Visitando alcuni santuari ho avuto l’impressione di assistere a fenomeni di superstizione più che di fede. Dare troppa importanza alla figura di Maria non finisce per far perdere di vista il centro della nostra fede, cioè il figlio Gesù?
Anselmo S. - Venezia
La risposta del mariologo
Purtroppo il lettore non specifica a quali gesti compiuti dai pellegrini ha assistito e perché li classifica come superstizione. Dobbiamo quindi prendere le mosse dal concetto di superstizione, che indica «un insieme di credenze o di pratiche rituali fondate sul pensiero magico o su una religiosità in qualche modo degradata, strumentale e scaramantica» (Lexicon Piemme, 1015). Ma quali sono gli atti che potrebbero esprimere la superstizione nei santuari?
Annabella Rossi ha descritto in un suo libro ormai datato, Le feste dei poveri (1971), i comportamenti dei pellegrini ai santuari dell’Italia meridionale: toccare l’immagine o l’oggetto sacro, sorbire l’acqua risanatrice, fare un’offerta, lasciare un ex voto anatomico o una tavoletta votiva, pregare sul tipo contrattuale del do ut des, fare tre volte il giro del santuario, tagliarsi le trecce da parte delle donne, portare sulla testa i cinti (composizioni di candele), strisciare le ginocchia (una volta anche la lingua) sul pavimento della chiesa...
Tutto dipende dall’animo e dalle intenzioni di chi compie questi gesti. Se uno ricorresse a tali espressioni con mentalità magica, cioè confidando nel rito materiale come se automaticamente producesse un effetto di grazia, certamente cadrebbe nella superstizione intimamente associata alla magia. Se invece il pellegrino considera i suoi comportamenti come forma di penitenza e di preghiera, con cui implora umilmente la grazia da Dio onnipotente e misericordioso, per intercessione della Madre del Signore, allora agisce per fede non per magia.
Nel primo caso, il pellegrino si abbandona a forze cieche, con la conseguenza che non avverte la necessità di essere presente in modo attivo nel mondo. Nel secondo caso il suo abbandono nelle mani di Dio è cosciente e responsabile, poiché la religione autentica e ancor più la fede come risposta alla divina rivelazione evoca la nostra responsabilità e il nostro impegno nellla società.
E qui si presenta subito la figura della Vergine di Nazaret, che si abbandona totalmente e responsabilmente alla parola di Dio trasmessa dall’angelo Gabriele: «Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me la tua parola» (Lc 1,38). E poi s’impegna nella sua missione materna verso il Figlio Gesù e verso tutti i figli di Dio affidati a lei sul Calvario.
L’altra questione posta da Anselmo non è fuori luogo, perché si potrebbe trovare un devoto talmente concentrato su Maria da dimenticare o sottovalutare che Cristo è il centro della vita spirituale del cristiano. Ma il caso dovrebbe essere rarissimo, poiché si suppone che questa persona non conosca chi è Maria: una creatura, come insegna san Luigi M. di Montfort, «tutta relativa a Dio, che non esiste se non in relazione a Dio» (VD 225).
A Lourdes, come in tanti altri santuari, si tocca con mano che «Maria guida i fedeli all’Eucaristia» (Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, 44). Infatti i pellegrini che pregano Maria davanti alla grotta, sono i medesimi che fanno la fila davanti ai confessionali e ricevono la Comunione eucaristica.