Sono le seconde occasioni il fil rouge che lega gli episodi della seconda parte di “Doc – Nelle Tue Mani”, in onda su Rai1. La fiction è liberamente ispirata alla storia vera del professor Pierdante Piccioni, ex primario di pronto soccorso a Codogno e Lodi, che a causa di un incidente ha perso 12 anni della sua memoria.
L'incidente e l'amnesia. Era il 31 marzo 2013 quando Piccioni si schiantò sulla strada tra Pavia e Lodi e andò in coma. Al suo risveglio era convinto che fosse il 25 ottobre 2001 e i suoi ricordi vennero inghiottiti da un buco nero a causa di una lesione della corteccia cerebrale. Pierdante ignorava completamente gli accadimenti storici e sociali avvenuti in quegli anni, dalle dimissioni di Benedetto XVI e l'elezione di Francesco, fino all'avvento dei social e l'inizio della crisi economica. A stento riconobbe la moglie, i figli e sé stesso, convinto com'era di essere un quarantenne.
Una vicenda che sembra uscita da un racconto fantastico di Stephen King (anch'egli, per ironia della sorte, vittima di un incidente stradale nel 1999) e dimostra che la realtà può superare di gran lunga la fantasia come lo stesso stesso Piccioni ha raccontato nei tre volumi “Meno dodici, perdere la memoria e riconquistarla”, “Pronto soccorso” e “Colpevole di amnesia” tutti editi dalla Mondadori e scritti a quattro mani con Pierangelo Sapegno. L'ultimo lavoro del duo creativo si intitola “In prima linea. Storia di medici e pazienti in lotta contro il virus” e racconta il coraggio dei medici che hanno abbandonato case e affetti per buttarsi dritti nell'occhio del ciclone. Tra loro anche Piccioni, che ha deciso di tornare nell'ospedale di Lodi per aiutare i contagiati dal Covid 19.
L'importanza dell'ascolto. Una cosa è certa, ha dichiarato Piccioni durante la conferenza stampa di “Doc”, che da quando ha perso la memoria si è avvicinato alla medicina in maniera diversa, ha imparato ad ascoltare i silenzi di colleghi e pazienti e a essere più empatico nei confronti di questi ultimi, avendo vissuto in prima persona la loro stessa esperienza: «Parla un medico che prima dell'incidente dava molta più importanza all'aspetto tecnico della professione e molto meno all'ascolto» - commenta. «Sotto questo punto di vista ciascun medico ha imparato sul campo. All'università ci insegnano a fare l'anamnesi dei pazienti ma nessuno ci insegna a dare la giusta importanza al linguaggio non verbale e alle parole taciute».
Dopo aver sperimentato cosa si prova ad essere un paziente il professor Piccioni è tornato sui banchi di scuola e ha frequentato un master in pazientologia che, parafrasando le sue parole, ha cambiato radicalmente il suo approccio alla medicina: «Ormai abbiamo capito che un bravo medico deve saper ascoltare, perché una buona capacità d'ascolto conduce ad un'altrettanto buona diagnosi e ad una terapia efficace. Imparando ad ascoltare sarà il paziente stesso a condurre il medico verso la giusta cura».
I tempi della cura nel mondo. Quanto tempo viene dedicato in media all'ascolto del malato? I dati raccolti finora a livello mondiale dimostrano che, in generale, si tende ad ascoltare poco e le differenze variano con la latitudine. Secondo uno studio del British Medical Journal Open, in Bangladesh la durata media delle visite è inferiore al minuto, tenendo conto dell'entrata e uscita dalla porta dello studio. Gli svedesi, invece, trascorrono in media ventidue minuti e mezzo dal dottore. Il gruppo di ricercatori ha preso in considerazione i tempi delle consultazioni in 67 Paesi, relativi complessivamente a 28 milioni e mezzo di visite. Quasi metà della popolazione mondiale entra ed esce in soli cinque minuti. In altri 25 Paesi, la visita dura tra i cinque e i dieci minuti. L’Italia non è compresa tra i Paesi della ricerca, ma secondo un’indagine della Società Italiana di Medicina Interna il tempo medio è al di sotto dei 9 minuti. Una curiosità: in Australia dopo un quarto d'ora i pazienti pagano un sovrapprezzo, per cui la maggior parte delle visite finisce prima del tempo per non incorrere in un prezzo maggiorato.