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giovedì 10 ottobre 2024
 
 

Sanità e terzo settore, perché la corruzione è cosa loro

14/10/2015  L'inchiesta che fa tremare la Lombardia riaccende l'attenzione sulla corruzione e sugli appalti truccati tra sanità e terzo settore. Proprio qualche sera fa Raffaele Cantone a Pavia analizzava i rispettivi fattori di rischio corruzione e criminalità organizzata.

Sanità e terzo settore sono terreno fertile per la corruzione (e per gli appetiti mafiosi), un rischio sempre in agguato a prescindere dall’inchiesta che sta facendo tremare la Lombardia.

Se ne parlava giusto poche sere fa a Pavia con Raffaele Cantone, Monsignor Michele Pennisi ed Enzo Ciconte. Un dibattito pubblico in tema di  Costruire un’etica anticorruzione. Il tempo di dire che mafia e corruzione sono oggi spesso facce della stessa medaglia, perché si alimentano reciprocamente, e il discorso è scivolato subito là: sul terzo settore e sulla sanità. Sul primo perché, rappresentando nell'immaginario la parte sana del Paese, non è di quelli attorno a cui verrebbe spontaneo attendersi maneggi, sulla seconda perché è tra i settori noti per l'esposizione alla cattiva gestione del denaro pubblico.

Neanche due giorni dopo Mario Mantovani, ex assessore alla salute della Lombardia, oggi numero due della Regione è stato arrestato assieme al capo di gabinetto della sanità lombarda Giacomo Di Capua  nell’ambito di un’indagine della Procura di Milano, non certo la prima, su reati economici in materia di sanità: contestati corruzione, concussione, turbativa d’asta, per appalti in ambito sanitario compresa una gara per aggiudicarsi il trasporto di pazienti dializzati che sarebbe stata alterata per favorire una onlus sul territorio in cui pesca il bacino d’utenza politico degli interessati.   Sarebbe fin troppo facile parlare di dibattito profetico, se non fosse che proprio lì si è spiegato perché la storia è lunga e si ripete: attraverso meccanismi consolidati di scarsa trasparenza e mancati controlli.

«Per troppo tempo, ha esordito Raffaele Cantone, ci siamo illusi che la criminalità avesse preferenza per affari in settori come l’edilizia e il movimento terra e abbiamo sbagliato: la criminalità organizzata non ha preferenze va dove ci sono le occasioni. E le occasioni sono dove arrivano i soldi: si tratti di emergenza (migranti, terremoto…) vedi Buzzi a Roma, si tratti di ordinario come la sanità. Roma è la punta di un iceberg e sbaglia chi accusa quelli che alzano il velo sul problema di ordire un attacco al terzo settore: è vero il contrario, l’attacco è di chi fa finta di non vedere e così facendo non tutela la parte sana del sistema cooperativo e del terzo settore che  è decisamente maggioritaria e rappresenta il volto nobile del Paese, a vantaggio dei disonesti. Lavorare in direzione della trasparenza e dei controlli preventivi vuol dire lavorare per tutelare le persone che lavorano onestamente».

Il rischio corruzione spiega Cantone: «è maggiore per le coop di tipo B, nate apposta per dare un’opportunità di inserimento a persone svantaggiate, che godono per legge di un regime agevolato: una scelta di civiltà ha previsto per loro una corsia preferenziale rispetto al codice degli appalti, per l’assegnazione di servizi, a coop iscritte all’albo regionale, a patto che abbiano almeno il 30 % di lavoratori di categorie protette. Il problema è che spesso mancano adeguate verifiche e allora c’è il rischio che accanto alle regolari coop b, che fanno un grande meritorio lavoro, ne nascono di irregolari al solo scopo di saltare la procedura prevista per gli appalti e a rimetterci ovviamente sono gli onesti che si vedono scavalcati e svantaggiati da chi onesto non è. A Roma come Anac (associazione nazionale anticorruzione) abbiamo verificato che mai nessuno aveva verificato che il 30% fosse reale».

E continua: «Il settore della sanità è infiltratissimo perché lì, trattandosi di un settore vitale per le persone, i soldi arrivano crisi o non crisi. E lì attorno ruota una galassia di servizi in cui – truccando appalti e subappalti e prorogandoli senza gare ndr. – si fanno affari che vanno dalle pulizie al catering. C’è di peggio: in Calabria, in più di un’asl, la magistratura ha trovato primari che andavano con le pistole in tasca, organici ai clan. Per non dire della Campania: in un importante ospedale della Provincia di Caserta un esponente del clan Zagaria fungeva da manager occulto». E nemmeno la Lombardia, tra un ex direttore sanitario condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e un ex assessore alla salute sotto inchiesta per corruzione, sta bene.

Se questo accade è anche perché, come ricostruisce il rapporto Corruzione e sprechi in sanità, pubblicato da Transparency International Italia nel novembre 2013, alla nostra latitudine il sistema presenta almeno cinque criticità fondamentali (nomine, farmaceutica, procurement, negligenza, sanità privata),  prima tra tutte l'abnorme ingerenza della politica nel sistema sanitario che il testo sintetizza così: «La politica ha esondato in sanità, superando i normali confini di indirizzo e di controllo e di nomina dei soggetti apicali delle strutture sanitarie, alterando la buona amministrazione nei settori delle nomine, degli appalti e degli accreditamenti privati, in alcuni casi arrivando a controllare l’intero sistema sanitario regionale».

 
 
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