«Fatico a esprimere a parole quello che ho visto. La notte non ho dormito, sono molto scosso». Ilario Scotti, 48 anni, di Bonate Sotto, è un padre di famiglia. Fa l'impiegato per un'azienda alimentare e ha l'hobby dell'aeromodellismo. È lui, verso le 15,30 di sabato 26 febbraio, ad aver trovato il corpo della povera Yara. «Pensavo di trascorrere un tranquillo pomeriggio di distensione dedicandomi al mio passatempo preferito», ha detto, «e invece... ho trovato qualcosa che nessuno avrebbe mai voluto trovare».

Non cercava notorietà, non voleva pubblicità. Ilario Scotti nella drammatica storia di Yara ci è finito per caso, un puro e semplice caso. Sabato pomeriggio voleva soltanto provare uno dei suoi modellini radio guidati. «Il mio hobby è quello di costruire e far volare modellini di aeroplano. Da sempre ho la passione del modellismo. Li costruisco, li provo io. Quello di Chignolo d'Isola è un prato dove vado, perché lì non do fastidio a nessuno. Quel che è successo è frutto soltanto del caso, un caso fortuito. Stavo provando un modello a cui avevo fatto delle modifiche» racconta l'uomo, «e lo stavo verificando. L'aereo ha compiuto una traiettoria anomala, non volava bene, così l'ho fatto scendere nel campo, per evitare che cadesse e si rompesse, con danni evidentemente maggiori. Quindi, mi sono addentrato nel campo per recuperare il modellino. Quando l'ho trovato, a circa un metro, un metro e mezzo di distanza ho notato qualcosa, fra le sterpaglie. La prima impressione è di aver visto un mucchio di stracci buttati lì da qualcuno. Ma appena mi sono reso conto che era una persona, non ho esitato e ho subito chiamato il 113».

In pochi minuti, quell'area campestre circondata da capannoni industriali si è letteralmente riempita di polizia. «Non ho assolutamente pensato che si trattasse di Yara, pur avendo seguito come tutti la vicenda sui media. Anzi, all'inizio ho pensato che si trattasse di un ragazzo. Solo dopo l'arrivo degli inquirenti mi sono reso conto che poteva essere lei. Se il mio aeroplanino non fosse finito proprio in quel punto, non l'avrei mai vista: era nascosta dalle sterpaglie».

Eppure quell'area è frequentata: vicino c'è la discoteca «Sabbie Evolution». Lungo il sentiero sterrato che attraversa i campi spesso si vede gente a spasso con i cani, ma anche cercatori di funghi o appassionati di mountain bike. «Lungo il sentiero d'asfalto che costeggia i capannoni, alcuni appassionati spesso fanno correre le macchinine radiocomandate», conferma Scotti. «Io di solito faccio atterrare l'aeroplanino ai miei piedi, sull'asfalto, non nel prato. È stato solo un caso: l'aereo ha fatto un'evoluzione e così l'ho fatto planare, perché non si rompesse. È così che ho trovato il corpo».

È ancora scosso, Ilario Scotti: non vuole e non può dire di più: «Non posso aggiungere altro, non voglio visibilità. Quello che dovevo dire l'ho già detto agli inquirenti. Ho un grande rispetto per il dolore della famiglia e non mi sento di comparire, per rispetto di questi genitori, che hanno scelto la via della riservatezza, affidandosi completamente agli inquirenti. Mi sento molto male ora, non riesco a esprimere in parole quello che ho visto. Posso solo dire di essere vicino alla famiglia, che non conosco, per il grande dolore che prova in questo momento. Io l'ho trovata per caso e ho fatto soltanto ciò che qualunque altro cittadino avrebbe fatto: chiamare subito le forze dell'ordine. Mi dispiace tanto per la storia di questa ragazza».

Dopo il ritrovamento, Ilario Scotti ha trascorso tutto il pomeriggio in questura, dove ha reso una dettagliata testimonianza. «Quando sono tornato a casa», ha aggiunto, «non sono riuscito a cenare e, la notte, non ho dormito. Sono un cittadino tranquillo, ho la mia famiglia, i miei interessi. Sono capitato in questa vicenda per una pura fatalità. In quel momento la sola cosa che ho pensato è stata chiamare il 113, avvisare qualcuno, perché intervenisse al più presto».

«È stato un caso, soltanto un caso», ripete Ilario Scotti.  Se quel giocattolo avesse funzionato bene, non sarebbe neppure finito nel prato: Yara sarebbe ancora una ragazzina scomparsa e un lume di speranza, pur flebile, di ritrovarla viva sarebbe rimasto acceso, nel cuore dei suoi cari, come in quello degli inquirenti e dei ricercatori, che per tre mesi non hanno conosciuto soste. Invece quel modellino si è posato proprio lì, accanto alla piccola Yara, a tre mesi esatti da quel maledetto venerdì 26 novembre, in cui uscì di casa per non tornare più.

                                                                                 Vittorio Attanà
Accomunate anche nell’ultimo atto, accomunate per sempre. Yara Gambirasio e Sarah Scazzi. Entrambe sparite nel nulla lo stesso giorno, il 26 novembre la prima, il 26 agosto la seconda, entrambe ritrovate morte dopo mesi. I cadaveri abbandonati, in avanzato stato di decomposizione, irriconoscibili. Un maledetto copione che si ripete sempre uguale a sé stesso e ci consegna il ritratto di una provincia italiana da incubo, dove spesso il mostro ha il volto bonario e sorridente di un parente, di un amico, di un conoscente. Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, scrittrice e presidente del "Movimento bambino" parla di «epilogo agghiacciante» per il caso di Yara e rileva molte analogie con il delitto di Avetrana, per il quale nei giorni scorsi sono stati arrestati Cosmo Cosma e Carmine Misseri, rispettivamente nipote e fratello di Michele Misseri, accusati di averlo aiutato a sopprimere il cadavere.

Professoressa Parsi, si aspettava questa conclusione?
«Purtroppo sì. Dirlo adesso può sembrare cinico ma è come se l’assassino o gli assassini di Yara abbiano aspettato che si placasse il clamore popolare e mediatico per far ritrovare il cadavere e riaccendere nel modo più tragico le luci sulla vicenda. Proprio come accaduto ad Avetrana dove però i fari della diretta non sono mai stati spenti».

La zona del ritrovamento del corpo di Yara era stata battuta più volte durante le ricerche... «Questo conferma che il cadavere sia stato portato lì un po’ prima del rinvenimento. E chi lo ha portato ha voluto lasciare un messaggio preciso».

Rispetto al caso Scazzi, in quello di Brembate c’è stata una maggiore riservatezza, quasi una sorta di pudore, a tutti i livelli. È stato un ostacolo per le ricerche, secondo lei?
«Sia gli inquirenti che conducono le indagini che la famiglia della ragazza non hanno mai usato a sproposito il mezzo televisivo. Non credo affatto che questo atteggiamento abbia ostacolato l’inchiesta, come si ostina a dire qualcuno, ma ha soltanto impedito che anche questa storia diventasse una soap-opera, degenerasse in macabro spettacolo».

L’impressione è che ad Avetrana non ci sia nessun altro modo se non quello televisivo, dei personaggi televisivi e della cultura mediatica per esprimere il dolore o lanciare iniziative di beneficenza. È così?
«Purtroppo sì. Mentre sul fronte giudiziario i due presunti assassini si rimpallano le responsabilità e sembra di assistere a un altro caso Bebawi, mentre il cerchio delle complicità si allarga ad altri familiari come confermano i due recenti arresti, ecco parallelamente questo orrore continuo dove il padre e il fratello della vittima organizzano un evento per presentare un calendario nel quale hanno posato personaggi dello spettacolo. L’intento, quello cioè di costruire un canile, è sicuramente buono ma è fuori luogo il contesto e il modo di organizzare l’iniziativa. Il mezzo televisivo è diventato l’unico modo per queste persone di comunicare con l’esterno e fra di loro».

Qual è, secondo lei, la causa?
«La promiscuità che confonde ogni cosa: il bene e il male, l’opportuno con l’inopportuno, il silenzio con le chiacchiere. Il bombardamento mediatico su questi due casi di cronaca ha avuto effetti devastanti sui bambini che guardano la televisione. Alcuni bimbi di 5-10 anni che seguo quando gli è stata raccontata la favola della raperonzola, la ragazzina chiusa nella torre dalla Strega cattiva, l’hanno immediatamente collegata alle vicende di Yara e Sarah. Un’associazione che a me adulta non sarebbe mai venuta in mente di fare».

Il contesto familiare nella vicenda di Avetrana ha giocato un ruolo fondamentale...
«Tempo fa leggevo una vignetta dove un bimbo domandava al padre: “Papà, la monnezza è un problema?”. E il padre rispondeva: “No, è una metafora”. Ecco, Avetrana è una metafora di una società completamente sradicata che dall’incontro con la modernità sprigiona ogni sorta di orrore come un enorme vaso di Pandora. In una realtà da Barbablù – rozza, primitiva e caratterizzata da famiglie apparentemente stabili ma profondamente disgregate al loro interno – sono stati innestati tutti gli strumenti della modernità: ritmi televisivi, blog per cercare la ragazza, diffusione di video, interviste, sms. Non c’è stato un mediatore culturale per accordare queste famiglie disgregatissime anche se all’apparenza stabili con l’urto di una cultura mediatica tanto travolgente quanto vorace».

Cosa rappresentano questi due delitti e la loro rappresentazione?
«Sono un punto di arrivo e non di partenza. Avetrana è il risultato dei casi degli ultimi dieci anni: Cogne, Erika e Omar, Erba, Garlasco, Tommaso Onofri. Dopo il massacro mediatico e l’ossessione vouyeristica con cui sono stati vissute e raccontate tutte queste vicende ad Avetrana in fondo non poteva non accadere quello che abbiamo visto».

                                                                         Antonio Sanfrancesco
La vicenda atroce di Yara Gambirasio per tre mesi ha toccato il cuore dell'Italia. Nessuno, però, l'ha seguita da vicino come i giornalisti dell'Eco di Bergamo, che giorno per giorno l'hanno vissuta, sofferta e raccontata. "Per molto tempo", spiega Andrea Valesini, dell'ufficio dei capiredattori del quotidiano bergamasco, "la gente ci fermava per strada. Sempre uguale la domanda: sapete qualcosa? Ci sono novità? Per questo, quando è arrivata la notizia del ritrovamento del corpo, qui da noi tutto si è fermato in un'atmosfera piena di angoscia. Un po' tutti noi, ma soprattutto chi aveva seguito per lavoro il rapimento, aveva finito con l'identificarsi nella famiglia Gambirasio, nel suo dramma. Il dramma di una famiglia come tante dal punto di vista sociale, ma composta e forte. Una famiglia con cui era facile identificarsi. Lo stesso questore di Bergamo, il dottor Vincenzo Ricciardi, diceva spesso: questa è molto più di un'inchiesta giudiziaria. Aveva ragione".

- Tu sei un giornalista. La stampa non ci è andata leggera, soprattutto nei primi tempi...
     "Quando alcuni hanno cominciato a scrivere di Brembate, il paese di Yara, come di un paese omertoso, di un paese "leghista", noi sapevamo benissimo che, come minimo, stavano sbagliando obiettivo. Sapevamo che non tenevano in alcuna considerazione il fatto che la scomparsa di Yara era soprattutto un grande dolore per la comunità. Che, semmai, non parlava perché non c'era nulla da dire, perché era giusto tacere".

- Hai già fatto cenno a un tema difficile. Quando fu arrestato l'extracomunitario, che poi risultò del tutto estraneo alla vicenda, si poteva temere una certa strumentalizzazione del fatto. La Bergamasca è un caposaldo del leghismo, ma non c'è stato nulla di simile.

     "Anche qui, ha molto giocato la scarsa conoscenza di questa gente e di questa terra. Il leghismo, qui, è un leghismo post-democristiano. forse la faccia migliore del leghismo. E poi, nei giorni più "caldi", erano comparsi in tutto due cartelli, di cui uno tirato fuori da un tizio che non è nemmeno di Brembate, il paese di Yara. Una figura centrale è stata quella di Angelo bonetti, il sindaco di Brembate, un leghista che usa il cervello. Lui è subito intervenuto contro ogni speculazione politica. Noi stessi abbiamo subito pubblicato un editoriale che invitava alla prudenza e al garantismo, e forse abbiamo un poco contribuito a sopire certe tentazioni".

- Che cosa resterà, secondo te, nello spirito della gente della Bergamasca, dopo questa tragedia?

   
"A Brembate, dopo la scomparsa di Yara, sono diventati molto più numerosi i genitori e i nonni che accompagnano i figli al scuola o alle diverse attività fuori casa. Quindi un segno è già stato inciso nell'animo delle persone. Certo si è diffusa l'idea che neanche questa terra è un'isola felice, contrariarmente forse a quanto molti pensavano prima. Sarà importante scoprire se il colpevole è uno venuto da fuori o uno di qui. E' chiaro che le conseguenze psicologiche saranno più pesanti se verrà fuori che l'assassino è di queste parti, le insicurezze cresceranno ancora".

Fulvio Scaglione
Il peggiore dei timori si è avverato. In un campo a Chignolo d'Isola, in provincia di Bergamo, a dieci chilometri dalla villetta in cui viveva coi genitori e i due fratelli, è stato trovato il cadavere in stato di decomposizione di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa da Brembate Sopra lo scorso 26 novembre. Il suo corpo è stato rinvenuto sabato da una persona del luogo che stava provando un aeromodello telecomandato.

Il riconoscimento è stato possibile grazie a un portachiavi, ad alcuni brandelli degli abiti che la ragazza indossava il giorno della scomparsa e all’apparecchio per i denti che Yara portava, come si vede anche dalle foto diffuse dalla famiglia. Il ritrovamento è stato effettuato in un campo aperto in via Bedeschi, nella zona industriale tra Chignolo d'Isola e Madone. Ora gli investigatori stanno tentando di trovare il bandolo della matassa che porta all’assassino (o agli assassini) della ragazza.

Si spengono così le speranze coltivate ostinatamente di trovarla ancora in vita, proprio a tre mesi dalla sua scomparsa, la sera di quel 26 novembre, dopo una fugace visita alla palestra della società di atletica di cui faceva parte. All’inizio le indagini si erano concentrate sul cantiere edile adiacente al centro sportivo di atletica. Un ragazzo aveva detto di averla vista in auto con un uomo ma era stato ritenuto scarsamente attendibile dai carabinieri, che lo avevano anche indagato per falsa testimonianza. Un’altra pista aveva portato a un giovane marocchino che lavorava in un cantiere, arrestato dai carabinieri a poche miglia dalla acque internazionali mentre si trovava sul traghetto che lo avrebbe riportato in patria.

Ma anche quella si era rivelata una pista falsa e il giovane era stato liberato. Sul luogo della scomparsa erano giunti i migliori investigatori italiani, compreso il Ris di Parma. Poi il silenzio, chiesto anche dalla famiglia. Infine il sipario finale, proprio qualche ora fa. Il corpo potrebbe essere rimasto nello stesso luogo dal 26 novembre, giorno in cui si erano perse le tracce della tredicenne Il ritrovamento è avvenuto a pochissima distanza da dove, lo scorso 16 gennaio, era stato commesso un omicidio al termine di una rissa tra clienti di una discoteca.

Famigliacristiana.it