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lunedì 27 marzo 2023
 
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Credere

"Scacciamo l'odio dai nostri cuori"

21/04/2022  L’appello di padre Giovanni Guaita, sacerdote della Chiesa ortodossa russa schierato per la pace: «Noi cristiani dobbiamo pregare gli uni per gli altri senza demonizzare i popoli»

Dall’alto di un palazzo di Mosca, nella minuscola cappella del suo appartamento che guarda sulla città, Giovanni Guaita ha pregato per la pace la sera del 24 febbraio 2022, mentre le truppe russe entravano in territorio ucraino. Sacerdote e monaco della Chiesa ortodossa, nato in Sardegna sessant’anni fa, padre Guaita ha trasmesso il rito sul suo canale YouTube, con più di 500 persone collegate. E due giorni dopo, vinti i timori dei confratelli, ha continuato a svolgere questa preghiera ogni sera nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, la parrocchia al centro di Mosca in cui serve insieme ad altri quattro sacerdoti. Un gesto coraggioso, non il primo per padre Guaita, che un paio di anni fa aveva dato rifugio nella sua chiesa a duecento giovani manifestanti inseguiti dalle truppe antisommossa della polizia. Ma come è arrivato in Russia il sacerdote sardo?

Durante gli studi universitari, in piena epoca sovietica, Giovanni Guaita si era trapiantato a Mosca per essere − con la propria storia e testimonianza − un tassello nel riavvicinamento tra due Chiese, quella cattolica e quella ortodossa, che − dice − si sono separate «non per ragioni teologiche ma storiche, di offese reciproche e avvenimenti tristi del passato».

FERMARE LE VIOLENZE

Barba lunga, capelli raccolti e una parlata che rivela la familiarità acquisita negli anni con le tipiche inflessioni del russo, padre Giovanni ama questa terra e la Chiesa a cui appartiene e, nonostante gli eventi drammatici delle ultime settimane, continua ad amarla con dedizione, rispetto e profonda lucidità. Per questo, pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, insieme a una manciata di altri sacerdoti ha scritto un appello alla riconciliazione e al cessate il fuoco immediato: «Noi esortiamo le parti contrapposte al dialogo», si legge nel testo, «perché non esiste alcun’altra alternativa alla violenza. Solo la capacità di ascoltare l’altro può darci la speranza di un’uscita dall’abisso nel quale i nostri Paesi sono precipitati in pochi giorni».

In poche settimane il documento è stato sottoscritto da altri 290 diaconi e sacerdoti ortodossi in tutta la Russia. Guaita lo definisce «un grande successo perché esprimere un’opinione diversa da quella delle autorità è qualcosa di assolutamente nuovo in Russia, in particolare da parte del clero», che nella Chiesa russa conta circa 40 mila membri. «Credo che il numero di chi condanna i fatti sia molto più alto di quello dei firmatari. Firmare una petizione può avere conseguenze pesanti e quindi immagino che tanti non lo abbiano potuto fare. Tutti rischiamo qualcosa, anche sul piano ecclesiale, nel senso che se le autorità laiche vogliono punire un chierico possono arrivarci anche attraverso l’autorità ecclesiastica». C’è una legge infatti, in vigore dal 4 marzo su tutto il territorio della Federazione russa, che vieta di usare anche solo la parola “guerra” in relazione ai fatti dell’Ucraina, o esprimere al riguardo opinioni che possano danneggiare l’immagine dello Stato. Chi la infrange viene arrestato, processato, condannato, multato; se recidivo, incarcerato.

LA REPRESSIONE DEL DISSENSO

  

Succede ogni giorno: dal 24 febbraio è successo a oltre 15 mila persone, tra cui un sacerdote ortodosso, padre Ioan Budrin, che predicava la pace nella sua parrocchia di campagna a 400 chilometri a est di Mosca. Oggi in Russia diventa quindi quasi impossibile esprimere un’opinione dissonante, per chi ce l’ha. Perché l’81% della popolazione, ha rivelato un sondaggio dell’Istituto di statistica Levada, sostiene infatti le scelte del governo e del suo presidente. «Ci sono idee molto confuse riguardo ai fatti e alle loro cause», spiega padre Guaita. n effetti, tutte le fonti di informazione sono controllate dal governo e propongono un’unica versione dei fatti, ed episodi scelti. Chi non conosce le lingue straniere o non ha accesso a media esteri non sente altro.

I possibili rischi personali non intaccano però la serenità di questo monaco di città: «Io non credo di fare niente che arrechi danno all’immagine dello Stato né a quella del governo. Non posso non dire quello che penso, dando un orientamento morale, come qualsiasi sacerdote deve sempre fare davanti a tutti gli avvenimenti, definendo male ciò che è male e bene ciò che è bene». E così nel suo servizio in parrocchia padre Guaita dice «tutto ciò che riesco, senza esitazione, predicando durante le celebrazioni, scrivendo articoli, dando lezioni». Per lui la definizione di questi avvenimenti è cristallina: «Un disastro, una catastrofe e un peccato gravissimo».

Tanti, per non rischiare, in queste settimane hanno lasciato il Paese. Ma padre Guaita rimane: «Non ho intenzione di andare via; ne avrei la possibilità, perché sono cittadino europeo, ma voglio rimanere fino a che sarà possibile». Padre Guaita vive «un sentimento di grande tristezza che ci costringe a riflettere», e soffre: «Più il tempo passa, più la posizione di chi condanna le decisioni dello Stato si afferma, perché le promesse delle autorità sono state in gran parte smentite: non si è trattato di un’operazione blitz e il governo ora è costretto a porsi delle domande su come andare avanti». Oltre alla scia di morti e distruzione che sta lasciando questa “operazione speciale”, come viene definita la guerra nella terra dei santi Cirillo e Metodio, ci saranno altre «conseguenze catastrofiche, sul piano economico, sociale e politico per la Russia per lungo tempo, non solo per le sanzioni dell’Occidente ma per queste stesse azioni belliche che stanno costando tantissimo».

GLI ATTRITI CON IL PATRIARCA

«Questi avvenimenti avranno conseguenze serie anche per la Chiesa, che molto probabilmente alla fine si ritroverà in una situazione nuova», dice ancora padre Guaita. Ci sono state prese di distanza da quello che il patriarca Kirill ha detto ufficialmente, anche da parte di vescovi e di intere diocesi russe all’estero. Con compassione padre Giovanni spiega: «Quella del patriarca è una posizione complessa e delicata per il suo ruolo a capo di una Chiesa che si trova sia in Russia che in Ucraina. Il patriarca ha invitato e continua a invitare tutti i fedeli a pregare: è la prima cosa che deve fare e la fa. In tanti avremmo voluto maggiore chiarezza nel prendere posizione riguardo a questi avvenimenti, perché è evidente che la Chiesa non può sostenere la violenza. Aspettiamo e preghiamo perché questo avvenga». Ma alla fine di tutto, dice il sacerdote, «dovremo porci delle domande molto serie su quanto la Chiesa ha fatto in questi decenni e trarre delle conclusioni. Mi auguro e credo che la crisi che dovremo necessariamente attraversare avrà alla fine esito positivo».

L'IMPEGNO IN PARROCCHIA

  

Intanto padre Guaita continua a servire la comunità che gli è affidata e che descrive con orgoglio. Alcuni anni fa ha chiesto di essere sollevato dal servizio che svolgeva al dipartimento per le Relazioni esterne del patriarcato, per poter rispondere meglio alla sua vocazione pastorale. La parrocchia è un punto di riferimento per tanti intellettuali, con iniziative per ogni fascia d’età e gruppi di base vivaci. Tra le iniziative curate dalla parrocchia in ambito sociale c’è un hospice che segue più di un migliaio di bambini terminali.

«Le sanzioni sulle esportazioni verso la Russia ricadono su tutti, non solo sugli oligarchi o sul governo. E toccano per esempio i farmaci, per cui ci troviamo a non avere più alcuni medicinali: diversi bambini non potranno avere cure, nemmeno quelle palliative. Mi chiedo perché dei bambini terminali debbano essere puniti per le decisioni del governo: forse questo non lo si sa in Occidente. Tutti insieme, in Russia e in Occidente, dobbiamo chiederci se stiamo facendo tutto quello che dipende da noi e se prendiamo decisioni sensate perché tutto questo finisca. In Occidente cresce la russofobia: demonizzare un intero popolo per le decisioni del suo governo non è intelligente». Che cosa sarebbe sensato? «A livello cristiano, pregare e pregare gli uni per gli altri. E scacciare l’odio dai nostri cuori».

 
 
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