Nove giorni di repliche, non così intaccate da uno sciopero imprevisto che ne ha posticipato il debutto al 3 aprile; una ripresa televisiva in differita, su Rai5, il 5 aprile, alle 21,15, lo stesso giorno in cui passerà in diretta nei circuiti del cinema digitale Microcinema (Italia) ed Emerging Pictures (Europa, Usa, Canada). Questo è il ricco bottino sin qui raccolto dal balletto L’altra metà del cielo. L’evento apre per la prima volta le porte del Teatro alla Scala al rocker Vasco Rossi, qui anche in veste di drammaturgo; reca la firma della regista e coreografa americana Martha Clarke, ugualmente al suo debutto scaligero, e di Stefano Salvati, assistente alla drammaturgia, non che videoartist della nuova creazione.
Passato dagli stadi al tempio della lirica grazie a un soprassalto d’interesse per la danza nato nel 2009 dall’incontro con Eleonora Abbagnato (interprete del videoclip Ad ogni costo), Rossi ha assemblato tredici canzoni, scritte negli ultimi trent’anni. «Il suo universo è terrigno e maschile», osserva la sorridente sessantenne Martha Clarke. «Alle sue donne, così diverse, che evolvono dall’adolescenza alla maturità con un bel carico di ostacoli oltre che di gioia, come in Albachiara, Susanna e Silvia ho provato a mettere le ali». Sono ali combattive. «Prima d’ora non avevo mai creato un balletto per una compagnia accademica sulle punte», confessa la regista-coreografa. «Provengo dal mondo della modernità, da gruppi come il Pilobolus, o dal più piccolo Crowsnest, che io stessa ho fondato alla fine degli anni Settanta; poi mi sono messa a creare un teatro di movimento controcorrente dove gli attori ballano e i ballerini recitano».
Vincitrice di molti premi, in specie per la sua opera più famosa del
1984, The Garden of Earthly Delights, ispirata al pittore fiammingo
Hieronymus Bosch, la Clarke ha scelto tre coppie di scaligeri (ovvero
sei nel turn over dei cast) «molto bravi, duttili, e creativi», osserva.
A loro ha affidato il compito di seguire l’evanescente storia delle
muse contemplate da Vasco.
«In una stanza - quante volte questa parola è ripetuta in canzoni come
Anima Fragile, Brava, Gabri e ancora Incredibile romantica, Delusa o Un
senso - entrano ed escono le fantasie di Rossi, cui non ho voluto dare
una collocazione temporale precisa; la danza abbandona la rigidità del
classico per diventare morbida e sensuale, ma anche acrobazia, gesto
quotidiano».
Tra le luci di Christopher Akerlind e nei costumi di Nanà
Cecchi (la nipote di Suso Cecchi D’Amico, forse la più famosa
sceneggiatrice italiana), L’altra metà del cielo è un mosaico a tessere
illuminato da proiezioni misteriose. E la musica dell’amatissimo Blasco
vibra nell’orchestrazione di Cesco Valli, creando armonia e il suo
contrario e intingendosi, per una volta, nelle suggestioni sinfoniche
del ‘900 colto. È un rock registrato ma da Scala, tutto da sentire e
questa volta anche da vedere, sino al 13 aprile.
Marinella Guatterini
Sarebbe facile ironizzare sul rocker maledetto che a 60 anni scopre di non poter più fare una “vita spericolata”. Primo, perché ormai è da molto tempo che Vasco Rossi conduce una vita lontanissima dagli eccessi a base di droghe e alcool che ne hanno alimentato il mito negli anni ’80, tanto da diventare perfino testimonial di sigarette al vapore senza nicotina che, assicura, «non fanno male e si possono fumare dappertutto». Secondo perché la malattia, una dolorosa osteocondrite che ha afflitto la sua spalla dall’estate scorsa, ha rivelato, più ancora di quanto si sapesse, per citare un’altra canzone, la sua «anima fragile», quasi infantile verrebbe da dire visto quanto ha combinato da quando ha iniziato a sentirsi male ed è stato costretto ad annullare i concerti previsti quest’estate.
Come un bambino costretto a casa dall’influenza, nei lunghi mesi di convalescenza prima alla clinica Villalba e poi in un albergo di Bologna di cui ha acquistato due interi piani (un vezzo da rockstar bisogna pure concederglielo…), ha cercato un giocattolo con cui far passare il tempo. L’ha trovato in Facebook: per mesi ha mantenuto il contatto con i suoi fan con messaggi ora allarmanti («Assumo da tempo un cocktail di antidepressivi, psicofarmaci, ansiolitici, vitamine e altro, studiato da una equipe di medici, che mi mantiene in questo equilibrio accettabile» ), ora più rassicuranti («Qui sto bene, mi coccolano»), ma sempre improntati alla più disarmante sincerità, ben lontana dalla freddezza degli uffici stampa a cui i suoi colleghi normalmente si affidano quando qualcosa non va; poi ha trovato un compagno di scuola con cui rivaleggiare su chi è il primo della classe del rock italiano: Ligabue.
Intervistato dall’amico Red Ronnie, lo ha apostrofato con un affettuoso:
«Ligabue? Un bicchiere di talento in un mare di presunzione». L’altro
ha risposto con molta più pacatezza, ma il duello è continuato per un
po’ fino all’inevitabile lieto fine sancito ancora una volta da
Facebook. Vasco: «Rinnovo stima per Ligabue. Non esiste alcuna
antipatia, odio o rivalità tra me e lui. Per quel che ci conosciamo devo
dire che ci siamo sempre trovati d’accordo su tutto». Ligabue: «Vasco,
anche se in anticipo di venti giorni, buon compleanno». Insomma, tutto e
bene quel che finisce bene, soprattutto ora che il “provoca(u)tore”
(definizione sua) è uscito dal suo isolamento per presentarsi nientemeno
che alla Scala dove è in cartellone L’altra metà del cielo, balletto
costruito su alcune sue canzoni dedicate a figure femminili.
C’è stato
l’intoppo dello sciopero dei lavoratori che ha rinviato la prima, ma lui
l’ha dribblato con ironia («Hanno rovinato la festa. Soprattutto a mia
mamma che mi voleva vedere in smoking») e ne ha approfittato per
chiarire una volta per tutti come sta: «C'è in giro la voce che io sia
ancora malato. È diverso: ho detto che ho bisogno di un anno di
convalescenza. Se qualcuno usa ancora la parola malattia lo prendo a
bastonate». Tanti auguri allora Vasco, rocker non più maledetto che ha
saputo trasformare anacoluti che farebbero rizzare i capelli a qualunque
insegnante («Voglio trovare un senso a tante cose, anche se tante cose
un senso non ce l’ha») in poesia. Tutti gli ex bambini ribelli ti
vogliono bene anche per questo.
Eugenio Arcidiacono