L’obiettivo dichiarato è offrire un’inedita rilettura del Decalogo, per “ridire” la legge di Dio agli uomini, attualizzandola. 10 piazze per 10 Comandamenti è un progetto ideato e realizzato dal movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito Santo, con il patrocinio del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, sotto l’egida della Conferenza episcopale italiana. Dopo il prologo svoltosi a Roma, nel settembre 2012 si è fatto tappa a Napoli e Verona. Ora si prosegue. L’appuntamento è sempre di sera, alle 20.30, nei luoghi simbolo della vita cittadina.
Sabato 8 giugno, l’iniziativa riprende a Milano, in piazza Duomo. Si riflette sul terzo comandamento "Ricordati di santificare le feste"; il 15 giugno è a Bari, in piazza della Libertà,conosciuta come piazza della Prefettura (“Non commettere atti impuri”); il 22 giugno a Genova (piazza Matteotti,“Non rubare”); il 29 giugno a Cagliari (Arena grandi eventi, Lungomare Sant’Elia, “Non desiderare la roba d’altri”); il 7 settembre a Firenze (piazza Santa Croce, “Non dire falsa testimonianza”); il 21 settembre a Palermo (piazza Politeama, “Non uccidere”); il 28 settembre a Bologna (piazza Maggiore, “Non desiderare la donna d’altri”); il 5 ottobre a Torino (piazza Castello,“Non avrai altro Dio all’infuori di me”). Per maggiori informazioni:www.diecipiazze.it/index2.
Alberto Chiara
«Maledetta la terra», dice la divinità
ad Adam, ultima creatura
uscita dai sei giorni
dell’opera. Maledetta la terra:
non è una condanna, ma una dolorosa
constatazione. Dopo il frutto della conoscenza
di bene e di male, che ha accresciuto le facoltà
umane, Adam non si contenterà più del
prodotto spontaneo del suolo. Moltiplicherà
gli sforzi su di esso per estrarne maggiore
prodotto, ricavarne profitto. Asservirà la terra
che così sarà maledetta dallo sfruttamento
delle risorse, dal sudore della fronte.
La divinità avvisa Adam: stia attento al suolo, se ne
prenda cura o se lo ritroverà intossicato.
In altra parte del racconto iniziale si pronuncia
la consegna della terra ad Adam:
«Per servirla e custodirla». I due verbi
dell’ebraico antico sono gli stessi del culto
dovuto alla divinità, anch’essa da servire e
custodire. I traduttori aggirano l’uguaglianza
dei due verbi, ma così stanno le cose nella
scrittura sacra: Adam e la sua specie stanno
tra terra e cielo, e a loro spetta opera di
congiunzione. Servire e custodire la terra,
servire e custodire il cielo.
Sulla scorta di questa responsabilità s’intende
meglio la consegna del sabato. In ebraico
vuol dire cessazione. È visto dalla parte
della terra che smette di essere lavorata e non
dalla parte dell’uomo che fa festa. Perché il
sabato è prima di tutto il riposo della terra.
Le spetta un giorno su sette, un anno su sette.
Il sabato non appartiene all’uomo né alla divinità,
il sabato spetta alla terra. È il riconoscimento
che siamo ospiti, non padroni di casa.
È il rispetto dovuto al luogo comune e non licenza
di schiamazzo.
Dimenticare il sabato,
profanarlo è arroganza di conquistatori che
asserviscono lo spazio e il tempo.
Nel sabato neanche si poteva accendere un
fuoco, perché pur esso è vita della terra. Perciò
il sabato è santo, tempo staccato e separato
dal resto dei giorni. Sta a punto di contatto
tra la terra e il cielo. Dal sabato ignorato, calpestato
come un giorno qualunque, proviene
la licenza di aggressione all’ambiente, la sua maledizione sotto lo sfruttamento.
Erri De Luca
Le parole del cardinale Scola sul senso della festività.
Intervista a Salvatore Martinez, presidente di Rinnovamento nello Spirito, protagonista dell'iniziativa sui Comandamenti nelle piazze italiane.
I Comandamenti: icone del passato o princìpi
validi anche oggi? Con questa domanda
il Corriere della Sera in collaborazione con
il Mulino ha lanciato l’iniziativa editoriale
“I Comandamenti”. «In una società che ha
cambiato i suoi riferimenti normativi, restano
il collante del nostro stare insieme», spiega
il direttore Ferruccio de Bortoli. «Sono
princìpi da cui trarre ispirazione per un’etica
comune. Lo dico da cattolico, ma vale pure
da una prospettiva laica».
Per questo ogni volume è affidato
a due autori di differenti sensibilità?
«Il nostro Paese ha dato il meglio di sé, come
nel dopoguerra, quando le sue principali
culture, la cattolica, la socialista, la liberale,
si sono incontrate: non fuse, ma rispettate.
In questi volumi c’è una polifonia di voci che,
purtroppo, manca nel dibattito pubblico».
La collana comprende un undicesimo
volume dedicato al Comandamento
dell’amore: ama il prossimo tuo. Perché?
«È il Comandamento decisivo in una
società dominata dall’individualismo
e dalla competizione che portano a vedere
nell’altro un rivale o, peggio, un nemico».
C’è un Comandamento che le sta
particolarmente a cuore?
«Onora il padre e la madre: secondo me
è il più rivoluzionario. Oggi si parla tanto
di obblighi dei genitori nei confronti
dei figli. Questo Comandamento ribalta
la prospettiva e insegna a non considerare
gli anziani come degli inutili fardelli».
Eugenio Arcidiacono
I Dieci Comandamenti riletti in modo laico, spesso spiazzante: da “Ricordati di santificare le feste” si parte per raccontare la storia degli immigrati che a Rosarno non conoscono riposo e di Bartolo, un imprenditore che con il suo pullman li raccoglie e li porta alla sua associazione per donagli un pasto caldo e dei vestiti; da “Non commettere atti impuri” si viaggia in compagnia di don Maurizio Patriciello, il prete campano che da anni denuncia l’avvelenamento della sua terra a causa dei rifiuti abbandonati, interrati, bruciati.
E’ la sfida che Domenico Iannacone, giornalista noto al pubblico per le sue inchieste a “Ballarò” e a “Presadiretta” lancia ogni lunedì sera su Rai 3 con i “Dieci comandamenti”.
Il critico Aldo Grasso ha scritto che “I Dieci Comandamenti” sono solo una suggestione narrativa, un puro spunto di partenza. E’ così?
«Non del tutto. Nella fase di preparazione del programma mi sono molto documentato anche consultando esperti di religione proprio perché volevo evitare che il riferimento ai Dieci Comandamenti fosse solo un orpello. E poi perché il mio intento è di realizzare delle inchieste morali per capire che tipo di società abbiamo sotto gli occhi. Viviamo un momento di smarrimento ed è per questo che nel mio programma sono spesso presenti sacerdoti, come don Patriciello, che rappresentano dei punti di riferimento per le loro comunità. Ma la componente spirituale è presente anche in figure laiche come l’imprenditore Bartolo: quando gli ho chiesto chi glielo faceva fare a spendersi così tanto per gli immigrati, lui mi ha risposto semplicemente: “Gesù”».
Nella puntata “Onora il padre e la madre” ha raccontato la storia di una famiglia omogenitoriale, composta da due donne e quattro bambini. In questo caso, è ben altro il significato che la Chiesa attribuisce al Comandamento.
«Da giornalista credo che il mio compito sia quello di raccontare la realtà e la realtà e che situazioni come quella che ho mostrato sono sempre più diffuse. Non si può fare finta di niente, specie perché di mezzo ci sono dei bambini. Detto questo, io stesso a un certo punto dell’inchiesta mi chiedo: ma è giusto o è sbagliato?».
Da laico, c’è un Comandamento che più le sta a cuore?
«Non desiderare la roba d’altri. E’ quello di più drammatica attualità: viviamo in una polveriera dove chi ha molto ha sempre di più e chi ha poco perde quello che ha e si rischia di precipitare in un caos in cui diventa sempre più difficile distinguere torti e ragioni. Per questo motivo abbiamo scelto di dedicare la puntata su questo Comandamento alle occupazioni di case da parte di chi ha perso la propria».
Eugenio Arcidiacono