Francesco,
lo sappiamo, ama spesso inventare le parole; o meglio fa una
traduzione molto personale di un termine che è presente nella lingua
che parlava da sacerdote e vescovo. Così ai preti che incontra in
occasione del Giubileo loro dedicato – per l’occasione prepara
tre meditazioni che pronuncia nelle tre basiliche romane di San
Giovanni, Santa Maria Maggiore e San Paolo – amplia il concetto di
misericordia: “bisogna un po’ forzare la lingua”, dice, e così
ecco i termini “misericordiare” e “essere misericordiati”.
Parole che sono anche invito ad essere sempre più vicini alle donne
e agli uomini del nostro tempo, con le loro difficoltà e speranze,
con le loro gioie e ansie.
Il
prete che ama il Papa, lo sappiamo, ha l’odore delle pecore: lo ha
detto all’inizio del suo Pontificato. Un pastore scalzo, senza
agenda, come ha affermato parlando ai vescovi italiani aprendo
l’ultima assemblea della Conferenza episcopale italiana (Cei). Essere scalzi diventa allora uno
stile, un modo di essere accanto a chi è povero, una rinuncia a
tutto ciò che è superfluo.
Istruzioni
per vivere la misericordia. Possiamo chiamarle così le parole che papa Francesco lascia ai sei mila preti presenti in questi giorni a
Roma: “abbiamo chiesto la grazia di essere segno e strumento; ora
si tratta di agire e non solo di compiere gesti, ma di fare opere, di
istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia”.
I
preti possono e devono chiedere “la grazia” di gustare con Cristo
sulla croce “il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per
sentire così l’odore forte della miseria, in ospedali da campo, in
treni e barconi pieni di gente. Quell’odore che l’olio della
misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli la
speranza”.
Il
primo no che il Papa pronuncia è al denaro. “Anche il più ricco
quando muore si riduce a una miseria e nessuno porta dietro al suo
corteo il camino del trasloco”. Parole che già nella sua prima
messa nella parrocchia vaticana di Sant’Anna, appena eletto, aveva
proposto, ricordando come la nonna gli dicesse che “il sudario non
ha tasche”. Il popolo riconosce
“a fiuto” quali peccati sono gravi per il pastore, quali uccidono
il suo ministero perché lo fanno diventare un funzionario, o peggio
un mercenario”. La
gente perdona molti difetti ai preti, “salvo quello di essere
attaccati al denaro. Il popolo non lo perdona”.
Il
secondo no di Francesco è alla incapacità di vedere il volto di
Cristo nel volto delle persone che si incontrano. Chiede ai preti di
non essere impermeabile agli sguardi per non rimanere chiusi in se
stessi. Cita il Diario
di un curato di campagna
di George Bernanos, Francesco, per dire: “se ogni orgoglio morisse
in noi, la grazia delle grazie sarebbe solo amare sé stessi
umilmente, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù
Cristo”.
Il
terzo no per chiedere ai sacerdoti di non essere un
giudice-funzionario. Dio non si stanca mai di perdonare, anche quando
“vede che la sua grazia sembra non riuscire a mettere forti radici
nella terra del nostro cuore”. La misericordia “non ci dipinge
dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il Photoshop, ma con i
medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti
con amore dal padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si
rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù”.
È
poi con una metafora rende più esplicita la sua idea di
misericordia: “il nostro peccato è come un colabrodo, come una
brocca bucata dalla quale scorre via la grazia, in poco tempo”. La
misericordia è esagerata, va oltre la giustizia: “si sporca le
mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro”.
L’altro non è mai un caso è sempre una persona.