La misura è colma, se anche i vescovi calabresi hanno deciso di scendere in campo per esprimere “forte preoccupazione e profonda amarezza” per quello che avviene dentro la sanità in Calabria. La vicenda è all'attenzione mediatica nazionale. Alla figuraccia rimediata dall'ormai ex commissario ad acta Saverio Coticelli, generale dei Carabinieri in pensione che davanti ai microfoni della trasmissione di Rai 3 Titolo Quinto ha scoperto di avere il potere-dovere di attuare il programma operativo Covid per la Calabria e si è dimesso subito dopo l'invito in tal senso del premier Conte, ha fatto seguito la nomina di Giuseppe Zuccatelli, manager romagnolo giunto in Calabria da un anno, prima Dg dell'Asp di Cosenza e poi commissario straordinario delle aziende ospedaliere Mater Domini e Pugliese Ciaccio di Catanzaro, voluto dal ministro della Salute, Roberto Speranza, che lo ha difeso nonostante stia facendo molto discutere un video “negazionista” in cui afferma l'inutilità delle mascherine poiché la diffusione del Covid avverrebbe soltanto attraverso baci appassionati della durata di 15, forse 20 minuti. Una questione che agita il Governo nonostante le precisazioni di Zuccatelli.
La Conferenza episcopale ha quindi reso nota la propria posizione attraverso il suo presidente, arcivescovo di Catanzaro e Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone, che, senza tanti giri di parole, parla di “incompetenza e mancanza di senso di responsabilità” in una gestione del sistema sanitario che si discosta dalla tutela al diritto della salute dei calabresi. Ecco il suo ragionamento: “La decisione del Ministero della Salute di dichiarare zona rossa la nostra Regione e le impietose inchieste giornalistiche che nel giro di pochi giorni hanno portato all’avvicendamento del commissario ad acta per la sanità calabrese, dimostrano non soltanto la fragilità e l’inadeguatezza del sistema sanitario regionale, per come da molto tempo e da più parti lamentato, ma anche l’incompetenza e la mancanza di senso di responsabilità, che la seconda ondata della pandemia Covid-19 in atto ha definitivamente e inequivocabilmente palesato”.
E ancora: “Non ci sono più tempo e spazio – affermano i vescovi calabresi - per scelte e decisioni che non siano urgenti ed esclusivamente legate ai criteri dell’autonomia, della competenza e della capacità professionale”. I vescovi non risparmiano nessuno. “Dopo undici anni di commissariamento, le istituzioni ad ogni livello, ad iniziare dal Governo nazionale, hanno il dovere di rendere ragione del proprio operato e, al tempo stesso, di definire orizzonti futuri chiari e certi, senza interferenze di vario genere. Ai calabresi – aggiungono - è dovuta una sanità efficiente e, nell’immediato, in grado di fronteggiare con adeguatezza l’avanzare dell’emergenza pandemica”. E mentre il virus corre più delle polemiche – ieri il bollettino della Regione Calabria segnalava un dato record, 443 nuovi casi di positività al Coronavirus – i vescovi esprimono “vicinanza ai medici ed a tutti gli operatori sanitari che si prodigano con amore e competenza in questo angoscioso momento pandemico, e a tutte le donne e a tutti gli uomini di questa terra bella e difficile”. Una terra in cui la rabbia sta esplodendo nelle piazze anche perché si ritrova zona rossa non tanto per il numero dei contagi quanto per la fragilità del sistema sanitario.
La Calabria, secondo l'ultimo rapporto Agenas, è l'ultima regione per numero totale di posti letto attivi di terapia intensiva (6.3 ogni centomila abitanti) e dall'inizio della pandemia ne sono stati attivati soltanto 15, per arrivare alla seconda ondata con meno della metà della soglia minima di sicurezza (14 ogni 100mila abitanti). I posti complessivi dovevano essere 280, ma sono 107 in tutta la regione, anche se il generale, non informato, sosteneva in tv che sono 150.