Da 36 metri sul livello del mare a 1956. Da fondo a cima, il territorio di San Luca rappresenta l’iperbole più autentica della Calabria dei contrasti: bianca e nera, buona e cattiva, stanca e reattiva, remissiva e tenace. Si può scegliere che aria respirare: se ricca di ossigeno alle pendici dei monti adagiati sulle acque del Mar Jonio o rarefatta e pura sulle vette innevate dell’Aspromonte. Si può scegliere, cioè, che ruolo interpretare una volta chiuso il sipario; quale contributo dare perché prevalga, gradualmente, la parte migliore della comunità.
Nel piccolo centro della provincia reggina si è votato dopo 11 anni esatti. Nel 2008 i sanluchesi avevano scelto sindaco e consiglieri, ma qualche settimana prima del rinnovo degli organismi elettivi (era la primavera del 2013) arrivò implacabile il decreto del Consiglio dei ministri: il Comune andava sciolto perché “condizionato”, a rischio di infiltrazioni mafiose. Un provvedimento che determinò un cortocircuito democratico risolto solamente adesso, a distanza di due lustri.
Da allora, la reazione dei cittadini è stata furente: tacciato come atomo del malaffare, cuore pulsante della ‘ndrangheta, San Luca ha contrapposto alle luci delle telecamere e ai flash dei fotografi, ai taccuini dei giornalisti e alle passerelle della politica parolaia, l’astensione da ogni forma di partecipazione diretta alla vita democratica. Negli anni immediatamente successivi allo scioglimento, per ben due volte non sono state presentate liste per il rinnovo del Consiglio comunale e in un’altra occasione, nonostante l’impegno di uno sparuto gruppo di cittadini, l’unica lista presentata non ha raggiunto il quorum del 50 per cento dei votanti.
Oggi, però, le cose sono cambiate. I quattromila abitanti hanno avuto la possibilità di scegliere a chi affidare il governo della città, con chi ricostruire un percorso di condivisione per superare lo scoglio di un commissariamento incapace, per oggettivi limiti normativi, di andare oltre la gestione dell’ordinario e programmare interventi a lunga gittata.
In campo sono scesi due pretendenti: Klaus Davi, giornalista, che ha riunito attorno a sé diverse personalità esterne al paese per porre al centro del dibattito nazionale il “caso San Luca” e Bruno Bartolo, infermiere in pensione, socialista da una vita, con un passato da amministratore.
Già nel nome scelto per le liste spicca la chiave di lettura della contrapposizione tra i due sfidanti: “San Luca – Klaus Davi Sindaco” per il primo; “San Luca ai Sanluchesi” per il secondo. Nello schieramento di Davi la scelta base è quella dell’incitamento a rimettere in moto il confronto in paese per superare quel vulnus democratico che poco o nulla di buono ha prodotto sin qui; in quello di Bartolo l’orgoglio e il senso di appartenenza alla comunità. Oggi stesso sarà chiaro a chi verranno affidate le chiavi della città nella consapevolezza che, a prescindere dalle scelte dei sanluchesi, la designazione del nuovo sindaco rappresenti solo una prima vittoria di tutti i pretendenti in campo, non ancora la vittoria assoluta.
Del resto, due dati focali a San Luca sono certi; due temi centrali e ineludibili attorno a cui ragionare se si vuole davvero aprire un capitolo nuovo: qui, tra queste terre estese appena 10mila metri quadri, trovano dimora alcune tra le famiglie di ‘ndrangheta più potenti al mondo. Tutti i pentiti raccontano che “la mamma” della ‘ndrangheta sia a San Luca e non altrove. Ma qui, proprio qui, vivono e operano tanti onesti cittadini che non hanno nulla a che spartire con le logiche criminali e gli interessi oscuri. Ed è su questo elemento che si sta tentando di fare leva per ridare speranza a una terra depauperata sotto il profilo sociale, economico, ambientale nonostante le grandi potenzialità offerte proprio dalla bellezza dei suoi luoghi.
San Luca era e resta la terra di Corrado Alvaro, raccontata attraverso le pagine crude e potenti di “Gente in Aspromonte”, richiamata spesso in molti scritti e fissata nella memoria (segnata dal distacco) del celebre scrittore. Resta, anche, la terra del Santuario di Polsi sottratto dalla Chiesa e dallo Stato alle pretese folkloriche di matrice ‘ndranghetista (è stata inaugurata a giugno del 2018 una Stazione dei carabinieri): Polsi, oggi, grazie all’impegno del vescovo di Locri-Gerace, Francesco Oliva, è un vero luogo di culto per i pellegrini di tutta la Calabria.
Pier Paolo Cambareri