Don Giovanni Bosco, pochi lo conoscono
nella sua ricchezza interiore.
È molto più facile abbinarlo all’oratorio
e finirla lì. Anzi, nemmeno
all’oratorio, ma solo al gioco, al divertimento.
Non è un santo facile da
capire perché, 200 anni fa, ha messo insieme
in modo armonico, straordinario e per molti,
preti compresi, quasi impossibile, fede, preghiera,
allegria, studio, lavoro ed educazione.
Mi sono messo molte volte nei suoi panni.
E nella mia stupidità mi sono definito
“il don Bosco del 2000”. Meno male che mi
sono fermato al don, perché altri mi hanno già
fatto santo o diavolo.
Poi – fa un po’ ridere ma è la verità – passando
per strada, la gente cammina, poi si
volta indietro e bisbiglia: «Ma quello lì è…». E
viene fuori di tutto: don Ciotti, don Benzi, don
Gnocchi… Oppure: Domenica In, Mara Venier,
Inter, televisione…
Torniamo a don Bosco e ai 200 anni dalla
sua nascita. Laicità, fede, gioco, studio e lavoro
sono belle cose da dire, soprattutto per noi
educatori, ma dopo? Dovremmo scrivere infinità
di pagine con il rischio di essere superficiali
e lontani da questo prete dal carattere
molto forte, con qualità che vengono esaltate
in tutti i testi laici e cattolici di questo mondo,
ma tradotte in “pastorale” da minoranze.
Anch’io ho parlato e scritto molto di don
Bosco. È il mio santo protettore, collegato
strettamente al Vangelo di Giovanni, a san
Francesco, a Tonino Bello, a David M. Turoldo,
alla Maddalena, a Baden Powell. Di questi
tempi poi, la virtù più forte e chiara del Giovannino
Bosco, cioè l’educazione, è invocata
con il massimo dell’urgenza da tutte le parti:
famiglia, scuola, chiesa, sport, adolescenza.
Don Bosco diceva che educare è un’arte.
E le sue tre parole chiave erano: ragione,
religione e amorevolezza.
Mi soffermo sulla parola “amorevolezza”
perché vale un vocabolario. Mette insieme:
amore, dolcezza, serenità, capacità di rapporti
autentici, maturi, controllati.
Da sola questa
parola esige almeno un biennio parauniversitario.
Ed è quello che sto tentando di fare con
l’Università Cattolica, e spero con l’Università
Salesiana. Fatemi sognare una specie di commemorazione,
come si fa di solito nelle occasioni
particolari. Mi alzerei, andrei sul pulpito
o in cattedra, saluterei e direi: «Siate amorevoli!
». E poi, tutti via a fare un brindisi!