La fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesù, Maddalena Sofia Barat, nacque il 13 dicembre 1779 a Joigny, in Francia. Venne alla luce prematuramente in seguito al forte spavento provocato alla madre da un incendio scoppiato nella notte: per questo più tardi lei dirà di se stessa: «Io sono figlia del fuoco».
Il fratello Luigi, di 12 anni maggiore di lei e avviato al sacerdozio, si prese cura della sua formazione umanistica e lei lo seguì poi a Parigi nel 1795 durante la Rivoluzione quando, ordinato prete, esercitava clandestinamente il suo ministero.
Sotto la sua direzione, spesso severa, Sofia venne iniziata all’apostolato tra la gioventù, mentre avvertiva in sé la vocazione religiosa. Voleva farsi carmelitana, ma Luigi la mise in contatto con p. Giuseppe Varin, superiore dei Padri della Fede, fondati in Italia da p. Nicola Paccanari, coi quali si erano fusi i Padri del Sacro Cuore di p. Francesco Tournely. E il Varin la orientò verso l’insegnamento destinandola ad una fondazione femminile analoga a quella dei Padri della Fede: così il 21 novembre 1800 Maddalena Sofia con alcune compagne cominciò la sua missione aprendo una prima casa ad Amiens. Due anni dopo fece la sua professione religiosa e nel dicembre 1802 venne scelta come superiora della comunità.
Fin dalle sue prime esperienze pedagogiche, la santa elaborò un piano di studi per giovani provenienti da famiglie nobili ispirato alla Ratio Studiorum dei Gesuiti, allo scopo di formare una élite femminile in grado di influire culturalmente sulle masse. Ma alle sue scuole peraltro ella sempre affiancò anche classi per bambini poveri.
Una seconda casa fu aperta a Grenoble, dove l’ex suora Visitandina Rosa Filippina Duchesne (canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1988) aveva radunato alcune religiose disperse dalla Rivoluzione, entrando con esse nella comunità di Maddalena, che aveva preso il nome di Società del Sacro Cuore di Gesù. In una terza fondazione, a Poitiers, fu aperto il noviziato. Nel 1806, la Barat fu eletta superiora generale.
La comunità ebbe a soffrire a causa di intromissioni esterne e di controversie interne, poiché alcune componenti volevano imprimere alla Congregazione un orientamento differente da quello che la Fondatrice intendeva dare. Ma p. Varin, fattosi gesuita dopo la caduta di Napoleone, aiutò la santa a redigere le Costituzioni e a stabilire un noviziato generale a Parigi, mentre l’opera si estendeva rapidamente: nel 1816 erano già venti i pensionati diretti dalle suore della Società del Sacro Cuore e due anni dopo la Duchesne fondava una casa in Louisiana, avviando l’attività missionaria negli Stati Uniti. Ogni tanto madre Barat le inviava calorosi messaggi di incoraggiamento: «L’oceano», scriveva in uno di essi, «vi separa da tutto quello che vi è caro. E all’altra sua sponda che cosa troverete? La croce, le privazioni, la povertà, un clima ora tropicale, ora glaciale, suore di temperamento e di costumi diversi, delle teste dure da istruire. Ma che cosa troverete ancora? Il Cuore di Gesù per riposarvi».
Negli anni seguenti non mancarono altre sofferenze per la Congregazione in conseguenza degli eventi politici in Francia e altrove, nonché a causa del gallicanesimo degli arcivescovi di Parigi, che rivendicavano l’autonomia della Chiesa di Francia dalla giurisdizione di Roma: un comportamento che sarebbe stato definitivamente superato dal Concilio Vaticano I con la dottrina del primato di giurisdizione e dell’infallibilità del Papa. Tuttavia, madre Barat nel 1826 ebbe la gioia di vedere approvate le Costituzioni da Leone XII e di allacciare rapporti filialmente cordiali con i Pontefici, in particolare con Gregorio XVI. Roma restò sempre per lei la patria del cuore: vi tornò diverse volte, anche perché nel 1818 le era stato donato il convento di Santa Trinità dei Monti inizialmente gestito dai i Minimi di San Francesco di Paola. Lei avrebbe s voluto collocare nella città del Papa la casa generalizia, ma l’arcivescovo parigino mons. Affre vi si oppose.
Nuove difficoltà sorsero per la Società tra il 1839 e il 1848, quando epidemie e torbidi rivoluzionari costrinsero a chiudere varie case. In occasione del settimo capitolo generale, madre Barat non riuscì a farsi esonerare dalla carica di superiora generale e, dopo aver accettato la rielezione, inviò una circolare a tutte le religiose in cui raccomandava vivamente la devozione al Sacro Cuore di Gesù e la conformità a Lui, che considerava l’unico fondatore della Società. Intanto le sue suore avevano raggiunto la cifra impressionante di 3.500, distribuite in 89 case non soltanto in Francia, ma anche in Italia, Inghilterra, Belgio e Stati Uniti.
La salute della Fondatrice col passare degli anni andò sempre più peggiorando: ormai cieca da un occhio e malsicura nel camminare, pur non potendo più muoversi da Parigi, continuò a dirigere la Congregazione inviando lettere ed esortando tutte le religiose alla povertà: «Preferirei», soleva ripetere, «che la Società non esistesse piuttosto di vedere in essa affievolirsi lo spirito di povertà. Questo affievolimento è la maledizione delle comunità». Il 25 maggio 1865, festa liturgica dell’Ascensione, madre Barat morì stroncata da una trombosi. Diffusa era da tempo la fama della sua santità: ancora viva, quando si recava in visita alle sue comunità, alcune allieve tagliavano brandelli del suo vestito per farne reliquie; e aveva suscitato grande scalpore a Parigi l’episodio di una novizia guarita da lei da un tumore al cervello ponendole la mano sul capo. Beatificata da Pio X nel 1908, fu canonizzata da Pio XI il 24 maggio 1925.
La spiritualità della santa è di stampo ignaziano, come i principi della sua regola. Lei stessa spiega che «lo spirito della Società è fondato essenzialmente sull’orazione e sulla vita interiore» e il suo fine è «glorificare il Sacro Cuore». La Barat ha sempre visto in questa devozione la prima ispirazione della sua opera. E di tale spirito lei fu un modello; le sue compagne sono unanimi nel ricordarne la vita di preghiera e la straordinaria umiltà. Anima portata alla contemplazione, si trovò invece a svolgere un’intensa attività che la vide viaggiare attraverso mezza Europa per fondare e visitare le sue comunità. Di lei ci sono stati conservati numerosissimi testi, molti schemi e riassunti di conferenze alle comunità e lettere circolari, ma nessun trattato. Imponente la corrispondenza: sono ben 14 mila le sue lettere presentate al processo di beatificazione. Abbondante documentazione sulla sua vita ci è fornita anche da ricordi, note e diari di suoi contemporanei.