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sabato 17 maggio 2025
 
svolta storica
 

Vaticano e Cina firmano l'accordo «provvisorio» sulle nomine dei vescovi cinesi

22/09/2018  La Santa Sede e il governo di Pechino annunciano in un comunicato congiunto la firma, presentandola come «frutto di un graduale e reciproco avvicinamento dopo un lungo percorso di ponderata trattativa». Le nomine episcopali d’ora in poi avverranno con l’avallo del Pontefice cui spetta l’ultima parola e la lettera ufficiale di nomina

L’annuncio è stato dato alle ore 12 in contemporanea dalla Sala Stampa vaticana e dal governo della Cina mentre papa Francesco era appena atterrato a Vilnius. Riguarda l’annosa questione della nomina dei vescovi cattolici cinesi che, d’ora in poi, avverrà in piena e pubblica comunione gerarchica con il Papa ponendo fine alle ordinazioni episcopali forzate, senza consenso pontificio, amministrate nella Repubblica Popolare Cinese a partire dal 1958. «Nel quadro dei contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, che sono in corso da tempo per trattare questioni ecclesiali di comune interesse e per promuovere ulteriori rapporti di intesa, oggi, 22 settembre 2018», si legge nel comunicato diffuso dalle due parti, «si è svolta a Pechino una riunione tra monsignor Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, e S.E. il Sig. Wang Chao, viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, rispettivamente Capi delle Delegazioni vaticana e cinese. Nel contesto di tale incontro, i due Rappresentanti hanno firmato un Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi».

Il comunicato definisce quindi l’Accordo «provvisorio» come «frutto di un graduale e reciproco avvicinamento», stipulato «dopo un lungo percorso di ponderata trattativa». L’intesa siglata, prosegue il testo, «prevede valutazioni periodiche circa la sua attuazione. Esso tratta della nomina dei Vescovi, questione di grande rilievo per la vita della Chiesa, e crea le condizioni per una più ampia collaborazione a livello bilaterale». Il comunicato si chiude esprimendo l’auspicio condiviso «che tale intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del Popolo cinese e alla pace nel mondo».

Quella delle nomine episcopali in Cina non è una questione di poco conto perché, oltre a rendere possibile per tutti i vescovi cinesi di essere in comunione con il Papa, consente anche per milioni di fedeli cattolici di far parte di un’unica comunità e di non vivere la propria fede in comunità clandestine non riconosciute dall’autorità di Pechino. Con questo accordo, infatti, le parti hanno concordato il metodo di una soluzione condivisa: la Santa Sede accetta che il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica, mentre il governo cinese da parte sua accetta che la decisione finale, con l’ultima parola sulla nomina, spetti al Pontefice e che la lettera di nomina dei vescovi sia rilasciata dal Successore di Pietro. Di fatto, è la prima volta che la Repubblica popolare cinese riconosce il ruolo del Pontefice come guida spirituale e gerarchica della Chiesa in un punto cruciale e che tocca il cuore dell’unità cattolica, qual è appunto la nomina dei vescovi.

«Questo accordo non è la fine di un processo ma l'inizio»

«Questa non è la fine di un processo, è l’inizio», ha commentato il portavoce vaticano Greg Burke, «Si è trattato di dialogo, ascolto paziente da entrambe le parti anche quando le persone provenivano da punti di vista molto diversi. L’obiettivo dell’Accordo non è politico ma pastorale, permettendo ai fedeli di avere vescovi che sono in comunione con Roma ma allo stesso tempo riconosciuti dalle autorità cinesi».

L’accordo viene definito “provvisorio” perché contempla un tempo di verifica, presumibilmente, circa due anni, per sperimentarne sul campo il funzionamento e gli effetti. Il testo non viene pubblicato proprio perché l’accordo rappresenta uno strumento di lavoro flessibile, che con il consenso delle due parti potrà essere modificato e migliorato durante il periodo di applicazione sperimentale. 

Recentemente la possibilità imminente dell’accordo «su un piano religioso», che avrebbe lasciato fuori il livello politico dell’allacciamento di relazioni diplomatiche tra Pechino e il Vaticano, era stata profilata dal Global Times, la testata online in lingua inglese considerata organo semi-ufficiale del Partito Comunista cinese. Ovviamente, l’accordo è un punto di arrivo parziale, che non risolve tutti i problemi ancora sul tappeto, di una serie di negoziati che vanno avanti da anni e hanno coinvolto gli ultimi tre pontificati. Dal giugno 2014, all’interno della commissione bilaterale di lavoro ricostituitasi dopo l’inizio del pontificato di papa Francesco e della presidenza di Xi Jinping, le delegazioni cinese e vaticana, incaricate di studiare soluzioni, si sono riunite decine di volte, con sessioni ospitate di volta in volta a Roma o a Pechino. Nel 2017 c’è stata un’accelerazione notevole nel dialogo e nel prospettare alcune soluzioni risolutive.

Nel solco della Lettera ai cattolici cinesi scritta nel 2007 da Benedetto XVI

  

In questa delicata questione, papa Francesco ha più volte riaffermato l’intenzione di muoversi lungo la linea indicata dalla Lettera ai cattolici cinesi scritta nel 2007 da papa Benedetto XVI e per questo ha fatto riannodare i fili del dialogo diretto con Pechino, che si erano bruscamente interrotti tra il 2009 e il 2010. In quella missiva, Ratzinger aveva espresso il desiderio di un accordo con il governo di Pechino per risolvere la scelta dei candidati all’episcopato: «Auspico che si trovi un accordo con il governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all'episcopato sia la pubblicazione della nomina dei vescovi sia il riconoscimento — agli effetti civili in quanto necessari — del nuovo vescovo da parte delle autorità civili» e aveva ribadito anche come la soluzione dei problemi esistenti non poteva essere «perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime autorità civili».

Nella conferenza stampa durante il volo di ritorno da Seul, il 18 agosto 2014, papa Francesco aveva ribadito l’attualità di quel documento che è rimasto, SPIEGò, «fondamentale e attuale per il problema cinese»: «Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione… non bisogna dimenticare quel documento fondamentale per il problema cinese che è stata la Lettera inviata ai cinesi da papa Benedetto XVI. Quella oggi è attuale». E sottolineava: «Rileggerla fa bene, sempre la Santa Sede è aperta ai contatti: sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese».

Certo, rimangono sul terreno tanti problemi ancora aperti, come la situazione dei vescovi finora non riconosciuti come tali dalle autorità governative (i cosiddetti vescovi “clandestini”), o come lo status e il ruolo del Collegio dei vescovi cinesi (finora non riconosciuto come organismo ecclesiale da parte della Santa Sede, anche perché al momento ne sono esclusi proprio i vescovi “clandestini”). Ma il metodo utilizzato nel dialogo tra Vaticano e Cina è quello dei piccoli passi: risolvere un problema per volta e non tutti in un colpo solo.

Parolin: «Accordo di grande importanza, l'obiettivo è pastorale»

Impegnato a Vilnius, nel viaggio del Papa in Lituania, il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha commentato l’accordo definendolo di «grande importanza, specialmente per la vita della Chiesa cattolica in Cina e per il dialogo tra la Santa Sede e le Autorità civili di quel Paese, ma anche per il consolidamento di un orizzonte internazionale di pace, in questo momento in cui stiamo sperimentando tante tensioni a livello mondiale». L’obiettivo della Santa Sede, ha spiegato Parolin, «è un obiettivo pastorale, cioè aiutare le Chiese locali affinché godano condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modo tale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di contribuire allo sviluppo integrale della persona e della società. Per la prima volta dopo tanti decenni, oggi tutti i Vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma. Papa Francesco, come i suoi immediati predecessori, guarda e si rivolge con particolare attenzione e con particolare cura al Popolo cinese. C’è bisogno di unità, c’è bisogno di fiducia e di un nuovo slancio; c’è bisogno di avere Pastori buoni, che siano riconosciuti dal Successore di Pietro e dalle legittime Autorità civili del loro Paese».

Per il cardinale Parolin, «l’accordo si pone proprio in questo orizzonte: è uno strumento che speriamo possa aiutare in questo processo, con la collaborazione di tutti. Alla comunità cattolica in Cina – ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai fedeli – il Papa affida in modo particolare l’impegno di vivere un autentico spirito di riconciliazione tra fratelli, ponendo dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato, anche del passato recente. In questo modo», conclude, «i fedeli, i cattolici in Cina, potranno testimoniare la propria fede, vivere un genuino amore di patria e aprirsi anche al dialogo tra tutti i popoli e alla promozione della pace».

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