Padre Francesco Patton, 56 anni, è Custode di Terra Santa dal maggio 2016
Nessuno come padre Francesco Patton, dal 2016 custode francescano di Terra Santa, sa per esperienza quanto sia delicata la gestione dei luoghi santi perché investe gli equilibri del rapporto tra le religioni e tra le varie confessioni cristiane. I santuari affidati alla Custodia, presente in Israele, Palestina, Siria, Giordania, Libano, Cipro e Rodi, sono settantaquattro, tra cui la Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, città santa per le tre religioni monoteiste (islam, cristianesimo ed ebraismo), la Basilica della Natività a Betlemme e quella dell’Annunciazione a Nazareth. Venerdì scorso a Santa Sofia, divenuta di nuovo moschea per volere del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, si è tenuta la prima preghiera islamica tra una folla straripante di fedeli che non ha trovato posto all’interno anche a causa delle limitazioni legate al Covid-19. Per quasi un millennio, Santa Sofia è stata la più grande Basilica della cristianità, prima di diventare moschea con la presa ottomana di Costantinopoli nel 1453 e poi un museo con un decreto del 1934 di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della Turchia laica, annullato il 10 luglio scorso dal Consiglio di Stato di Ankara. Quello di venerdì scorso è stato un momento di festa per l'islam turco, al quale ha partecipato anche Erdogan, a cui hanno fatto da contraltare le campane suonate a lutto nelle chiese greco-ortodosse, che denunciano il gesto da «conquistatore» del presidente turco. Papa Francesco il 12 luglio scorso, durante l’Angelus in piazza San Pietro, si è detto «molto addolorato».
Lei cosa ne pensa di questa decisione della Turchia?
«Credo che sia stato eloquente papa Francesco nella breve frase che ha detto, nel tono, nelle pause, nell'espressione del volto e nel movimento del capo». È preoccupato da questa scelta? «Ritengo che sia poco prudente modificare uno status quo quando riguarda luoghi santi o luoghi sensibili perché significa introdurre uno squilibrio lì dove era stato faticosamente raggiunto un equilibrio».
Alcuni osservatori dicono che questa mossa di Erdogan sia un atto di debolezza più che di forza. Concorda?
«Le violazioni unilaterali dello status quo sono il segno che al dialogo si sostituisce la forza. È questo è certamente un segno di debolezza perché la forza viene usata in assenza di altri argomenti. È qualcosa che ci si poteva aspettare dato lo sviluppo di questi anni. Dispiace perché è una ferita in più che brucia per i nostri fratelli greci. Adesso bisogna vedere quali saranno i nuovi passi».
Cosa potrebbe accadere adesso?
«Non lo so ma so che quando qualcuno comincia a giocare al rialzo smette solo se salta il banco o se perde tutto».
Teofilo III, patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, ha detto che lo status migliore per Santa Sofia, da secoli al centro di dispute, è quello di museo perché «consente l'accesso a tutti a parità di condizioni ed è un simbolo di tolleranza. Siano essi cristiani o musulmani, i visitatori potranno ammirare un edificio destinato a ispirare timore reverenziale e a glorificare Dio». È d’accordo?
«In pieno. Come ha detto Teofilo in questo intervento la nostra esperienza a Gerusalemme ci dice che quando si trattano i luoghi santi rivendicando un diritto esclusivo di possesso e gestione si va incontro ad amarezze e sofferenze per tutti».
La morsa della pandemia non sembra mollare Israele con circa duemila contagi al giorno. La Knesset ha approvato pochi giorni fa la legge che dà al governo maggiori poteri di imporre misure restrittive. Qual è la situazione?
«Le nostre chiese sono aperte con le restrizioni previste per i luoghi di culto, alle celebrazioni possono partecipare solo diciannove persone per volta. Nei santuari si può entrare solo con la mascherina e se non si ha la febbre o altri sintomi legati al virus e non più di venti per volta. Gli uffici devono ridurre il personale e prediligere il telelavoro. Il numero di positivi aumenta ma la gente va in giro normalmente anche se all'esterno è obbligatorio indossare la mascherina e chi non lo fa viene multato».
Anche in Palestina i contagi sono in aumento e la Basilica della Natività di Betlemme ha dovuto chiudere di nuovo dopo il lockdown di marzo e aprile.
«Sì, purtroppo non ci sono pellegrini, solo qulache piccolo gruppo di turisti interni al Paese. Dal punto di vista economico il danno è enorme per noi e per i tanti cristiani che lavorano nell'indotto del pellegrinaggio. Da fine febbraio siamo in pratica senza entrate e come noi molte famiglie nella zona di Betlemme e non solo. Speriamo che un po' di sostegno arrivi dalla Colletta pro Terra Santa che sarà fatta il 13 settembre in tutte le chiese cattoliche per volontà del Papa».
Quando torneranno i pellegrini?
«Con l'attuale situazione andrà bene se rivedremo qualche gruppo a Natale».
Come state vivendo questo tempo?
«Essendo noi frati della Custodia di cinquanta nazionalità diverse, sentiamo che la nostra missione è quella di pregare per tutto il mondo e cerchiamo di rendere accessibili i santuari e le celebrazioni attraverso le trasmissioni via web del Christian Media Center».