Sanità, tecnologia e cultura: tre sostantivi a confronto il cui significato sembrerebbe stridere ma che, invece, rappresenta una nuova chiave di lettura per comprendere il nostro tempo. È stato questo il tema centrale della giornata di studio organizzata dal programma Dream della Comunità di Sant’Egidio e dalla Global Health Telemedicine, che si è svolta nei giorni scorsi all’Expo presso il padiglione Kip International School, nell’ambito della settimana che la manifestazione ha dedicato ai temi dello sviluppo e della cooperazione internazionale.
Dalla sua nascita ad oggi, Dream si è diffuso in 10 Paesi africani con 43 centri di cura e 20 laboratori di biologia molecolare che hanno raggiunto milioni di persone, permettendo a più di 55.000 bambini di nascere sani da madre Hiv positive. Patrocinato, tra gli altri, dalla Sit - Società Italiana Telemedicina, l’evento ha puntato l’attenzione sui nuovi modelli di cooperazione e sulla diffusione di una nuova cultura attraverso tre distinti momenti.
Uno sviluppo sostenibile
«Quando è nato il progetto Dream, mi sono adoperata ad aiutare come potevo. È stata un’esperienza piuttosto particolare, direi un’avventura umana e spirituale al tempo stesso», esordisce Paola Germano, direttore esecutivo del Programma Dream 2.0 finalizzato alla prevenzione e cura dell'Aids in territorio africano. «Tutti noi europei siamo portatori di una cultura che può essere molto utile all’Africa. Trasmettere la cultura del lavoro, ad esempio, costituisce una bella sfida nello sfatare i tanti pregiudizi che pesano sugli africani. Si sente spesso dire che non hanno il senso del tempo, che sono disorganizzati, ma l’esperienza dimostra che offrendo loro gli strumenti adatti, si ottengono risultati cento volte al di sopra delle aspettative. E poi si tratta di progetti sostenibili. Una delle critiche che ci è stata mossa è che non avremmo mai potuto realizzare progetti sostenibili in Africa. Quando si parla di sostenibilità, si parla soltanto di soldi ma la vera sostenibilità della cooperazione è fatta di molte cose, bisogna avere una visione», prosegue Germano. «Uno dei perni è la formazione del personale. Un altro aspetto importante della sostenibilità è la continuità nel tempo. Molto spesso si fanno degli interventi di cooperazione che durano tre, quattro anni al massimo ma un progetto così non sarebbe sostenibile neanche a Roma. Quando si parla di sviluppo sociale, culturale ed economico di un Paese è fondamentale che l’affiancamento alle persone prosegua nel tempo. Questo fa la differenza affinché i progetti di cooperazione cambino veramente la società».
Oggi Dream 2.0 non è solo lotta all'Hiv/Aids ma un programma di salute globale per la prevenzione e la cura di molte patologie croniche che si diffondono sempre più anche nei Paesi in via di sviluppo.
A novembre il progetto aprirà un centro a Bangui, la capitale del Centrafrica, uno dei cinque Paesi più poveri del mondo. Si tratta della prima postazione di telemedicina del Paese che verrà inaugurata il 29 e 30 novembre, negli stessi giorni della visita di Papa Francesco.
Dalle periferie del mondo alle platee internazionali
Tra i relatori della giornata era presente anche Cacilda Masango, attivista Dream del Mozambico e co-fondatrice dell’associazione di donne Hiv positive “I dream” che combatte contro i pregiudizi e la stigmatizzazione di cui i malati sono vittima. Il dramma della sieropositività riguarda circa un milione di persone contagiate dal virus e partendo dalla sua storia personale, Cacilda ha raccontato come Dream ha trasformato la sua vita e quella di tante altre donne tra cui Pacem Kawonga, anch’essa attivista Dream e autrice del libro Un domani per i miei bambini (ed. Piemme).
«Pacem ed io siamo come sorelle. Quello che lei racconta nel suo libro rappresenta la storia di tutte noi, la storia di una donna africana che parte dal niente, che viene da un villaggio povero e senza nessuna prospettiva, una donna che fa il test dell’Hiv e risulta positiva. Poco dopo avviene l’incontro col progetto Dream e la sua vita cambia», prosegue Cacilda nella sua toccante testimonianza.
«Una delle prime cose che insegnano nei centri Dream è riconoscersi persone, malate è vero, ma prima di tutto persone. Apprendere questo significa imparare a distinguere quello che gli altri dicono di noi, dei villaggi e delle periferie. Anch’io mi ritrovo nella storia di Pacem. Lei parla della mancanza di dignità e rispetto nei confronti di donne e bambini, parla della fame e di una società che non ti offre futuro perché sei una donna e per le donne non c’è spazio. Ma scrivendo questo libro Pacem ha fatto un salto dal nulla a un livello più alto. Una donna africana che racconta la sua storia in un libro è qualcosa di meraviglioso che non avviene tutti i giorni. Il gesto di Pacem è fonte di ispirazione per le donne africane che desiderano realizzare i loro sogni e grazie a Dream abbiamo imparato che si può vincere».
Telemedicina: la sanità a km zero
Global Health Telemedicine Onlus è un’invenzione tutta italiana che nasce da una costola del Programma Dream e, in soli due anni, ha consentito di eseguire più di 3.000 teleconsulti dando consigli diagnostici e terapeutici nei luoghi più remoti dell'Africa.
Come succede spesso, i progetti non nascono mai per caso ma sempre dall’incontro con una persona, una realtà o un’esigenza concreta. «Fu la storia di un bambino a suggerirmi l’idea», racconta Michelangelo Bartolo, medico angiologo e segretario generale di Ght. «Mi trovavo nel centro Dream di Arusha e conobbi un ragazzino di sette anni con una emi-paresi cerebrale che gli impediva di camminare e parlare. Probabilmente era stata la malaria a provocarla. La madre aveva con sé una Tac, arrotolata e senza referto. L’esame in sé diceva ben poco, c’era bisogno di una consulenza specialistica. Con molta difficoltà fotografai la Tac e la inviai a uno specialista. In Africa non c’è l’abitudine di chiedere l’opinione di uno specialista, men che meno era possibile collocarne uno in ogni centro. La difficoltà di leggere quel referto mi suggerì un modo per mettere in contatto i centri con degli specialisti».
I meriti della Global Health Telemedicine consistono, tra l’altro, nell’aver accorciato le distanze con l’Africa e avviato una nuova forma di cooperazione sanitaria ad alto impatto e a costi contenuti. Il servizio di teleconsulto multispecialistico è attivo in 12 centri sanitari – in Malawi, Mozambico, Tanzania, Congo e Togo – con i quali collabora un team di circa cento specialisti volontari di diverse branche che rispondono nell’arco di sei ore ai quesiti dei loro colleghi africani.
«Di telemedicina parlano in molti ma pochissimi la fanno davvero. E soprattutto pochissimi in una forma che riesce a essere incisiva. Eppure si tratta di un’attività in grado di modificare l’attesa di vita delle persone», ha commentato Gianfranco Gensini, Presidente della Società italiana di Telemedicina, che ha preso parte alla giornata esprimendo parole di incoraggiamento e sostengo ai programmi di medicina digitale.
«Quando si parla di Africa si parla sempre di problemi, di guerre e di fame. Ma c’è anche un’Africa che ci insegna un’altra dimensione del tempo, a vivere, a sognare e a sorridere, anche quando non ce ne sarebbe motivo», ha infine affermato Michelangelo Bartolo, concludendo la presentazione dei suoi due libri Sognando l’Africa in Sol maggiore e La nostra Africa entrambi editi dalla Gangemi, il cui ricavato è interamente devoluto allo sviluppo di programmi di telemedicina in Africa Sub Sahariana.
Per saperne di più:
www.dreamsantegidio.org e
www.ghtelemedicine.org