La chiamano la “narcoguerra” ed è un pezzo di quella guerra globale “ a pezzettini” che il Papa ha più volte denunciato. Da questa notte il Papa è in Messico dove si combatte in una spirale di violenza che non accenna a diminuire e che si nutre di complicità di parti dei poteri dello Stato e di impunità. I vescovi messicani in un recente intervento l’hanno chiamata “violenza invisibile” , perché resiste oltre a ciò che appare drammaticamente sulla scena con la sua scia di morti ammazzati, tra cui decine di giornalisti che l’hanno denunciata. L’ultima aveva 32 anni e due figli piccoli, Anabel Flores Salazar del quotidiano El Sol de Orizaba, rapita, uccisa e il corpo abbandonato in strada a Veracruz nello Stato di Puebla, dove negli ultimi cinque anni sono stati uccisi dieci giornalisti.
Il Messico convive con la violenza e il settimanale della diocesi di Città del Messico “Desde la Fe”, in un articolo pubblicato il 31 gennaio, ha denunciato l’esistenza di migliaia di desaparecidos, compresi giovani e bambini. Secondo un rapporto dell’ Onu negli ultimi dieci anni i desaparecidos in Messico sono oltre 27 mila negli ultimi dieci anni. Il numero è secondo solo ai desaparecidos argentini, che sono trenta mila. Molti corpi si ritracciano in fosse comune dopo mesi e mesi. I cartelli del narcotraffico che combattono lo Stato e si combattono tra loro con la complicità di pezzi degli apparati amministrativi dello Stato sono un intreccio inestricabile di sigle.
Il Papa andrà martedì a Morelia, nello Stato di Michoacan, epicentro della narcoguerra, ma visiterà anche domenica il sobborgo di Città del Messico di Ecatepec, che i giornali chiama la “nueva Juarez” perché qui i narcos stanno guadagnando il territorio come trampolino di lancio verso la capitale. Secondo fonti concordanti il 70 per cento delle amministrazioni locali messicane ha rapporti con i narcos a vari livelli. La città più violenta è Ciudad Juarez, ultima tappa della visita del papa, dove la guerra della droga negli ultimi quattro anni ha fatto fuggire 212 mila abitanti, il 18 per cento della popolazione. Contava nel 2005 un milione e mezzo di abitanti, la quinta città industriale del Messico. E’ considerata, in rapporto al numero di abitanti, la città più pericolosa del mondo, davanti a Miami, Caracas. Nella zona sono state contate 950 pandillas, cioè bande armate. Sono uno Stato dentro lo Stato e in alcune regioni del Messico è sparita anche la distinzione tra buoni e cattive quando si vede un divisa non è chiaro da che parte stia.
La guerra ha coinvolto anche la Chiesa, in prima linea nella denuncia. Sono uccisi negli ultimi 10 anni 38 sacerdoti, il luogo più pericoloso al mondo per la Chiesa cattolica, ma anche l’assassinio del cardinale Posadas Ocampo, ucciso nel 1993 all’aeroporto di Guadalajara, è considerato opera delle bande di narcotrafficanti. Dopo 23 anni non c’è ancora chiarezza sul suo omicidio. La narcoguerra va avanti almeno dal 1989 con una recrudescenza tra il 2007 e il 2012. Tutto ciò nonostante il Messico sia la seconda economia latinoamericana, potenza petrolifera e culturale. La guerra interna è diventata un pericoloso fattore di destabilizzazione politico-sociale. Le diseguaglianze sono insieme causa ed effetto di essa, nonostante il fatto che l’economia messicana ha dimostrato negli ultimi anni un forte dinamismo. Eppure è un Paese dove l’1 per cento della popolazione detiene il 21 per cento della ricchezza, mentre il 10 per cento ne ha in tasca il 64 per cento. E questa differenza va aumentando: a livello mondiale la quantità di milionari è diminuita dello 0,3 per cento tra il 2007 e il 2012. Nello stesso periodo in Messico è aumentata del 32 per cento.