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Santerini: "Se non ora, quando?"

21/05/2013 

Milena Santerini, deputata di Scelta Civica, ha depositato alla Camera un progetto di riforma della legge sulla cittadinanza insieme al collega Mario Marazziti, sottoscritto anche da alcuni parlamentari del Pd. Docente di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano e membro della Comunità di Sant’Egidio, ha a cuore i problemi della scuola, della famiglia, della coesione sociale.


- Perché in Italia è urgente una riforma della legge sulla cittadinanza?

Perché quella attuale è anacronistica, nega la cittadinanza a giovani nati e cresciuti nel nostro Paese, italiani di fatto. Bambini e ragazzi che mangiano, studiano, tifano le squadre di calcio e ascoltano la musica esattamente come i loro compagni di classe “italiani da più generazioni”.
Fanno parte del nostro Paese e ne condividono la cultura, ma siamo ormai alla terza generazione, senza avere ancora sciolto i nodi delle seconde.
Va adeguata la legge a una realtà, quella dei “nuovi italiani”, che non è un’emergenza o un fatto estemporaneo, ma uno dei fenomeni epocali tipici delle società occidentali.


- Cosa prevede la vostra proposta di riforma?

Il superamento dello ius sanguinis, il diritto di sangue, a favore di uno ius soli temperato. Potrebbe così ottenere la cittadinanza chi nasce in Italia, con almeno uno dei genitori già regolarmente soggiornante nel nostro Paese da 5 anni.
Introdurremmo anche lo ius culturae: cittadinanza su richiesta dei genitori per il figlio nato all’estero ma che ha concluso con successo un ciclo di studi (elementari, medie o superiori). Per gli adulti, in linea con gli altri Paesi europei, il criterio per l’ottenimento della cittadinanza diventerebbe l’aver soggiornato legalmente da almeno 5 anni, anziché i 10 attuali.

- Perché sottolineate l’importanza dello ius culturae?

Perché aver studiato con esito positivo testimonia un percorso progettuale di condivisione della cultura del Paese: è questo che rende cittadini. Nella nostra proposta, privilegiamo l’aspetto di genuine link, il legame effettivo, i fatti: permanenza, adesione e condivisione.


- Come è nato il suo impegno per questa riforma?

Da un lato, dall’impegno ventennale della Comunità di Sant’Egidio per questi temi. Dall’altro, dal mio insegnamento in Pedagogia alla Cattolica, dove mi occupo non solo di integrazione sociale degli immigrati, ma anche delle problematiche dello scambio tra culture. C’è chi obietta che la riforma annacquerebbe la nostra identità. Per quanto riguarda gli adulti, la vera e forte identità di un cittadino non è messa in discussione dal confronto con altri modi di credere, pensare, vestirsi e mangiare. Ma qui stiamo parlando di bambini che crescono immersi nella cultura italiana e che semmai devono porsi il problema di come non perdere quella di origine. In ambedue i casi, l’approccio interculturale dimostra che gli individui della globalizzazione sono comunque già tutti multiculturali e che il confronto tra modi di pensare diversi è la condizione per uno sviluppo equilibrato della personalità.


- Cosa risponde a chi è spaventato da un’ipotetica invasione di donne partorienti disposte a tutto pur di ottenere la cittadinanza per i figli?

È una visione esasperata dei problemi, collega impropriamente l’emergenza degli arrivi degli immigrati, di persone disperate, con la problematica del riconoscimento della cittadinanza di chi è nato e cresciuto qui: è una cosa diversissima. In ogni caso, la nostra proposta non prevede questa possibilità “last minute”.


- E a chi raccoglie firme contro lo ius soli legando il dibattito all’omicidio di Milano?

Anche qui, si collegano due cose completamente diverse. Mai un evento folle, che crea tanto dolore, va strumentalizzato politicamente! È un esempio degli errori fatti finora nel trattare le politiche dell’immigrazione, che hanno privilegiato i toni polemici e la paura dell’“invasione” rispetto alla vera e centrale domanda di integrazione e stabilizzazione degli immigrati del nostro Paese. Accanto all’Italia dei nuovi italiani “già di fatto”, c’è l’Italia degli insulti al ministro Kyenge… La sfida della convivenza passa dal valorizzare l’integrazione di fatto già avvenuta nel lavoro, nella scuola e nella vita sociale. Ma anche dal combattere con più decisione i fenomeni di intolleranza: siamo stati troppo indulgenti verso queste forme mascherate di razzismo e si è lasciato che degenerassero anche in atti violenti, come è recentemente successo contro i rom a Milano. È inaccettabile, per questo sto lavorando a proposte di educazione alla cittadinanza che coinvolgano la scuola e l’associazionismo.

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