in ingegneria meccanica a Monaco di Baviera, con specializzazione in propulsione aerospaziale e strutture leggere. Durante gli studi: il quarto anno di liceo negli Stati Uniti, quattro mesi all’Ecole Nationale supérieure del l’Aéronautique e de l’Espace di Tolosa, una tesi sui propellenti solidi scritta nel centro di ricerca dell’università di Tecnologie chimiche Mendeleev di Mosca, nonché una laurea in Scienze aeronautiche presso l’Università Federico II di Napoli, come parte integrante della sua formazione accademica in Aeronautica, in cui è entrata nel 2001 come allieva ufficiale e dove nel 2006 ha preso il brevetto come pilota militare. Tutti motivi per cui tra le altre cose Samantha Cristoforetti domina quattro lingue oltre all’italiano: inglese, tedesco, francese e russo.
Nel 2009 è stata selezionata come astronauta dell’Esa l’ente aerospaziale europeo, contesto nel quale nel 2012 è stata selezionata e assegnata alla spedizione 42/43 sulla Stazione spaziale internazionale. È rimasta nello spazio dal 23 novembre 2014 all’11 giugno 2015. Dopo ha avuto compiti tecnico manageriali presso il centro europeo degli Astronauti (Eac) e nel 2017 ha partecipato a un corso di sopravvivenza in mare organizzato dal Centro cinese degli astronauti Acc nel Mar Giallo, dove per la prima volta astronauti cinesi e di altri Paesi si sono addestrati insieme in Cina. Per sua stessa ammissione gli esperimenti in mare, che servono a testare l’equipaggiamento e a simulare le condizioni che poi si vivono sulla stazione spaziale sono la parte del lavoro che Samantha Cristoforetti, da “montanara” del Trentino, vive con minor naturalezza e con maggiore fatica.
Ambasciatrice dell’Unicef, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, ha tre lauree honoris causa conferitele a Pavia, al Politecnico di Torino e ad Amsterdam. Il suo quartier generale familiare quando non è in missione è a Colonia, in Germania, dove vive con il marito Lionel Ferra, ingegnere aerospaziale francese, di stanza lì e impegnato nell’addestramento degli astronauti per l’Agenzia spaziale europea, e con i suoi due bambini Kelsey Amal, 6 anni, e Dorian Lev, 15 mesi, che per stessa ammissione della mamma hanno imparato a ruotare nell’orbita del papà, il più stanziale dei due, per le cose quotidiane.
Del mondo visto da lassù ha descritto tanti aspetti pratici sui social e in miriadi di interviste, soddisfacendo millanta curiosità comprese quelle un tantino indiscrete. Ma forse le riflessioni più suggestive le ha affidate nel 2020 all’uditorio di umanisti delle Umberto Eco lectures dell’Università di Bologna, in cui ha raccontato le suggestioni della cupola della stazione da cui si vede da sopra le nuvole il cielo stellato di Kant e cui si assiste a un’alba e a un tramonto ogni 90 minuti come sul pianeta del Piccolo principe, benché per praticità gli astronauti di tutto il mondo per comunicare vivano con un’ora internazionale che coincide con quella di Greenwich. «Da lassù», ha raccontato, «per la prima volta ho avuto la percezione di che cosa significhi lo schema che si trova sui libri di scuola e che mostra l’orologio della storia del mondo e del fatto che l’uomo ne ha abitato solo l’ultimo minuto. Per la prima volta ho sentito gli antichi Egizi e gli antichi Greci fisicamente molto più vicini di quanto da scienziata li avessi mai avvertiti prima. Questo mi aiuta a evitare di vivere nella bolla di presente da cui siamo tutti attualmente tentati, nell’illusione di progresso continuo: mi è più chiaro che la terra ha una storia che non sarà eterna, che l’universo non è eterno, ma che noi come specie – e forse siamo gli unici perché il “miracolo” della vita nell’universo a quel che sappiamo potrebbe non essersi ripetuto – siamo capaci di pensare l’eternità come concetto: che responsabilità!».