«Pietro e Paolo ci consegnano oggi l’immagine di una Chiesa affidata alle nostre mani ma condotta dal Signore con fedeltà e tenerezza. Una Chiesa debole ma forte della presenza di Dio, l’immagine di una Chiesa liberata che può offrire al mondo una liberazione che da sola non può darsi, la liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso d’ingiustizia, dalla perdita della speranza che imbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo». Nell’omelia della Messa del 29 giugno in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo in Vaticano, papa Francesco ha voluto mettere a tema la libertà, argomento che tocca la sensibilità della cultura di oggi ma di assoluta attualità anche nella Chiesa, a partire da quell’atteggiamento “clericale” che contraddice la libertà donataci da Cristo e che è spesso oggetto di critica da parte di Francesco.
Guardando alle due colonne della Chiesa, Pietro e Paolo, Francesco ha detto: «Al centro della loro storia non c’è la loro bravura, ma l’incontro con Cristo, l’esperienza di un amore che ha salvato la loro vita. Un amore che li ha guariti e liberati». Nelle parole del Pontefice Pietro e Paolo sono liberi perché sono stati liberati, vero punto centrale della loro vita. «Pietro è stato liberato dal senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento grazie all’amore incondizionato di Gesù. Da esperto pescatore ha provato l’amarezza di non aver pescato nulla. Davanti alla rete vuota ha auto la tentazione di tirare i remi in barca». E a Paolo non è andata diversamente. Anche lui «è stato liberato dalla schiavitù, quella più opprimente del suo “io”», al punto da cambiare nome: da “Saulo”, nome del primo re di Israele, diventa “Paolo”, che in latino significa “piccolo”. Paolo, in particolare, «è stato liberato dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute». L’Apostolo, violento nel perseguitare i cristiani, è stato liberato da una «osservanza formale della religione e una difesa a spada tratta della tradizione, che invece di aprirlo all’amore di Dio e dei fratelli, lo aveva irrigidito», facendolo diventare un fondamentalista.
Nelle parole, intense e profonde, che Francesco ha rivolto ai presenti Dio ha scommesso sui due apostoli, liberandoli dalle loro paure, affanni, rigidità, delusioni, sensi di inutilità e di sconfitta, gli stessi che minacciano gli apostoli di ogni tempo. Eppure Dio, esattamente come fece con Pietro nell’episodio narrato nella prima lettura di oggi (Atti 12,1-11) liberandolo dalla prigione, così «fa con noi: ci assicura la sua vicinanza e prega per noi, intercedendo presso il Padre e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo perché possiamo rialzarci e riprendere il cammino. Toccati dal Signore anche noi veniamo liberati. E abbiamo sempre bisogno di venire liberati perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile». Una Chiesa credibile perché libera. Ecco il sogno di Francesco: «Come Paolo siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità, dalla tentazione di imporci nel mondo con la forza anziché con la debolezza che fa spazio a Dio. Liberi da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili. Liberi dai legami ambigui col potere, per paura di essere incompresi e attaccati».
Il Papa ha concluso con una domanda rivolta a tutti: «Chiediamoci: le nostre città, le nostre società, il nostro mondo quanto hanno bisogno di liberazione? Quante catene devono essere spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte?». La risposta, tutt’altro che scontata, riguarda in primo luogo ogni credente: «Possiamo essere collaboratori di questa liberazione solo se per primi ci lasciamo liberare dalla novità di Gesù e camminiamo nella libertà dello Spirito Santo». A partire dai 34 Arcivescovi metropoliti che oggi, durante la Messa, come da tradizione nella odierna solennità, hanno ricevuto il pallio, segno di unità con Pietro. Il Pallio, infatti, è un segno che «ricorda il pastore che dà la vita per le pecore e diventa così libero per dare la vita per i fratelli».
Infine il Papa ha voluto inviare un saluto particolare alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli presente in San Pietro, «un prezioso segno di unità nel cammino di liberazione dalle distanze che scandalosamente dividono i credenti in Cristo». Lo stesso cammino ecumenico, evidentemente, ha bisogno di essere liberato da pastoie, recriminazioni e pregiudizi reciproci del passato per aprirsi alla novità.